Tra i pensatori presocratici, Eraclito di Efeso si distingue per il tono oracolare dei suoi frammenti e per la radicale profondità delle sue intuizioni filosofiche. Oscuro, sferzante, spesso enigmatico, è noto come “l’Oscuro” proprio per la densità e concisione dei suoi detti. Uno dei suoi aforismi più discussi e affascinanti è il frammento noto come B 40 nell’edizione Diels-Kranz, che ci è giunto in forma mutila e oggetto di diverse traduzioni e ricostruzioni. Il greco originario, secondo la versione di Mullach (e ripreso anche da Michelstaedter), suona così:
Πολυμαθίη νόον οὐ διδάσκει
(Polymathíē nóon ou didáskei)
che Michelstaedter traduce con la lapidaria e severa:
“L’erudizione non educa la mente.”
Una variante più articolata, quella proposta da Diels, riformula il frammento così:
Πολυμαθίη νόον ἔχειν οὐ διδάσκει
(Polymathíē nóon échein ou didáskei),
che Diels traduce in tedesco con:
“Vielwisserei lehrt nicht Verstand haben”,
cioè: “Il sapere molte cose non insegna ad avere intelligenza.”
Due versioni, entrambe plausibili, che mettono in luce un nodo essenziale del pensiero eracliteo: la distinzione tra accumulazione di nozioni e comprensione profonda, tra il sapere enciclopedico e la sapienza del logos, tra l’erudizione esteriore e la capacità interiore di giudicare, comprendere, cogliere il senso nascosto delle cose.
Eraclito contro la sapienza superficiale
Nel contesto culturale e filosofico del VI-V secolo a.C., Eraclito prende posizione contro i sofisti, gli scienziati dell’epoca e anche contro alcune figure considerate “sapienti”, come Esiodo o Pitagora, accusati, in altri frammenti, di “sapere molte cose ma non comprendere nulla” (fr. B 129). Il suo bersaglio polemico è la sapienza formale e quantitativa, quella che si esaurisce nel “sapere molto”, nel collezionare conoscenze, nel registrare dati, nel dominare la tecnica retorica o la grammatica — ma che non raggiunge mai il nòos, la mente, cioè quella facoltà capace di cogliere il logos del mondo, la sua armonia nascosta, la verità profonda delle cose.
Il termine polymathía, che possiamo tradurre con “erudizione”, ma anche con “enciclopedismo”, indica qui una conoscenza ampia ma dispersa, accumulativa, non riflessiva. È un sapere che non diventa saggezza. Il sapere scolastico, il sapere da esposizione, il sapere degli esperti che ignorano l’essenziale.
Il nòos invece — che Michelstaedter chiama “mente” e Diels “Verstand” — è la capacità di orientarsi nella complessità, di intendere il senso delle cose, di agire in base alla comprensione del mondo, non solo di conoscerlo. È questo il sapere autentico che Eraclito contrappone alla sterile polymathía.
Michelstaedter: l’erudizione come illusione della persuasione
Nel Novecento, Carlo Michelstaedter — filosofo e poeta goriziano, morto suicida a soli 23 anni — riprende questo frammento eracliteo e lo fa proprio nella sua celebre tesi di laurea, La persuasione e la rettorica (1910). Michelstaedter traduce:
“L’erudizione non educa la mente.”
La sua è una lettura tragica e radicale. Per Michelstaedter, la società contemporanea ha sostituito la vera persuasione — quella che nasce da un’intima adesione alla verità e all’essere — con la retorica, cioè con una costruzione artificiale del sapere, utile solo a mantenere l’individuo all’interno di schemi sociali di consenso e conformismo. L’erudizione, nella sua ottica, non forma l’anima, ma la deforma, la distrae dalla sua ricerca più autentica, la incatena alla superficie del mondo.
Eraclito, quindi, diventa per Michelstaedter un precursore della lotta contro il sapere falso, quello che illude l’uomo di essere saggio solo perché è informato, ma che non lo rende capace di vivere in pienezza. È una critica profonda all’educazione come addestramento, alla cultura come merce, alla conoscenza come strumento di dominio.
Diels: sapere e intelligenza, due piani diversi
La versione proposta da Diels — con l’aggiunta di ἔχειν (“avere”) — mette in evidenza in modo ancora più esplicito la separazione tra conoscenza e intelligenza. Diels sottolinea che sapere molte cose (Vielwisserei) non insegna ad avere intelligenza. Si può dunque essere dotti ma stolti, pieni di nozioni ma incapaci di giudicare, aggiornati ma inconsapevoli. Questa è una distinzione ancora oggi attualissima.
Nel mondo contemporaneo, sovraccarico di informazioni, dominato da internet e dalla rapidità del flusso dati, la polymathía è diventata una condizione abituale: ognuno di noi ha accesso a una quantità smisurata di saperi, ma spesso senza guida, senza gerarchia, senza comprensione. La mente formata, capace di orientare, di discernere, di dare un senso, è sempre più rara.