I versi di Attilio Bertolucci da dedicare a chi si ama

12 Luglio 2025

Leggiamo assieme questi leggiadri versi dal lontano sentore petrarchesco, di Attilio Bertolucci, tratta dalla poesia intitolata "Anacreontica".

I versi di Attilio Bertolucci da dedicare a chi si ama

Nella poesia Anacreontica di Attilio Bertolucci, composta da tre quartine a rima incrociata e un verso finale isolato, l’arte dell’allusione e della memoria letteraria si fonde con un sentimento vivissimo e tangibile, che sa parlare anche al lettore moderno.

Vorrei esser il sole che ti scalda
quando esci dall’acqua, freddolosa
e gocciolante, e sì ti fa radiosa
negli occhi, felice e calda.

Vorrei essere l’erba che accoglie
le belle membra in riposo,
il castagno annoso
ch’ombra il tuo sonno con lucide foglie.

Attilio Bertolucci idilliaco

Il titolo della poesia rimanda esplicitamente al genere della “canzonetta anacreontica”, coltivato tra il Cinquecento e il Settecento come forma lirica leggera, amorosa e musicale. Ma l’anima della poesia si radica non solo in questa tradizione, bensì anche nella memoria profonda della lirica italiana: Cecco Angiolieri, Francesco Petrarca, Torquato Tasso. Il “vorrei” che apre le due quartine iniziali richiama infatti l’anafora giocosa e paradossale del sonetto S’i’ fosse foco, arderei lo mondo, mentre l’evocazione delle “belle membra” della donna in riposo riporta alla purezza dei versi petrarcheschi e all’idillio pastorale di Gerusalemme liberata.

Eppure, Anacreontica non è un gioco erudito, né una semplice citazione poetica: è una poesia in cui la sensualità si fa tenera, il desiderio si declina in immagini naturali e la parola, come spesso accade in Bertolucci, si piega al servizio dell’intimità. È un piccolo componimento in cui classicità e modernità convivono con equilibrio perfetto, proprio perché l’eleganza della forma non soffoca mai la spontaneità dell’emozione.

Il desiderio che si fa natura

I primi quattro versi della poesia esprimono un desiderio intensamente corporeo ma mai volgare. Il poeta dichiara:
Vorrei esser il sole che ti scalda
quando esci dall’acqua, freddolosa
e gocciolante, e sì ti fa radiosa
negli occhi, felice e calda.

La voce poetica desidera diventare sole, elemento naturale per eccellenza, non per dominare o possedere, ma per offrire calore e gioia. La donna, appena uscita dall’acqua, è “freddolosa e gocciolante”, ma poi diventa “felice e calda” grazie a quel sole immaginato, incarnazione del poeta stesso. È un desiderio di fusione, ma anche di protezione e cura, che si manifesta con immagini di dolcezza tattile: il sole accarezza, asciuga, fa risplendere.

Questa metamorfosi immaginaria è intrisa di sensibilità e pudore. L’elemento erotico è presente, ma viene traslato nella luce, nel calore, nella radianza dello sguardo femminile. C’è, in questi versi, una celebrazione della donna come figura quasi naturale, immersa in un paesaggio estivo, come nei quadri impressionisti o nelle fotografie d’epoca. Ma la donna non è oggetto: è centro di energia e felicità. L’amore, qui, è ammirazione e immersione.

L’erba, il castagno e l’ombra: paesaggi del desiderio

Nella seconda quartina, il desiderio prende la forma dell’ambiente naturale:
Vorrei essere l’erba che accoglie
le belle membra in riposo,
il castagno annoso
ch’ombra il tuo sonno con lucide foglie.

L’anafora “vorrei essere” prosegue, ma le metamorfosi immaginate diventano ancora più legate alla terra. Ora il poeta desidera essere erba e albero, elementi silenziosi, discreti, che hanno come unica funzione quella di accogliere il corpo della donna e di offrirle conforto nel sonno. Il riposo delle “belle membra” richiama, come detto, i celebri versi di Petrarca (ove le belle membra / pose colei che sola a me par donna), ma l’immagine petrarchesca viene qui rielaborata in chiave più sensuale e concreta.

Il “castagno annoso” richiama invece la solidità, la protezione, la durata nel tempo. Non è un albero qualsiasi, ma uno che ha conosciuto molte stagioni, che ha radici profonde. L’ombra che esso offre non è buio, ma uno spazio di quiete, di intimità, suggerito dalle “lucide foglie”, che rimandano alla freschezza e alla vita. Anche in questo caso, l’erotismo è tutto filtrato dall’immagine del paesaggio: non c’è bisogno di gesti espliciti, perché il desiderio è nell’aria stessa che avvolge i corpi.

Un verso finale che sussurra

Il componimento si chiude con un verso isolato, che non è riportato nella citazione iniziale, ma che nella poesia originale di Bertolucci suggella il tono sensualmente allusivo della lirica. Questo isolamento crea una sospensione, una reticenza, un effetto quasi cinematografico: la scena si dissolve, lasciando nel lettore una sensazione di attesa, di incompletezza fertile. Come spesso accade nella poesia di Bertolucci, il non detto ha più peso del detto, e il silenzio che segue al verso conclusivo è carico di significato.

Anacreontica si inserisce dunque in una lunga tradizione letteraria, ma se ne distacca per la capacità di coniugare la preziosità formale con la tenerezza quotidiana. A differenza delle canzonette barocche, qui non c’è gioco d’ingegno fine a sé stesso, ma un uso sapiente della forma per restituire l’intimità del sentimento. Rispetto ai modelli antichi, la figura femminile non è idealizzata né astratta, ma è viva, presente, corporea, anche se delicata e pudica.

Il desiderio del poeta non è quello di conquistare, ma di essere parte del mondo che accoglie e scalda la donna amata. In questo, Anacreontica è una poesia profondamente moderna, che parla di amore con misura, rispetto, e una bellezza che non ha bisogno di esibizione. È un piccolo capolavoro di leggerezza e profondità, capace di evocare con pochi versi tutta la potenza del desiderio e della poesia.

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