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Lettera di Georgia Maradei

Caro papà,
è da anni che non ti chiamo più così…
Nonostante la tua lontananza, mi illudo che queste poche righe giungano a te in risposta al tuo ultimo sofferto saluto, lasciato tra le pagine di un vecchio quaderno.
I ricordi si perdono nella mia testa e le immagini si deteriorano al trascorrere del tempo, ma questo non mi preoccupa perché i sentimenti, quelli veri, sinceri, intensi, non si spengono mai.
La vita purtroppo non è sempre generosa come vorremmo, anzi a volte ci colpisce duramente e ci chiede di gestire situazioni difficili e dolorose, seppure impreparati a farlo. Ed io non ero assolutamente preparata ad affrontare questo destino crudele…..
Il mio cuore avverte profondamente il bisogno di parlarti come non ha mai fatto, di ringraziarti per essere stato il miglior padre che potessi avere, genitore ma soprattutto educatore. A te devo gli insegnamenti più importanti, la sensibilità e il rispetto verso il prossimo, l’umiltà e l’altruismo, la generosità…..perché tu eri l’esempio perfetto di tutti questi valori morali.
Uomo di cultura, amante della letteratura, del cinema e della musica, intenditore della buona tavola, hai sempre sostenuto le stravaganze della mia personalità e il mio modo di sentirmi realizzata, a volte, estraneo a schemi e preconcetti; hai sempre incoraggiato il mio bisogno di conoscenza del mondo anche se questo mi ha portata ad essere molto spesso lontana da casa, anzi “…..vai che poi ti raggiungo” sono le parole che non mi hanno mai fatto sentire sola, dovunque fossi. E, ancora oggi che sono distante dalla nostra città, ciò che più mi manca è la tua voce: la prima telefonata di ogni giorno, puntuale come il tuo affetto.
In certe occasioni rispolvero i momenti più significativi della nostra vita proprio come si sfoglia un album di fotografie: quando nacquero i nostri nipotini, quando ci organizzammo per la mia laurea, quando mi raggiungesti con una bottiglia di spumante per festeggiare il mio compleanno, e potrei continuare ancora a lungo. I ricordi purtroppo mi rattristano, ma poi rifletto e mi convinco di essere fortunata ad avere tanti bei momenti da custodire gelosamente.
Ciò che più mi ha dato pena in questi anni è la sofferenza che ho letto sul tuo volto e nei tuoi occhi, l’attesa dell’irreparabile, l’impotenza di fronte a un destino ormai segnato. Penso sempre che non sia stato abbastanza quello che, per la prima e unica volta, ero io a fare per te e me ne rammarico immensamente. Avrei dovuto stringerti forte, gridare la mia frustrazione e le mie paure così che ti fossero più comprensibili certi miei comportamenti; non fuggivo da te, ma dal dolore.
Rileggo la tua lettera e ancora mi suona insistente la richiesta di perdonare il tuo stato d’animo povero di gioie; ma ora, finalmente, sono io che ti chiedo di perdonare il mio.
Tua figlia

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