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Lingua italiana: origine e significato di “abominare”

Scopriamo assieme leggendo questo articolo quale è l'origine e il significato del verbo della lingua italiana "abominare, usato oggi molto poco.

Nel vasto patrimonio della lingua italiana, esistono parole che, pur avendo una storia antica e nobile, sono oggi quasi scomparse dall’uso quotidiano. Una di queste è il verbo “abominare”, un termine che conserva al suo interno echi di paura, rifiuto e condanna. La sua rarità contemporanea non ne diminuisce la ricchezza semantica, anzi la trasforma in uno strumento prezioso per chi voglia scrivere o parlare con precisione e profondità. Esploriamo quindi il significato, le sfumature e l’origine di questo verbo poco comune ma affascinante.

Origine e significato etimologico della parola della lingua italiana

Il verbo “abominare” proviene dal latino abominari, a sua volta formato da ab- (moto da luogo, allontanamento) e omen (presagio). Il significato letterale era quindi “respingere come cattivo presagio”, e già nella lingua latina indicava un’azione di rigetto profondo, spesso legata a pratiche religiose o a reazioni viscerali di paura o disgusto. L’etimologia sottolinea come il termine fosse in origine carico di senso rituale e sacro: ciò che si “abominava” era ritenuto malaugurante, nefasto, da tenere lontano perché contaminante.

Il primo attestato nella lingua italiana risale al 1268, testimoniando un uso antico che si è mantenuto in ambito letterario e dotto.
Nel corso del tempo, “abominare” ha mantenuto una doppia valenza, sintetizzabile in due significati principali:

Aborrire, odiare profondamente, ripudiare con forza.
Questo è il significato più diffuso e riconoscibile, soprattutto nella forma letteraria. “Abominare” qualcosa significa rifiutarlo con intensità, sentirlo come estraneo, insopportabile, addirittura intollerabile sul piano morale, fisico o spirituale. In questo senso, è sinonimo di “aborrire”, ma con una sfumatura più arcaica e drammatica.

Accusare o vituperare (in senso arcaico).
Questo uso, oggi quasi scomparso, compare talvolta in testi antichi o in registri stilistici molto elevati. “Abominare” qualcuno, in questo contesto, significa condannarlo apertamente, esprimere pubblicamente disprezzo o biasimo.

Uso letterario e stilistico

Nella letteratura italiana, “abominare” è presente con una certa frequenza nei secoli passati, soprattutto in testi religiosi, filosofici o poetici. Per esempio, si può trovare in traduzioni della Bibbia, nei commenti teologici medievali, ma anche in opere del Rinascimento e del Barocco, dove i concetti di colpa, redenzione, male e bene erano spesso espressi con una lingua fortemente influenzata dal latino.

Il verbo si adatta bene a contesti solenni, tragici o drammatici, dove l’atto di respingere non è solo razionale, ma coinvolge l’intera sfera affettiva ed etica. Dire “abomino il tradimento” è ben diverso dal semplice “odio il tradimento”: il primo esprime una reazione che investe la sfera morale, quasi sacra, e che richiama un’adesione profonda a un sistema di valori.

Nel linguaggio moderno, “abominare” è raro, ma può essere usato con efficacia in testi letterari, saggistici o giornalistici che vogliano evocare una tonalità solenne o recuperare una tradizione stilistica più elevata. Inoltre, può servire per ironizzare o enfatizzare una reazione forte, anche nel parlato colto: “Abomino la sveglia del lunedì” è un esempio iperbolico, ma efficace, di come la parola possa essere riutilizzata anche in contesti moderni con intento espressivo o comico.

Parole affini e derivate

“Abominare” è imparentato con l’aggettivo abominevole, assai più comune nella lingua contemporanea, e ancora vivo nel lessico quotidiano: “un crimine abominevole”, “un gesto abominevole”. Anche in questo caso, l’aggettivo richiama un giudizio morale fortemente negativo, talvolta caricato di un senso quasi assoluto del male.

A livello semantico, sono affini a “abominare” anche i verbi aborrire, detestare, ripudiare, vituperare, anche se ognuno con sfumature diverse. “Aborrire”, ad esempio, ha un significato molto vicino ma conserva un tono meno arcaico. “Vituperare”, invece, pone l’accento più sull’atto del biasimo verbale.

Esempi d’uso
Per chiarire meglio come utilizzare “abominare” nella lingua scritta o orale, ecco alcuni esempi:

“Abomino ogni forma di ingiustizia, soprattutto quando colpisce gli innocenti.”

“Il poeta, deluso dal mondo, abominava le passioni terrene e cercava l’ascesi.”

“L’eretico fu pubblicamente abominato dai suoi stessi discepoli.”

Il verbo “abominare” è un gioiello lessicale della lingua italiana, capace di restituire con precisione un sentimento di rifiuto profondo, totale, a volte morale o spirituale. Sebbene oggi il suo uso sia limitato a registri alti o letterari, resta una parola di straordinaria forza espressiva, legata a una lunga tradizione linguistica che parte dal latino e attraversa secoli di pensiero, fede e letteratura.

Riscoprire parole come “abominare” non significa soltanto arricchire il proprio vocabolario, ma anche recuperare un modo più consapevole e sfumato di pensare e parlare, dove ogni termine porta con sé una storia, un’etica e un’estetica. In un tempo in cui il linguaggio tende spesso alla semplificazione, ricordare che si può “abominare” qualcosa — e non solo “odiarlo” — è un invito alla profondità e alla precisione.

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