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Italiano: sapevi che “nave” e “nausea” hanno la stessa origine?

In questo articolo spiegheremo come e perché le due parole del vocabolario italiano "nave" e "nausea" hanno la stessa origine nella lingua greca.

Il panorama linguistico italiano è un mosaico complesso di derivazioni, prestiti e trasformazioni storiche. Due parole apparentemente distanti per significato ma sorprendentemente vicine per origine sono “nave” e “nausea”. A un primo sguardo, queste parole sembrano appartenere a campi semantici distinti: la prima evoca immagini di viaggio, esplorazione, mare aperto; la seconda richiama un disagio fisico, un malessere interiore spesso sgradevole. Eppure, entrambe affondano le radici nella stessa parola greca: ναῦς (naûs), che significa “nave”.

Dal greco all’italiano: ναῦς, ναυσία e ναυτία

Il sostantivo greco ναῦς (naús) designava genericamente un’imbarcazione, una nave. Da questo termine derivano numerosi vocaboli nella lingua greca e poi in latino e nelle lingue moderne, tutti legati in qualche modo alla navigazione. In greco, il verbo ναυσιάω (nausiáō) indicava lo “stare male per il movimento della nave”, mentre ναυσία o ναυτία (nausea nella forma latinizzata) significava appunto “malessere provocato dal movimento del mare”, cioè mal di mare.

Questo termine è passato nel latino come nausea, mantenendo il significato di “nausea”, ma estendendosi progressivamente anche ad altri tipi di disgusto, fastidio o repulsione, non necessariamente legati al mare o alla navigazione. La forma latina ha avuto così fortuna da entrare nella maggior parte delle lingue neolatine e germaniche (inglese nausea, francese nausée, spagnolo náusea, ecc.).

Nave: il viaggio come radice

La parola italiana “nave”, invece, proviene direttamente dal latino navis, a sua volta erede della ναῦς greca. È interessante notare come le due parole abbiano preso strade concettualmente diverse pur condividendo la stessa radice. “Nave” è rimasta ancorata all’oggetto materiale, al mezzo che consente di attraversare lo spazio marino, mentre “nausea” ha assunto un significato più astratto, riferendosi alla reazione del corpo o della mente a un movimento troppo forte o indesiderato.

Nel termine “nave” è dunque evidente l’impronta greca e latina della grande civiltà marinara. Le navi erano strumenti di potere, di commercio, di guerra e di conoscenza, e la lingua italiana conserva questo senso epico e funzionale. Non è un caso che l’Italia, penisola nel cuore del Mediterraneo, abbia mantenuto il termine sin dalle sue origini latine. Nella letteratura italiana, la nave diventa anche metafora dell’esistenza: basti pensare a Dante, che paragona la sua Commedia a una nave in viaggio nei mari dell’inferno e del paradiso, o a Leopardi, che nell'”Infinito” scrive: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Nausea: dal mal di mare al disgusto esistenziale

La parola “nausea”, invece, ha subìto un’evoluzione semantica ancora più affascinante. Se originariamente indicava il malessere fisico dovuto al movimento della nave, con il tempo ha assunto connotazioni psicologiche, morali, esistenziali. Si pensi, per esempio, al romanzo filosofico “La nausea” di Jean-Paul Sartre (1938), dove il protagonista Roquentin sperimenta un profondo senso di nausea non per il movimento, ma per la semplice presenza delle cose, per la loro esistenza nuda e inspiegabile. In questo caso, il termine perde completamente il legame con l’elemento marino per diventare simbolo dell’assurdità e del disagio ontologico.

La trasformazione del termine riflette un ampliamento di significato tipico delle lingue vive: da una sensazione corporea precisa e circoscritta (il mal di mare), la nausea si estende fino a indicare un disagio più vasto, che può essere causato da esperienze spiacevoli, da situazioni disturbanti o da riflessioni metafisiche.

Un’origine comune, due percorsi semantici

La radice κοινή di “nave” e “nausea” ci mostra con chiarezza come la lingua sia un organismo vivente, dove i significati possono evolvere in direzioni anche opposte pur mantenendo una radice comune. La parola greca ναῦς ha generato due concetti che nella nostra percezione moderna si trovano agli estremi: da una parte l’avventura, il viaggio, l’apertura all’ignoto; dall’altra il fastidio, il rifiuto, il malessere.

Eppure questa opposizione non è priva di logica. L’esperienza della navigazione, fin dall’antichità, era infatti duplice: esaltante e rischiosa, fonte di scoperta e insieme di pericolo. Chi saliva su una nave accettava non solo l’incertezza della destinazione, ma anche la possibilità del disagio fisico, della tempesta, dello smarrimento. “Nausea” è allora, in fondo, il lato oscuro del viaggio, la reazione del corpo e dell’anima al movimento, al cambiamento, all’instabilità.

“Nave” e “nausea” sono dunque intrinsecamente collegate: mettersi in moto, del varcare i confini, del confrontarsi con l’ignoto. L’una rappresenta il mezzo, l’altra il prezzo da pagare. Entrambe derivano da una radice antica, ναῦς, e ci ricordano che ogni viaggio, reale o metaforico, comporta un rischio: quello di perdere l’equilibrio, di sentirsi male, di provare nausea. Ma senza questo rischio, nessuna navigazione è davvero possibile.

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