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“Walking Around” (1933), la potente poesia di Pablo Neruda sui mali della società

Scopri la triste esistenza degli esseri umani descritta nei versi di Walking Around, la poesia di denuncia di Pablo Neruda contro la prigionia sociale degli umani.

Walking Around (Andando in giro) è una poesia di Pablo Neruda che propone una dura critica riguardo al modo di vivere nella società che lo circonda. Il poeta si sente di denunciare il sistema sociale “borghese” che finisce inevitabilmente per creare alienazione negli uomini. Pablo Neruda arriva ad affermare di sentirsi “stanco di essere uomo”.

Il poeta cileno sceglie un titolo inglese per la sua poesia perché intende ammiccare all’Ulisse di James Joyce, del quale è letteralmente affascinato.

Questo “Girovagare” per la città ecco che iniza a prendere forma motivato dalle forti influenze che il poeta inizia a vivere a Buenos Aires, dove’era arrivato come console cileno, grazie anche all’incontro con Federico Garcia Lorca. I due diventano come fratelli.

Walking Around è stata scritta da Pablo Neruda a Buenos Aires tra l’ottobre e il dicembre del 1933,  può essere associata al surrealismo, e fa parte di Residencia en la tierra (1933 – 1935 -1947), una raccolta di poesie nota per trasmettere i sentimenti di Pablo Neruda sulle situazioni sociali del suo tempo. 

Ma leggiamo la critica alla società e ai suoi riti collettivi, che uccidono la libertà dell’esistere, attraverso i versi di Walking Around di Pablo Neruda.

Walking Around di Pablo Neruda

Succede che mi stanco di essere uomo
Succede che entro nelle sartorie e nei cinema smorto,
impenetrabile, come un cigno di feltro
che naviga in un’acqua di origine e di cenere.

L’odore dei parrucchieri mi fa piangere e stridere
Voglio solo un riposo di ciottoli o di lana
Non voglio più vedere stabilimenti e giardini
Mercanzie, occhiali e ascensori.

Succede che mi stanco dei miei piedi e delle mie unghie
E dei miei capelli e della mia ombra
Succede che mi stanco di essere uomo.

Dopo tutto sarebbe delizioso
Spaventare un notaio con un giglio mozzo
O dar morte a una monaca con un colpo d’orecchio.
Sarebbe bello andare per le vie con un coltello verde
E gettar grida fino a morir di freddo.

Non voglio essere più radice nelle tenebre,
barcollante, con brividi di sonno, proteso all’ingiù,
nelle fradicie argille della terra
assorbendo e pensando, mangiando tutti i giorni.

Non voglio per me tante disgrazie
Non voglio essere più radice e tomba
Sotterraneo deserto, stiva di morti,
intirizzito, morente di pena.

E per ciò il lunedì brucia come il petrolio
Quando mi vede giungere con viso da recluso
E urla nel suo scorrere come ruota ferita
E fa passi di sangue caldo verso la morte.

E mi spinge in certi angoli, in certe case umide,
in ospedali dove le ossa escono dalla finestra,
in certe calzolerie che puzzano d’aceto
in strade spaventose come crepe.

Vi sono uccelli color zolfo e orribili intestini
Appesi alle porte delle case che odio,
vi sono dentiere dimenticate in una caffetteria
vi sono specchi
che avrebbero dovuto piangere di vergogna e spavento,
vi sono ombrelli dappertutto e veleni e ombelichi.

Io passeggio con calma, con occhi, con scarpe,
con furia, con oblio
passo attraverso uffici e negozi ortopedici
e cortili con panni tesi a un filo metallico:
mutande, camicie e asciugamani che piangono
lente lacrime sporche.

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Walking around, Pablo Neruda

Sucede que me canso de ser hombre.
Sucede que entro en las sastrerías y en los cines
marchito, impenetrable, como un cisne de fieltro
Navegando en un agua de origen y ceniza.

El olor de las peluquerías me hace llorar a gritos.
Sólo quiero un descanso de piedras o de lana,
sólo quiero no ver establecimientos ni jardines,
ni mercaderías, ni anteojos, ni ascensores.

Sucede que me canso de mis pies y mis uñas
y mi pelo y mi sombra.
Sucede que me canso de ser hombre.

Sin embargo sería delicioso
asustar a un notario con un lirio cortado
o dar muerte a una monja con un golpe de oreja.
Sería bello
ir por las calles con un cuchillo verde
y dando gritos hasta morir de frío.

No quiero seguir siendo raíz en las tinieblas,
vacilante, extendido, tiritando de sueño,
hacia abajo, en las tapias mojadas de la tierra,
absorbiendo y pensando, comiendo cada día.

No quiero para mí tantas desgracias.
No quiero continuar de raíz y de tumba,
de subterráneo solo, de bodega con muertos
ateridos, muriéndome de pena.

Por eso el día lunes arde como el petróleo
cuando me ve llegar con mi cara de cárcel,
y aúlla en su transcurso como una rueda herida,
y da pasos de sangre caliente hacia la noche.

Y me empuja a ciertos rincones, a ciertas casas húmedas,
a hospitales donde los huesos salen por la ventana,
a ciertas zapaterías con olor a vinagre,
a calles espantosas como grietas.

Hay pájaros de color de azufre y horribles intestinos
colgando de las puertas de las casas que odio,
hay dentaduras olvidadas en una cafetera,
hay espejos
que debieran haber llorado de vergüenza y espanto,
hay paraguas en todas partes, y venenos, y ombligos.

Yo paseo con calma, con ojos, con zapatos,
con furia, con olvido,
paso, cruzo oficinas y tiendas de ortopedia,
y patios donde hay ropas colgadas de un alambre:
calzoncillos, toallas y camisas que lloran
lentas lágrimas sucias.

Walking Around dura denuncia al declino dell’uomo moderno

Walking Around di Pablo Neruda è una poesia mette in scena la tragedia del conformismo dell’uomo moderno e dei riti borghesi che ne segnano la definitiva alienazione, l’annullamento come essere umano pensante.

Un canto di libertà dalle sovrastrutture che governano la società che viveva l’autore in quegli anni ’30 del secolo scorso, dove le trasformazioni tecnologiche e i riti sempre più borghesi imprigionavano l’uomo in una gabbia di convenzioni, troppo lontani dall’essenza naturale dell’esistenza umana. 

Nel suo girovagare per la città, per certi versi come l’Ulisse di Joyce per le strade di Dublino, lo scorrere della vita sempre uguale genera stanchezza in Pablo Neruda. Le convenzioni, la burocrazia, i riti collettivi non fanno che togliere aria all’esistere dello scrittore. 

La denuncia di Pablo neruda è rivolta alla stessa vita, che descrive come “un’acqua di origine e cenere”. Il poeta è confuso dall’esistenza stessa, per lui vivere è un’attività incerta e imprevista. 

Subito dopo aver annunciato la stanchezza che già gli provoca l’appartenenza al genere umano, e stabilito il suo scoraggiamento, inizia l’inventario di tutto ciò che gli provoca disagio. 

L’odore dei parrucchieri mi fa piangere e stridere
Voglio solo un riposo di ciottoli o di lana
Non voglio più vedere stabilimenti e giardini
Mercanzie, occhiali e ascensori.

Tutto sembra provocargli disturbo, non sopporta dover seguire i soliti luoghi comuni imposti dalle società e per certi versi dal perbenismo “piccolo borghese”.

Nella terza strofa, l’inventario sembra rivolgersi all’aspetto materiale dell’esistenza, al corpo stesso.  È chiaro che egli lo visualizza non solo come una cassa spenta, ma anche come una una prigione che lo imprigiona.

Sembrerebbe che la strofa successiva, e con l’uso del “dopo tutto” la voce lirica si prepara a cambiare il tono, intonando tutta la sua disperazione. Pablo Neruda avverte l’esigenza di sovvertire quell’ordine inviolabile. E allora immagina di sublimare degli atti folli e violenti, seplicemente per avere di poter osservare la reazione delle persone che lo circondano. 

È chiaro dal testo della poesia che la sua rivoluzione fa leva su una violenza incapace di nuocere, proprio perché verrebbe effettuato con elementi sublimi come un giglio o a che picchietta sull’orecchio pieno di tenerezza. Anche, il coltello di cui parla è verde, e lo sappiamo che, tradizionalmente, è il colore della speranza.

Questo tentativo di vedere il lato positivo dell’esistenza appare solo, ma non si materializza. Perché già nela quinta e la sesta strofa continua ad elencare tutto ciò che gli appare grottesco. Questa volta elenca quegli eelemnti rituali che gli provocano malessere.

L’immersione nella routine, mangiare, dormire, disgrazie che ci arrivano senza chiederle, senza sapere niente sul nostro destino, insomma, per certi versi rappresenta il senso poetico della morte stessa.

Il lunedi rappresenta l’inizio del ciclo alienante della vita. Segna il passo a quel roteare ciclico dell’esistenza che finisce per imprigionare tutto il ritmo del vivere. Questo flusso routinario porta il poeta a dover assistere a scene e situazioni che fanno male e che creano continuo disturbo.

Ci sono gli ospedali, la malattia è qualcosa che gli esseri umani non conoscono e non possono controllare. Esistono le case che Neruda dichiara di odiare, “luoghi dove tali sentimenti probabilmente esistono vili come l’odio”, o “azioni così disumane come abusi. Esistono in quelle case anziani abbandonati, “dentiere dimenticate”. Quanta pochezza, quanta falsità, quante colpe si celano dietro quelle poerte chiuse e invalicabili. 

Infine, la poesia si conclude allo stesso modo nel modo in cui è iniziata, cioè con rammarico, con indifferenza. Nella strofa finale non c’è una goccia di speranza. La sua definizione dell’essere umano rimane sterile, così come le cose che provoca nella sua amara esistenza.

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