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Il Cardinale Gianfranco Ravasi a Pordenonelegge, “L’uomo deve custodire la terra”

Il Cardinale Gianfranco Ravasi inaugura Pordenonelegge con una riflessione sul rapporto tra la visione dei progressi scientifici, la ricerca sull’evoluzione umana e sulle vicende dell’universo e il tema della creazione

Con una riflessione di S.E. il Cardinale Gianfranco Ravasi sul tema “In principio: creazione ed ecologia”, un intervento progettato per il festival e fortemente focalizzato sul nostro tempo, si è inaugurata – mercoledì 18 settembre, alle 18.30 al Teatro Verdi di Pordenone – la 25a edizione di Pordenonelegge, che festeggia quest’anno il suo primo quarto di secolo con la nuova denominazione di Festa del libro e della libertà.

L’apertura della manifestazione, diversamente dagli anni precedenti, è stata affidata a una lectio magistralis, o meglio “una “riflessione” come l’ha chiamata il Cardinale Gianfranco Ravasi, sul rapporto tra la visione dei progressi scientifici, la ricerca sull’evoluzione umana e sulle vicende dell’universo e il tema della creazione, insieme all’urgenza di un vasto impegno per lo sviluppo sostenibile.

La premessa del Cardinale Gianfranco Ravasi

Ascolto è la parola con la quale il Cardinale Ravasi inizia la sua riflessione articolata in una doppia premessa, una parte centrale che si sviluppa come un dipinto e due conclusioni. Ascolto è la parola chiave sia come un invito al pubblico ad ascoltare e a sentire, due termini diversi per la stessa azione, ma anche perché è l’udito il campo semantico dell’intera lezione.

La prima premessa parte infatti dalla descrizione del suono cupo e lontano di una città, da sempre striata di sangue, Gerusalemme, un suono ripetuto anche nei villaggi (jobel in ebraico dallo strumento con cui si diffondeva cioè il corno di capro e da cui deriva la parola giubileo). Questo suono echeggiava dunque ogni cinquanta anni e impegnava alla liberazione degli schiavi e alla remissione dei debiti, azioni che si devono accompagnare, come si dice nel Levitico, a concedere il sabato alla terra in quanto, attraverso il riposo si può scoprire la gratuità dei doni.

La seconda premessa parte dalla musica e in particolare dall’oratorio che Haydn eseguì il Natale del 1800 a Parigi davanti a Napoleone, ma le parole importanti sono quelle che l’autore scrive nel periodo della composizione: “Non mi sono mai sentito così pio come quando scrivevo La Creazione soprattutto nel coro finale, ispirato ai Salmi”: si parte da una modulazione confusa e all’improvviso irrompe con do maggiore fortissimo una voce sovrastante, quella di Dio.

“Queste due premesse – chiarisce il Cardinale Gianfranco Ravasi – servono per spiegare che il linguaggio non sarà scientifico e tecnico, ma simbolico così come si articola anche il primo capitolo della Genesi.”

Il significato di creare

“Il racconto della creazione nella Genesi – spiega Ravasi – inizia con il versetto “in principio sia la luce e luce fu…” dove, a differenza delle cosmologie orientali dove la creazione avveniva attraverso la lotta, qui l’impulso è dato da un suono così come avviene al principio del Nuovo Testamento, quando la parola ovvero il logos si fa suono e questo ci induce a cogliere come la creazione simbolicamente sia una parola.

Poi c’è il verbo creare (bara in ebraico) che non significa plasmare, ma creare dal nulla, tema filosofico descritto nella Bibbia in modo simbolico attraverso la metafora delle tenebre come negazione della luce o attraverso la descrizione del mare contenuta nel libro di Giobbe: là si trova un passaggio in cui Dio narra a Giobbe la nascita del mare e all’inizio e alla fine si parla di porte e battenti, di chiavistelli e spranghe.

Bello e buono

Dio prevede e attua nei confronti del mare limiti invalicabili “qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde”. Il terzo registro contenuto nel racconto della Genesi è la ripetizione per sette volte del “bello e buono“, che introduce la dimensione estetica della creazione, in sé armonia e bellezza. Infine il registro più complesso è la parola Adamo che indica non un nome proprio, ma colui che ha il colore ocra della terra e quando – spiega il Cardinale Gianfranco Ravasi – si dice facciamo l’uomo a nostra immagine, attraverso il parallelismo con Dio si intende con uomo maschio e femmina perché, se è a immagine di Dio, si deve creare così come solo la donna insieme all’uomo può fare”.

Custodire la terra

Infine, quando nel racconto biblico si dice che Dio pose l’uomo sulla terra per coltivarla e custodirla, “vuol dire – dice Ravasi – che abbiamo il dovere di liberare le energie, ma anche di custodire la terra: ci è stato dato il ruolo di vice re, prerogativa che, quando si trasforma in quello di tiranno, produce il deserto, ovvero cardi e spine”. Invece i due verbi rimandano a una concezione diversa: etimologicamente soggiogare rimanda infatti ad esplorare e dominare è il verbo del pastore che guida il gregge, ovvero il suo tesoro. Spetta dunque all’uomo protagonista la scelta: coltivare il giardino che gli è stato concesso o renderlo un deserto.

Conclusioni nel segno della speranza

Le conclusioni della riflessione del Cardinale Ravasi sono affidate a Nicola Stenone e a Giovanni Paolo II. Il primo, medico del ‘600 e anche Vescovo di Hannover scrisse che “belle sono le cose che si vedono più belle quelle che si conoscono bellissime quelle che si ignorano”, includendo cosi – spiega il Cardinale – la scienza, l’arte e il mistero, bellissimo per tutti credenti e non credenti. Di Giovanni Paolo II la seconda e ultima citazione: “Dio ha scritto un libro stupendo le cui lettere sono la moltitudine delle creature presenti nell’universo”. “Sta dunque a noi – conclude Ravasi – la scelta di vivere nel giardino che ci è stato concesso o nel deserto in cui potremmo trasformarlo”.

Alessandra Pavan

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