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Come si realizza una fotografia di paesaggio

La fotografia di paesaggio da un punto di vista tecnico può esser definita come la fotografia in cui non ci sono regole. Ognuno ha l'approccio che vuole con il paesaggio. E' il regno del grandangolo, degli obiettivi normali, dei teleobiettivi...

Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta dei segreti della fotografia con Massimo Siragusa, che oggi ci spiega come si realizza una fotografia di paesaggio

La fotografia di paesaggio da un punto di vista tecnico può esser definita come la fotografia in cui non ci sono regole. Ognuno ha l’approccio che vuole con il paesaggio. E’ il regno del grandangolo, degli obiettivi normali, dei teleobiettivi. Ognuno sceglie il rapporto tra se stesso e tutto ciò che lo circonda. Consigli e suggerimenti di carattere tecnico ve ne sono pochi, perché si tratta di un approccio molto individuale.

Un punto sul quale invece soffermarsi è il rapporto che si deve instaurare con il territorio. La concezione che abbiamo di paesaggio è molto ampia e racchiude moltissime cose. Ci siamo noi con il territorio che ci circonda, e questa è la concezione di paesaggio e di fotografia di paesaggio che preferisco, una sorta di analisi del territorio, della natura, dei campi, dei boschi e anche della dimensione urbana e dell’urbanizzazione. Qui si apre un capitolo molto ampio. Diciamo che l’aspetto più interessante è cercare di trovare la relazione tra il paesaggio, come sta cambiando, e l’uomo. Il paesaggio apre quindi ad una analisi critica del territorio, che non deve essere per forza negativa, bensì vista e vissuta in termini positivi. Pensiamo quando vogliamo raccontare di un territorio che è stato bonificato, e quindi da un momento di degrado, inquinamento ed abbandono, ad una rinascita.

E’ importante che il paesaggio e l’approccio che noi abbiamo con il territorio che ci circonda sia interrogativa, ovvero cercare di capire che cosa ci lega a lui. Pensando a questo tipo di concezione mi viene spontaneo dare come spunti e riferimenti due fotografi che hanno lavorato attorno al paesaggio. Si tratta di due artisti  italiani che sono ormai scomparsi da tempo. Questi avevano approcci totalmente diversi, ma servono a comprendere come ci si può appunto avvicinare al territorio. I fotografi in questione sono Luigi Ghirri e Mario Giacomelli, considerati tra i più grandi maestri della fotografia italiana. Giacomelli è il poeta della fotografia italiana, mentre Ghirri è colui che ha inventato in Italia la fotografia di documentazione ed analisi del territorio.
Partiamo proprio da Ghirri. Emiliano, ha lavorato principalmente in Emilia attorno a casa sua, facendo foto con colori molto delicati, senza esasperare in alcun modo la composizione cromatica.

 

Tra i suoi scatti più noti vi sono quelli di un cancello che si apre in un campo quasi sul nulla, con tutto il campo ricoperto di neve, di un animale di pietra con dietro la finestra, le nuvole e il cielo. Le foto partono dal territorio per dare legittimità ed importanza al territorio  stesso, fatto di piccole cose, di quotidianità e semplicità di linguaggio. Attraverso la foto si vuole dare dignità a questa semplicità. L’intento è quello di partire dal nostro piccolo, in modo da far sì che anche le più piccole cose diventino protagoniste di questo territorio. Anche se noi non siamo nati e cresciuti in quella zona, siamo comunque in grado di identificare quella zona. Un altro esempio molto emblematico è quello della fotografia che ritrae la sua casa in notturna, dove c’è il muro della casa, una finestra illuminata, e nel terreno di fronte alcune orme nella neve. Si tratta di tutte fotografie costituite da pochi elementi, ma in grado di rendere l’atmosfera e rappresentare  identificazione di queste piccolissime cose.

Giacomelli al contrario lavorava soltanto in bianco e nero. Era tipografo, e probabilmente da questo suo essere tipografo è nata anche una poetica che ha eliminato tutti i toni. Le sue foto sono famose in tutto il mondo perché tolgono tutti i grigi intermedi, e sono soltanto bianche e nere, un po’ come se fossero i tratti tipici dei caratteri tipografici.  Mi piace pensare che la sua vera professione lo avesse influenzato nella sua espressione artistica. Analizzava il territorio, ed in particolare il territorio delle Marche, la campagna intorno alla sua regione. La maggior parte delle sue fotografie sono scattate o da una collina al campo sottostante o talvolta anche da un aereo. Sono foto dove nella maggior parte dei casi c’è poco cielo e quasi solo esclusivamente campo.

 

E in questo caso il campo ha una sua identità, e pone in evidenza tutti i segni che i contadini lasciavano sul terreno con gli strumenti del lavoro, ognuno dei quali prende forma come un disegno grafico. Giacomelli aveva bisogno di un legame forte con la sua terra, e di capire dove stesse andando questa sua terra. Sono famose alcune foto in cui è tornato più volte nello stesso luogo, con la stessa angolazione, a fotografare la stessa zona, e verificare di anno in anno come questa zona stesse cambiando. Prima vi era tutto il campo con le piantagioni, i segni dell’aratro, un gabbiotto per gli attrezzi. Con il passare degli anni la cabina degli attrezzi è diventata una casa, è comparso un palo della luce che dopo è diventato di cemento, piante quasi del tutto scomparse, la strada è diventata una strada asfaltata. Questo modo di vedere ed analizzare il paesaggio significa partire dal territorio per farne un ritratto. Tutto ci rimanda quindi alla fotografia di ritratto: raccontare un luogo come se si trattasse di una persona o una storia.

   
13 luglio 2013

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