Vincent van Gogh scrisse moltissime lettere al fratello Theo per raccontargli le sue giornate, le sue creazioni, i suoi problemi. Proprio come dimostra questa epistola dove parla del senso della vita rapportato all’arte.
Arles, settembre 1888. ย Ah, mio caro fratello, a volte so talmente bene quello che voglio. Perciรฒ nella vita e nella pittura posso benissimo fare a meno del buon Dio, ma non posso, nella mia sofferenza, fare a meno di qualcosa di piรน grande di me e che รจ la mia vita: la potenza di creare. Che se, frustrato fisicamente da questa potenza, uno cerca di creare pensieri invece di figli, resta ancora nellโumanitร , nonostante tutto. In un quadro io vorrei dire qualcosa di consolante come una musica. Vorrei dipingere degli uomini o delle donne con un non so che di eterno, il cui simbolo era una volta il nimbo, e che noi cerchiamo mediante lโirradiazione di per se stessa, mediante la vibrazione dei nostri colori. Il ritratto cosรฌ concepito non diventa un Ary Scheffer solamente perchรฉ dietro cโรจ un cielo azzurro come nel SantโAgostino. Poichรฉ, colorista, Ary Scheffer lo รจ proprio poco. Andrebbe, piuttosto, dโaccordo con ciรฒ che Delacroix cercava e trovava nel suo Tasso in prigione e in tanti altri quadri raffiguranti un uomo vero. Ah, il ritratto con dentro il pensiero, lโanima del modello: questo mi sembra talmente che debba venire! โฆ Sono sempre preso fra due diversi pensieri: primo, le difficoltร materiali, girarsi e rigirarsi per crearsi unโesistenza; poi, lo studio del colore. Ho sempre la speranza di trovarci qualcosa. Esprimere lโamore di due innamorati con un matrimonio di due complementari, la loro mescolanza e i loro contrasti, le vibrazioni misteriose dei toni ravvicinati. Esprimere il pensiero di una fronte con la radiositร di un tono chiaro su un fondo scuro. Esprimere la speranza con qualche stella. Lโardore di un essere con unโirradiazione di sole calante. Non si tratta certo del โtrompe-lโoeilโ realistico, ma non รจ forse una cosa che esiste realmente?