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La storia del padre in lacrime che rifiuta l’abbraccio di suo figlio

Questa è la storia di Nasser, che, di ritorno dall'ospedale, deve rifiutare l'abbraccio di suo figlio. Un gesto che racchiude tutto l'amore di un padre

“Fermare l’abbraccio del proprio bambino per proteggerlo. La lacrime di questo padre di ritorno dall’ospedale, il dolore di doverci fermare, contenere, bloccare per proteggerci”. Sono queste le parole con cui Roberto Saviano commenta un video, partito dall’Arabia Saudita e diventato in poche ore virale.

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Il video

Protagonista del video è Nasser Ali Al Shahrani, medico dell’ospedale King Salman di Riad in Arabia Saudita. Lo vediamo varcare la soglia di casa e tirarsi indietro non appena scorge il figlio correre verso di lui con le braccia tese per abbracciarlo. “La, La”, “No, no”, dice il medico prima di inginocchiarsi e scoppiare in lacrime.

 

 
 
 
 
 
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Un gesto che racchiude l’amore di un padre

Questo video racconta il dramma dei sanitari, in prima linea nella lotta contro il Coronavirus. Ogni giorno, medici, infermieri e operatori sanitari mettono a rischio la loro incolumità per assolvere a un compito più grande di tutti noi: salvare le nostre vite e contrastare un contagio che sembra inarrestabile. Ma questo video ci racconta qualcosa di più. Ci racconta la paura di contagiare gli altri, le persone che più amiamo e con cui condividiamo la quotidianità. È il caso di Nasser, il cui incubo quotidiano non finisce, una volta varcata la soglia dell’ospedale, ma continua da padre nell’istante in cui rientra a casa. Riabbracciare il figlio vorrebbe dire esporlo al rischio di essere contagiato. E così quell’abbracciato desiderato, di cui Nasser – mai come in questi giorni – avrebbe bisogno, si trasforma in un ulteriore dramma. Questa è la storia di Nasser, ma è anche la storia di tutti coloro che ogni giorno sono a contatto con il virus per ragioni necessarie. Sono i medici, gli infermieri, ma sono anche i farmacisti, gli addetti ai supermercati, i panettieri, gli edicolanti, gli operai: tutti coloro che non hanno la possibilità di fermarsi e isolarsi per proteggere sé stessi e, soprattutto, i loro cari. Quindi, per loro facciamo una cosa: restiamo a casa. 

 

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