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“I ragazzi hanno perso i riferimenti”. Lettera di una docente sulla scuola oggi

Pubblichiamo la lettera di Alessandra Pavan, docente di Scuola Secondaria di Primo Grado, che analizza la situazione della scuola italiana oggi, tra incertezze e mancanza di visione

Una classe dirigente che sulla scuola è attenta più ai numeri che alle persone, in particolare gli studenti, e assorbita dal presente,  senza idee per la costruzione di un futuro. E’ questa la denuncia di Alessandra Pavan, docente di Scuola Secondaria di Primo Grado. Nell’analizzare la situazione della scuola italiana oggi, tra incertezze e mancanza di visione, la docente sottolinea sottolinea come occorra dall’alto considerare il punto di vista degli studenti, smarriti e in cerca di un punto di riferimento.

La lettera

Sono un’insegnante di Lettere e ogni volta che mi trovo a spiegare il “particulare” di Guicciardini non faccio fatica a trovare esempi di attualità. Si tratta del tornaconto personale, della molla che fa scattare tutte le azioni umane in chiave individualistica. Questo spregiudicato interesse al concreto e al particolare, al di là di ogni esperienza puramente libera e dottrinale, muove anche le pagine della Storia d’Italia, nella quale gli avvenimenti sono colti dallo scrittore fiorentino nel loro nascere e svilupparsi, nella loro irregolarità irriducibile a qualsiasi schema o principio.

Ecco, oggi più che mai nella seconda ondata della pandemia fatico a trovare un principio omogeneo nel modo in cui noi insegnanti viviamo questo difficile momento a scuola. Nel primo lockdown ci siamo tutti insieme trovati nella stessa posizione di dover affrontare il mondo sconosciuto della Dad e abbiamo reagito compatti, perché non c’era alternativa. Ora, in questa fase che sembra lunghissima, il panorama appare frastagliato e scomposto.

Non c’è contrapposizione tra docenti giovani e docenti esperti, né tra chi è a favore del ritorno a scuola in presenza e chi invece continua, appagato, la Dad. E’ difficile trovare un denominatore comune e anzi nelle infinite ed oziose riunioni scatta. Un po’ come succede nei gruppi di ascolto, la voglia insopprimibile da parte di noi insegnanti di raccontare, ognuno, la propria storia a distanza e i propri successi: “c’è la pandemia, io però…”.

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Il vizio di portare la propria esperienza particolare (Guicciardini) e di coltivare il proprio giardino (Voltaire) che non porta a nessuna soluzione comune ed alimenta un chiacchiericcio per me insopportabile. Un vizio antico che ci vede sempre frammentati di fronte alle novità e alle nuove sfide che il presente accelerato impone. Ricordo le accanite resistenze di fronte all’introduzione del registro elettronico, considerato da molti una diavoleria del mondo moderno. Ricordo anche le infinite discussioni sull’adozione dei libri di testo o sulla revisione dei programmi necessariamente da aggiornare.

Ebbene, tutti questi personalismi ora si sono moltiplicati. Anziché trovare un fronte comune ci si perde in querule voci di dissenso e di rassegnazione. Sul fronte dei nostri superiori è venuta meno la generazione dei presidi che avevano una visione culturale e multiprospettica della scuola. Ora abbiamo, generalmente, una classe dirigente attenta ai numeri più che alle persone e assorbita dal presente – anche prima del Covid – senza idee per la costruzione di un futuro. Con la variabile emotiva dei genitori, sempre più assillanti e desiderosi di partecipare alla gestione delle classi.

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Genitori, dirigenti, docenti hanno però condiviso spesso in questi ultimi anni una visione performativa della scuola, ovvero inseguire obiettivi di successo e di eccellenza: una prospettiva in chiave americana che è stata sgretolata dall’arrivo violento e improvviso della pandemia, senza la previsione di un piano alternativo.

Il cuore della scuola è pero costituito dagli studenti, ora impropriamente chiamati utenza, smarriti, fragili e non più contrapposti come nell’epoca delle contestazioni al mondo adulto, ma in cerca di punti di riferimento. Ora più che mai. Avevano energie, iniziativa, entusiasmo ora, invece, si stanno adeguando ai ritmi casalinghi dell’insegnamento a distanza. Li vedo quasi rimpiccioliti dentro le loro tute dai colori sempre più spenti, i capelli arruffati e gli occhi assonnati. Ho una classe con cui condivido dieci ore di lezioni settimanali, che sono tantissime in questa modalità.

Eppure sono sempre puntuali, attenti e curiosi. Con nuove ansie – mi hanno confessato – perché il compito o l’interrogazione da casa, senza gli occhi dei compagni che suggeriscono, fanno più paura. Perché i pomeriggi si snocciolano sempre uguali e le giornate si confondono. Perché mancano gli altri, quelli che conoscevano e i nuovi amici che a quest’età si incontrano, di solito, tutti i giorni.

Sì – concludiamo assieme – fateci tornare in classe al 50 per cento, con le finestre aperte, nei parchi il prima possibile.

Alessandra Pavan

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