Sei qui: Home » Società » L’eccidio nazista di Sant’Anna di Stazzema, per non dimenticare

L’eccidio nazista di Sant’Anna di Stazzema, per non dimenticare

Sono passati 76 anni dall'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, nel quale i nazisti fucilarono più di 500 civili inermi tra vecchi donne e bambini

Il 12 agosto 1944 i soldati nazisti diedero l’assalto a Sant’Anna di Stazzema, un piccolo paese della Versilia (Toscana), notoriamente zona di rifugio degli sfollati di guerra. Le vittime furono 560, prevalentemente donne e bambini. Una strage pianificata a tavolino per colpire la popolazione italiana e tentare di frenare le rivolte partigiane.

76 anni dall’eccidio di Sant’Anna di Stazzema

Il paesino di Sant’Anna di Stazzema si trova sulle Alpi Apuane, a 600 metri sul livello del mare. La sua collocazione geografica lo ha reso una meta privilegiata per la popolazione civile sfollata dalle grandi città, prese di mira dai bombardamenti anglo americani. Nel frattempo, le milizie partigiane combattevano sul campo le truppe tedesche.

All’inizio dell’agosto 1944 Sant’Anna di Stazzema era però stata abbandonata dai partigiani, che si diressero altrove senza aver svolto grandi operazioni militari contro i tedeschi, non tali – quantomeno – da giustificare una rappresaglia sui civili. Nonostante questo, alle prime luci del giorno del 12 agosto 1944, tre reparti di milizie accerchiarono l’intero paese, chiudendo ogni via di fuga. Gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati o uccisi, mentre donne, vecchi e bambini, restarono nelle loro case, certi che nulla sarebbe capitato loro in quanto civili inermi. Invece accadde proprio il contrario. Le SS aprirono il fuoco sugli innocenti, uccidendo 560 persone tra Sant’Anna di Stazzema e il vicino paese di Valdicastello. 65 erano bambini sotto i dieci anni. La vittima più giovane era una bimba di appena 20 giorni di vita.

Il racconto di chi è sopravvissuto

Enio Mancini è uno dei pochissimi sopravvissuti all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Aveva solo sei anni il giorno della strage. “Sono scampato all’eccidio perché il giovane militare tedesco che doveva sparare a me e al mio gruppo, quando fummo rimasti soli davanti a lui ed egli si sentì sicuro di non essere visto dai suoi commilitoni, ci fece segno di scappare e sparò una mitragliettata in aria. Quando sono scampato all’eccidio ero un bambino di soli sei anni e posso dire che è’ difficile vivere con questo ricordo; infatti – ha precisato Enio Mancini- non si guarisce e sei perseguitato per tutta la vita.

Enio ha scritto un libro per commemorare l’eccidio, e continua ad andare nelle scuole per raccontare la sua storia ed educare le nuove generazioni a dire no al nazismo e al fascismo. “Sono quei 130 bambini morti innocenti, tra i quali il mio amico Velio e la mia amica Vilma – continua l’autore Enio Mancini – che mi hanno spinto a conservare il ricordo. Io ne parlo per ricordare, per costruire questa memoria e non per odiare. Con la guerra non si risolve nulla, anzi anche i problemi si ingigantiscono. Io devo credere nell’utopia della pace. Vado nelle scuole, italiane ed anche tedesche, ormai da anni e racconto questa storia e mi fa piacere quando vedo i giovani commuoversi perché in loro vedo il sentimento”. Leggi qui l’intervista completa.

 

© Riproduzione Riservata