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Francesca Colavita e le altre due ricercatrici italiane che hanno isolato il Coronavirus

Tra ricerca e precariato: ecco la curiosa storia delle tre ricercatrici italiane che hanno isolato il Coronavirus

Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti: ecco i nomi delle tre ricercatrici che sono riuscite, per prime in Europa, a isolare il virus.

Un successo clamoroso

 Grazie all’aiuto del team dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma le tre ricercatrici del laboratorio di Virologia hanno portato a termine la scoperta, e hanno dato inizio alla messa a punto del vaccino e allo sviluppo e al perfezionamento della diagnosi e della cura del virus che sta allarmando il mondo intero: il coronavirus, una famiglia di virus respiratori, di cui ancora si stanno studiando le origini e le cause scatenanti.

Orgoglio italiano

Maria Rosaria Capobianchi è il capo del laboratorio di virologia dello Spallanzani. Di origini campane, nata a Procida 67 anni fa, è laureata in scienze biologiche e ha una specializzazione in microbiologia. Concetta Castilletti è la responsabile dell’Unità che si occupa dell’analisi e lo studio dei virus emergenti. Di origini siciliane, nata a Ragusa 57 anni fa, è specializzata in microbiologia e virologia ed è conosciuta tra i colleghi con il soprannome “mani d’oro”. Subito dopo la scoperta, ha dichiarato: «Abbiamo cullato il virus, ma abbiamo avuto anche un po’ di fortuna». Francesca Colavita è la ricercatrice appena trentenne, di origini molisane, con alle spalle missioni in Sierra Leone per combattere l’Ebola, che lavora come precaria presso il laboratorio di virologia e biosicurezza. Da quattro anni collabora all’Istituto Spallanzani ma non è ancora riuscita a lasciarsi alle spalle la trafila tutta italiana dei contratti di collaborazione rinnovati ad oltranza. 

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Le parole di Francesca Colavita

Parole di speranza e di grande umiltà quelle rilasciate a Repubblica dalla dottoressa Colavita. “Sembra strano, ma studiare i virus è stimolante, è una sfida costante, una battaglia in cui stare sempre all’erta. Da parte mia, ho solo fatto il mio lavoro: quello che voglio, devo e mi piace fare. Nulla di più rispetto ai miei colleghi. In questi giorni tutto è amplificato, abbiamo avuto successo, ma la ricerca è questa”. 

Ha poi aggiunto: “Non c’è sessismo nella ricerca, i problemi sono altri. La ricerca è importante per una nazione, e sarebbe importante fare investimenti a lungo termine per quello che riguarda i lavoratori. Sono sei anni che lavoro per lo Spallanzani, prima con un co.co.co, ora con un contratto annuale. Guadagno sui 20mila euro all’anno”.

Da qui l’appello ai nostri politi e a tutti coloro che nella pubblica amministrazione potrebbero dare inizio a un processo di cambiamento nel mercato del lavoro e nel campo della ricerca: “L’Italia deve dare più dignità ai ricercatori. Il nostro lavoro non è un gioco: anche la più piccola ricerca è il tassello di un puzzle che porta cure ed effetti. Ma bisogna passare per i piccoli passi, esperimenti a volte molto basilari. Mi auguro che questa occasione possa contribuire a far vedere la ricerca in modo diverso“.

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