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Emanuele Trevi, “Chi alza muri non rispetta i valori dell’Europa e dei Paesi membri”

Le riflessioni dello scrittore Emanuele Trevi in seguito alla decisione da parte di Londra di erigere un muro in cemento armato anti-migranti alle porte di Calais

MILANO – “Il senso dell’accoglienza e la paura dell’illegalità sono sentimenti universali, non esclusiva di una specifica classe politica. Le catastrofi succedono quando una classe politica si appropria di certi sentimenti.” E’ questa la prima riflessione dello scrittore Emanuele Trevi in seguito alla decisione da parte di Londra di erigere un muro in cemento armato anti-migranti alle porte di Calais. Una decisione simile a quella presa dal governo austriaco, il quale ha annunciato un “decreto d’urgenza” che permetterebbe a Vienna di bloccare i migranti alle frontiere. Secondo l’autore, queste iniziative singole da parte degli Stati Europei sono conseguenza della mancanza di una linea comune tra le nazioni membre, frutto del fatto che “ognuno risponde al suo elettorato, non alle necessità di un continente con cui condivide confine, storia e tradizioni”. Ecco le parole di Emanuele Trevi che invitano a riflettere tutti.

 

“Il muro di Calais è sintomatico della mancanza di una presa di posizione unilaterale da parte dei singoli governi europei, come quello ungherese. E’ la dimostrazione che il progetto europeo va rifondato dalle radici. E’ stupefacente come siamo legati ad una moneta, senza essere uniti da una politica di coesione, da responsabilità comuni.

La paura reale è dovuta non solo agli attentati terroristici o alla fobia dei migranti: essa dipende anche dal fatto di essere cittadini di un’Unione che non riesce a trovare degli accordi tra tutte le nazioni. Anche quando avvengono certi accordi tra Stati, sono frutto di summit trilaterali. Si possono rispettare atteggiamenti di apertura e comprendere le ragioni che portano alla paura, ma è intollerabile che una nazione appartenente all’Unione Europea prenda posizioni unilaterali. L’Ungheria e l’Austria dovrebbero essere esplulse dall’Unione Europea, ma ciò creerebbe un disastro economico.

L’Italia, più di altre nazioni, affacciandosi sul mare, ha insita in se stessa una cultura di civiltà, ma confina con altre nazioni che non fanno la loro parte. Purtroppo, ognuno risponde al suo elettorato, non alle necessità di un continente con cui condivide confine, storia e tradizioni. Ciò trasforma l’Europa in un territorio alla mercé dei terroristi: non è  serio aver fatto un trattato come Schengen e poi decidere di sospenderlo, e sorpattutto non è serio il vero muro tra chi dice “apertura” e chi invece soffia sul fuoco della paura.

Le persone non sono ne buone ne cattive: occorre vedere caso per caso. Il muro più grave sta nel non capire le ragioni di chi ha paura: occorre creare ordine. L’accoglienza non deve essere monca, ma ragionata rispetto al lavoro, non alla possibilità di accogliere, di avere posti letto. Il senso dell’accoglienza e la paura dell’illegalità sono sentimenti universali, non esclusiva di una specifica classe politica. Le catastrofi succedono quando una classe politica si appropria di certi sentimenti. Fare propri certi sentimenti rifiutandone altri è un muro ben più pericoloso rispetto a quello di Calais.

Il muro è il risultato del fatto che non riusciamo a creare un sentimento comune. Ci sentiamo anche fieri, come italiani, del fatto di salvare vite, di dare un futuro migliore a bambini in difficoltà. Pensare in una maniera rigida non porta a nulla. Occorre completare un “film mentale”, che racconti anche il fatto che tutte le cose belle non sono esenti da rischi, altrimenti qualcuno si approprierà di questi pericoli, portando poi le nazioni ad essere governate da persone incapaci. Dobbiamo interiorizzare le paure, essere responsabili di chi decidiamo di votare”.

 

 

 

 

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