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Il Natale, i bambini e la guerra, due mondi che non dovrebbero incontrarsi

Il mondo dei bambini e la realtà della guerra non dovrebbero mai entrare in contatto. Invece, questo Natale, innumerevoli i piccoli vivranno quello che dovrebbe essere un momento di festa come un giorno in cui non c'è spazio che per la paura, proprio come ci racconta Romain Gary nel suo "Gli aquiloni".

È quasi Natale, e mentre siamo occupati ad ultimare i preparativi per questi attesi giorni di festa, nel mondo ci sono moltissime persone che soffrono fame, indigenza e paura a causa della guerra. In Ucraina e in Yemen, in Mozambico e in Tigray, così come in numerosi altri luoghi della nostra terra martoriata, ci sono bambini che vivono nel terrore e perdono tutto ciò che hanno.

Il mondo dei bambini e la realtà della guerra non dovrebbero mai entrare in contatto. Eppure, ormai troppo spesso i più piccoli ed innocenti sono coloro i quali pagano le conseguenze più gravi della violenza causata dagli adulti. Sarebbe bene ricordarsene soprattutto a Natale, il periodo dell’anno preferito dai nostri piccoli.

La guerra non dovrebbe riguardare i bambini, né a Natale, né mai. Anzi, la guerra non dovrebbe proprio esistere. Se tantissimi libri la raccontano, però, è perché non riusciamo a fare a meno di questa modalità per risolvere le questioni internazionali, non ne possiamo fare a meno perché è un modo per arricchirci e legittimare il nostro potere sopraffacendo il prossimo. Questo è ciò che racconta Romain Gary nel suo bellissimo romanzo “Gli aquiloni“, un inno al pacifismo, all’amore e alla bellezza dell’essere genuini.

“Gli aquiloni” di Romain Gary

È un giorno d’ombra e sole degli anni Trenta quando, dopo essersi rimpinzato e assopito sotto i rami di una capanna, Ludo scorge per la prima volta Lila, una ragazzina biondissima che lo guarda severamente da sotto il cappello di paglia. Ludo vive a Cléry, in Normandia, con suo zio Ambroise, «postino rurale» tornato pacifista dalla Grande guerra e con una inusitata passione: costruire aquiloni.

Non è un costruttore qualunque. Da quando la “Gazette” di Honfleur ha ironicamente scritto che gli aquiloni dell’«eccentrico postino» avrebbero reso famosa Cléry «come i pizzi hanno costituito la gloria di Valenciennes, la porcellana quella di Limoges e le caramelle alla menta quella di Cambrai», Ambroise è divenuto una celebrità. Belle dame e bei signori accorrono in auto da Parigi per assistere alle acrobazie dei suoi aquiloni, sgargianti strizzatine d’occhio che il vecchio normanno lancia in cielo.

Anche Lila vive in Normandia, benché soltanto in estate. Suo padre non è, però, un «postino spostato». È Stanislas de Bronicki, esponente di una delle quattro o cinque grandi dinastie aristocratiche della Polonia, detto Stas dagli amici dei circoli di giocatori e dei campi di corse. Un finanziere che guadagna e perde fortune in Borsa con una tale rapidità che nessuno potrebbe dire con certezza se sia ricco o rovinato. L’incontro infantile con Lila diventa per Ludo una promessa d’amore che la vita deve mantenere.

Il romanzo è la storia di questa promessa, o dell’ostinata fede di Ludo in quell’incontro fatale. Una fede che non viene meno nemmeno nei drammatici anni dell’invasione tedesca della Polonia, in cui Lila e la sua famiglia scompaiono, e Ludo si unisce alla Resistenza per salvare il suo villaggio dai nazisti, proteggere i suoi cari e ritrovare la ragazzina biondissima che lo guardava severamente da sotto un cappello di paglia.

Quando i bambini incontrano la guerra

Nel raccontare le vicende del piccolo Ludo e del nonno Ambroise, Romain Gary ci proietta nell’universo di un giovanissimo protagonista alle prese con le brutture della guerra. Il contrasto fra i bambini e la tragica realtà che essi sono costretti a vivere è ben rappresentata da un inciso di Ludo:

“Eravamo ancora tutti e cinque prossimi alle ingenuità dell’infanzia, quelle ingenuità che forse sono la parte più feconda che la vita ci dà e poi si riprende”.

Questa “ingenuità”, che somiglia un poco alla genuina fame di libertà di Ambroise, non dovrebbe essere scalfita dagli eventi della vita, non dovrebbe essere distrutta da un evento terribile come quello della guerra. Eppure, questo accade troppo spesso. E allora nemmeno gli aquiloni, da sempre simbolo di libertà e leggerezza, riescono a risplendere della loro natura:

“Gli aquiloni sono sempre lì, ma rimane il divieto di farli volare. Ad altezza d’uomo, non oltre, dice il regolamento. Le autorità temono questi segni in cielo, temono un codice, uno scambio di messaggi, dei punti di riferimento o dei segnali ai partigiani. Solo ai bambini è consentito tenerli attaccati a un filo. Vietato elevarsi. È penoso vedere il nostro Jean-Jacques o il nostro Montaigne trascinarsi a livello del suolo, è duro vederli strisciare. Un giorno saranno liberi di salire di nuovo molto in alto nel cielo e correre all’inseguimento dell’azzurro”.

Ecco gli effetti delle guerre: non danno niente, tolgono soltanto. La vita scorre senza sentimento. Tutto è ovattato nel mare di bombe, di armi, di uomini morti e feriti che non fanno più ritorno a casa. E anche a Natale dovremmo ricordarci che oggi tutto questo accade ancora di frequente.

Un Natale senza guerra

Se pensiamo al Natale, ormai sempre più vicino, non possiamo non rivolgere un pensiero a tutte le persone che in questo momento vorrebbero tanto organizzare una cena della Vigilia con tutta la famiglia, o pensare ai regali per i propri figli, o riposarsi dopo lunghe e faticose giornate di lavoro al caldo davanti al fuoco del caminetto.

Invece no. La realtà è un’altra ed è molto più dolorosa: nello stesso istante in cui leggiamo queste parole, ci sono milioni di bambini che soffrono, che non hanno niente, e che spesso hanno anche perso la speranza, la fiammella che dovrebbe rimanere sempre viva ad alimentare i nostri sogni, soprattutto a Natale, e che mai dovrebbe abbandonare il cuore dei più piccoli. Pensiamoci, mentre saremo seduti a festeggiare. Pensiamo al Natale, al suo valore, ai bambini e alla guerra, e domandiamoci se stiamo facendo abbastanza per evitare che si consumino le tragedie cui assistiamo da tanto, troppo tempo.

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