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Chi sono gli hikikomori e perché è importante parlarne

Chi sono gli hikikomori? Continua la rubrica del professor Lancini che ci spiega il fenomeno che viene dal Giappone

L’arrivo della pandemia, e il conseguente lockdown, ci hanno costretti a vivere in casa riducendo notevolmente i contatti con il mondo esterno. Un’esperienza che alcuni hanno paragonato ad un fenomeno profondamente diverso che esiste da tempo e coinvolge adolescenti autoreclusi volontariamente. Il termine utilizzato, e coniato a fine anni ’80 in Giappone da Saito Tamaki, è hikikomori. Si tratta di una forma di disagio generazionale diffusasi anche in Italia, che prevalentemente coinvolge giovani maschi preadolescenti, adolescenti e giovani adulti. Questi ragazzi, progressivamente, abbandonano la scuola, le relazioni, ogni contesto di investimento e appartenenza sino alla dolorosissima scelta estrema di ritirarsi nella propria casa o addirittura fra le mura invalicabili della propria cameretta.

Hikikomori, le cause

A dare avvio al progressivo processo di ritiro è il crollo dell’ideale infantile di fronte alle trasformazioni corporee, psichiche e relazionali portate in dotazione dall’adolescenza. Ritirarsi dagli ambienti popolati dai coetanei è l’unica reazione possibile di fronte a un dolore intollerabile che riguarda una profonda ferita narcisistica. Il nucleo centrale di tale sofferenza ha a che fare con il sentirsi inadeguati, diversi, strani, impresentabili. Il rischio percepito è quello di soccombere nel confronto con gli altri adolescenti, tutti apparentemente dotati di ciò che serve per essere brillanti e popolari. Lo sguardo altrui diventa l’elemento che più espone all’umiliazione. L’aspetto profondamente drammatico di queste vicende è la scelta di suicidarsi socialmente proprio nel momento in cui si dovrebbe nascere socialmente. Il ritiro segnala quindi una nuova forma di disagio adolescenziale che rientra tra quelle che potremmo definire patologie della vergogna o dell’ideale.

Ritirarsi o non mangiare: due volti della stessa medaglia

In questo senso l’autoreclusione volontaria sembra essere l’equivalente maschile del disturbo della condotta alimentare femminile. Ambedue si costituiscono a partire da un sistema sociale che in generale poggia le proprie basi sull’individualismo, l’iperinvestimento narcisistico dell’infanzia, la spinta alla competizione. In entrambi i casi la decisione radicale di sparire sembra essere dettata dal conflitto con ideali crudeli, particolarmente esigenti.

Amici virtuali e adulti reali

Il giovane ritirato cerca, in molti casi, di lenire la propria sofferenza ricorrendo ad uno degli ambienti più pervasivi della realtà odierna: internet. Il mondo virtuale consente di mantenere gli altri a distanze tollerabili, di rimanere in contatto con la realtà e di intessere relazioni con coetanei altrimenti inavvicinabili. Non è internet la causa del ritiro sociale, anzi, spesso è attraverso un utilizzo relazionale ed evolutivo della rete che l’adolescente autorecluso può continuare il proprio percorso di crescita in un’area protetta, intermedia tra realtà e onnipotenza narcisistica. Il lavoro di presa in carico dell’adolescente ritirato richiede la costruzione di una solida alleanza tra le diverse figure adulte. Psicoterapeuta, genitori e docenti devono impegnarsi a individuare proposte scolastiche e relazionali alternative, creative, percorribili per il giovane hikikomori, in modo da aiutarlo progressivamente a riprendere il percorso evolutivo interrotto.

Matteo Lancini

Psicologo e psicoterapeuta. Presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano. Docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca. Autore di numerose pubblicazioni sull’adolescenza, le più recenti: Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa (Raffaello Cortina, 2019). Cosa serve ai nostri ragazzi. I nuovi adolescenti spiegati ai genitori, agli insegnanti, agli adulti. (Utet, 2020).

Carmen Giorgio
Psicologa e psicoterapeuta. Socia dell’Istituto “Minotauro” di Milano.

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