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Elio Grazioli, curatore di Fotografia Europea, ”Il nostro festival ha raggiunto notorietà internazionale”

Il Festival Fotografia Europea è giunto quest'anno alla sua ottava edizione. Si tratta di una manifestazione che coinvolge artisti provenienti da tutta Europa, che vengono invitati a riflettere sull'importanza dell'immagine contemporanea. Elio Grazioli, critico d'arte e curatore di questa edizione ci parla della manifestazione ...
Il curatore del Festival Fotografia Europea di Reggio Emilia ci illustra l’importanza della manifestazione, i temi e le novità introdotte in questa ottava edizione
 
MILANO – Il Festival Fotografia Europea è giunto quest’anno alla sua ottava edizione. Si tratta di una manifestazione che coinvolge artisti provenienti da tutta Europa, che vengono invitati a riflettere sull’importanza dell’immagine contemporanea. Il punto di partenza da cui si muove ogni anno è l’insegnamento di Luigi Ghirri: la possibilità, attraverso l’immagine, di guardare al mondo come non lo si è mai fatto prima. Per l’edizione 2013 il tema scelto è Cambiare. Fotografia e responsabilità. Elio Grazioli, critico d’arte e curatore di questa edizione ci parla della manifestazione, delle novità introdotte e ci fornisce una personale riflessione sull’importanza della fotografia ai giorni nostri. 
 
Quali sono le caratteristiche e qual è l’importanza del Festival Fotografia Europea?
Siamo ormai all’ottava edizione e credo che il festival sia divenuto di notorietà nazionale ma in parte anche internazionale. Lo possiamo constatare dalle proposte e informazioni  che ci arrivano. Si tratta di un risultato molto soddisfacente, che ha premiato la costanza di questo lavoro. 
Caratteristica diventata ormai storica della manifestazione è che nei due giorni che seguono l’inaugurazione si susseguono incontri con gli artisti ma anche con personalità di discipline a ambiti diversi, dalla letteratura alla sociologia, che si confrontano sul tema che noi proponiamo. Reggio Emilia, che è una città che ha risposto fin dalla prima edizione in maniera esemplare, moltiplica in tutti gli angoli della città esposizione in parte coordinate da noi ed in parte spontanee. Alcune persone aprono la propria casa per ospitare i fotografi e le loro mostre. Vi è poi la partecipazione attiva di locali, ristoranti, alberghi, negozi. Quest’anno ne contiamo più di trecento. Si tratta di una città di una generosità estrema, e questo crea un’atmosfera molto condivisa sia nei giorni di inaugurazione che per tutta la durata della manifestazione. Non si respira l’atmosfera delle mostre nei musei, in cui vanno poche persone addette ai lavori che si sentono anche loro incomprese. Qui si respira un’aria di festa. 
Come ogni altra edizione ci sono almeno una ventina di grandi esposizioni per lo più personali che celebrano artisti storici di notorietà internazionale. Gli omaggi di quest’anno sono dedicati uno a Carla Ceratti, famosa per tre serie molto contrastanti tra loro: nudi, manicomi e party e feste milanesi degli anni Settanta. Il secondo è invece riservato a Weegee, considerato il fotoreporter americano di cronaca nera per antonomasia. Si tratta di un personaggio incredibile, che arrivava sul luogo del delitto ancora prima della polizia, di modo da essere il primissimo testimone, su una scena che non era ancora stata toccata. 
 
L’edizione di quest’anno di Fotografia Europea è incentrata sul cambiamento. Come mai la scelta di questo tema? Cosa si intende per cambiamento nel mondo della fotografia?
Quest’anno, come ogni anno, il festival è incentrato su un argomento, che in questa edizione è appunto il cambiamento. Si tratta di un tema che è sulla bocca di tutti, e che noi cerchiamo di affrontare attraverso la fotografia da diversi punti di vista. Questo misto di sorpresa che sia con il sorriso o con un’altra emozione, e il turbamento che dice che evidentemente qualcosa in ciò che vediamo è cambiato sono i due segnali che abbiamo privilegiato nell’immagine di cambiamento. Abbiamo voluto introdurre un termine che ci sta particolarmente a cuore e che è straniamento: attraverso la stranezza che noi vediamo e proviamo di fronte a questa rottura delle abitudini percettive sappiamo che qualcosa sta cambiando ed è cambiato e cerchiamo di sintonizzarci. Il sottotitolo della manifestazione è fotografia e responsabilità. La nostra preoccupazione è stata  proprio questa, ovvero di dare al cambiamento anche un richiamo alla responsabilità di ciascuno. Il fotografo lo fa attraverso la responsabilità del suo sguardo, della propria testimonianza di fronte a ciò che decide di catturare, di scattare. 
 
Quali sono le novità che sono state introdotte in questa ottava edizione?
La novità principale di quest’anno è la presenza di una fotografa giapponese, che ci fa sforare dall’ambito europeo che è segnato dal nome  stesso della nostra manifestazione. L’artista si chiama Rinko Kawauchi, e noi l’abbiamo ritenuta indispensabile per questa edizione perché ci da quel lato del cambiamento quotidiano, sentito in maniera fortemente emozionale e attraverso la luce. Il suo progetto si intitola infatti Illuminance. In Europa non troviamo una sensibilità come quella proposta da questa artista, dunque abbiamo voluto colmare questo vuoto. 
Una specie di sotto sezione all’interno di questa edizione è occupata da quattro fotografi russi che sono stati invitati da Laura Serani, che propongono temi diversi, da un reportage nei luoghi di Chernobyl vent’anni dopo il disastro al rapporto tra una madre e una figlia raccontato come una favola, un racconto soffuso, di sentimento e di immaginazione. 
 
Quali autori presenti in questa edizione hanno, a suo avviso, interpretato in modo più creativo ed innovativo il tema proposto?
Numerosi sono gli artisti che hanno interpretato in modo magistrale il tema come ad esempio Mick Rock, fotografo di musica pop che ha fatto diverse copertine diventate leggendarie. Ha lavorato con i Queens, David Bowie, Rolling Stones, è stato uno dei grandi della fine degli anni Sessanta e Settanta, tanto da prendere questo nomignolo, identificandosi perfettamente con la musica rock. 
Star internazionali della fotografia, come Esko Männikkö  fotografo finlandese a cui avevo affidato un reportage su Reggio Emilia e non essendo un reporter ha fotografato dettagli e fatto ritratti come un reporter normalmente non fa perché non ha uno sguardo da artista.
Ci sono poi gli italiani, come ad esempio Andrea Galvani e Stefano Damadio. Li ricordo insieme perché sono le due punte di diamante di questa riflessione sul cambiamento, in quanto hanno a che fare con quell’aspetto del cambiamento che ci colpisce di più, ovvero quello basato sulla tecnologia. La tecnologia è sempre un passo avanti a noi, anche visivamente. Per fare un esempio, Damadio ha fotografato i dispositivi tecnologici e i luoghi dove si realizzano gli esperimenti. Questi appaiono come spazi del futuro, caratterizzati da queste geometrie insistite, da materiali lucidi e perfetti, senza mai un briciolo di polvere. Galvani invece è stato l’unico italiano a partecipare ad una spedizione al Polo Nord in cui hanno catturato la luce del sole che è stata poi sparata nuovamente in cielo come se fosse restituita alla sua origine. Galvani ha realizzato queste fotografie da vero e proprio artista piuttosto che da reporter. 
C’è poi una bellissima mostra collettiva curata da Walter Guadagnini intitolata Vita Nuova che parte dal fatto di aver notato come negli ultimi vent’anni diversi fotografi di fama internazionale si siano concentrati sui cambiamenti psicofisici che noi stessi percepiamo fisicamente e a livello psicologico. L’intera esposizione è infatti incentrata su una stagione precisa dell’esistenza umana: l’adolescenza, l’età del cambiamento per eccellenza. 
Quello che ha suscitato più curiosità perché il più glamour, alla moda, rispondente in maniera vivida al gusto e costume attuali è l’inglese David Stewart che presenta fotografie da una serie che si chiama Stuff, che vuol dire cosa da poco, sciocchezza, ma che nell’espressione “Stuff of Life” significa “senso della vita”. L’autore gioca quindi su questo senso contraddittorio della parola stessa, e impiega il suo humor inglese manipolando le forme: ad esempio, i capelli pettinati in un certo modo fanno apparire la testa come un pesce, oppure attaccando una finta proboscide in un campo ad una mucca per farla sembrare un improbabile elefante. Crea scene spaesanti e strane che suscitano il sorriso ma anche un minimo turbamento. 
 
In un mondo che è ormai totalmente iconografico, cosa può portare ancora di nuovo la fotografia?
L’immagine che caratterizza la società di oggi è principalmente quella offerta dalla televisione, quindi l’immagine in movimento, vaga e fugace. La fotografia ci da invece un’immagine ferma che ci invita a dedicarle del tempo, a scorrere i dettagli, a guardarla con attenzione, a fermarci, a rallentare il nostro ritmo. La fotografia non ci trasmette soltanto l’immagine ma molto di più: ci trasmette il punto di vista, il pensiero di chi la fa, e questa è una caratteristica unica e che ci sta molto a cuore. Questo strano oggetto, una carta stampata con sopra un soggetto ha ancora, a distanza di anni, una grande magia. Pensando a queste caratteristiche appena elencate cambia addirittura il senso stesso dell’espressione società dell’immagine. Di solito la si intende in maniera critica, poiché attualmente le immagini hanno assunto un’importanza superiore alla parola, portando però ad un impoverimento. La fotografia invece ci arricchisce, e risulta quindi un buon motivo per continuare a lavorarci. Non esistono altre immagini di questo tipo: la pittura non ha la capacità di arrivare ad un grande pubblico in una maniera così efficace. La foto ha questo carattere di arrivare a più persone, è più sociale e più comunicativa. 
 
4 maggio 2013
 
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