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Un’altra estate in Sicilia – Racconto di Camilla Ferri

Ancora una volta il sole incendiava il mare nella baia di Isola delle Femmine, a due passi da Palermo. Ogni giorno lo stesso spettacolo. Seduta sulla sabbia fine che profumava di sale osservavo in silenzio. La risacca sempre uguale della distesa liquida venata d’oro e di mille luci cantava una storia. Una nenia ipnotica.

Chiusi gli occhi adeguando il mio respiro a quello, più forte, del mare.

Fu allora che sentii imporsi quella voce, potente e persuasiva, le immagini scorrevano davanti agli occhi, reali ma sfocate al contempo.

Vidi una terra fatta di verde brillante e di infiniti azzurri, popoli dagli occhi e capelli scuri che incontravano altri uomini provenienti dall’altra parte del mare. I Greci parlavano una lingua strana, difficile a comprendersi. Giovani e adulti dalle tuniche bianche che scendevano da navi strette e lunghe con enormi occhi colorati sulla prua. Mani abbronzate che si stringevano intorno alle mani diffidenti e curiose dei Sicani, a volte erano mani che nascondevano spade e pugnali, a volte doni di oro brillante, a volte mani tese in gesti universali di amicizia.

Poi vidi le navi puniche che stabilivano un porto sicuro in una baia ben conosciuta, Zyz, era il nome della città. Un fiore che apriva i suoi petali tra due fiumi, Oreto e Papireto, li chiamavamo così a Palermo, il “tutto porto” dei greci e dei Romani.

Il tempo di un sospiro e vidi orde di guerrieri dalla pelle abbronzata sbarcare nel sud dell’isola e bruciare le loro navi, non sarebbero più tornati indietro. Mi passarono davanti immagini di distruzione, assedi, uccisioni, poi ad un tratto, la pace si distese sull’isola, gli arabi trasmisero grandi conoscenze e costruirono un mondo differente che profumava di agrumi, dolci alla mandorla e conoscenza.

Un battito di ciglia e altre navi, dalla chiglia piatta con un grande drago dalle fauci aperte si staglia all’orizzonte. Vomitano guerrieri alti, biondi dagli occhi azzurri e verdi. Possenti e coraggiosi, guidati da due fratelli, Ruggero e Roberto il Guiscardo, l’astuto. Altre fiamme, devastazioni e morti. Ma poi, un’invasione pacifica di uomini e donne, riporta la pace e la prosperità sulla Sicilia.

Un re che è anche imperatore, Federico II, dona a Palermo il suo periodo più bello, la pace e l’armonia fra i popoli. Nascono chiese e monumenti che fondono le muqarnas con i mosaici bizantini, la frescura dei palazzi con il fasto della porpora. La tolleranza, lentamente, diventa una virtù. Ma è solo un breve sogno, alla morte dello “Stupor mundi”, la Sicilia ripiomba nelle guerre e si trascina, oggetto di desiderio nei secoli, ostaggio di Francia e Spagna, fino a diventare parte del Regno d’Italia.

Riapro gli occhi, stanca di soffrire. Fa male l’eco di quel boato a pochi chilometri da dove mi trovo, fa male dentro. Il tritolo che ha sollevato pezzi interi di autostrada strappando la vita a chi metteva il proprio dovere davanti a tutto, spacca la coscienza, la lacera facendola in mille pezzi. Troppo potente l’eco che spacca i timpani e le coscienze. I siciliani non ci stanno a farsi prendere anche l’anima, retaggio di millenni di guerre e conquiste, la resilienza, caratteristica di questa terra bella e dannata, si rifiuta di piegarsi e adattarsi ancora una volta dopo milioni di volte.

Questa terra si ribella e lo fa nell’unico modo che conosce dopo infinite civiltà differenti che le hanno insegnato quanto sia prezioso l’essere umano. Protesta e mette l’orrore all’angolo.

Il sole lancia un ultimo brillio in quest’estate siciliana, fatta di accoglienza, ospitalità, meraviglie dell’animo umano da visitare e fare proprie.

La speranza, quella vera, muove i suoi piccoli, timidi passi sulla terra ferma che profuma di marino e cultura.

 

Camilla Ferri

 

 

 

 

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