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Un nuovo viaggio – Racconto di Laura Nale

Beatrice se ne stava sul bagnasciuga, baciata dal sole e accarezzata dal vento che le asciugavano le goccioline rimaste dopo il bagno, cullata dal rumore rassicurante delle onde, quando il mare è calmo. Si addormentò, di uno di quei sonni profondi che ti fanno dimenticare la concezione dello spazio e del tempo e ti fanno sognare, portandoti in realtà parallele.

E così si ritrovò dentro un appartamento a Brooklyn. Non era un posto molto grande, c’era un lungo corridoio all’ingresso, la cucina e un salottino; ovunque era pieno di gente, c’era qualcuno in piedi, qualcuno seduto, ma l’attenzione di tutti era rivolta verso una signora in piedi, un po’ in carne, capelli corti e lunghi pendenti alle orecchie. La signora cantava, con quella voce calda e rassicurante tipica degli afro-americani. Beatrice rimase colpita: tutti battevano le mani a ritmo, ogni tanto qualcuno si alzava e accompagnava il canto con uno strumento musicale, qualcun altro girava per l’appartamento offrendo pasticcini ai nuovi entrati.
Era una casa aperta al mondo: chiunque poteva entrare, stare là a divertirsi, respirando un’atmosfera di festa in mezzo a sconosciuti e poi andarsene.

Di colpo Beatrice non era più a Brooklyn, ma nella Monument Valley, di fronte al Rain God Mesa, il masso centrale invocato come una divinità dai nativi per portare la pioggia in quelle terre aride e bruciate dal sole. All’ombra del masso spiccava una bancarella in cui erano esposti braccialetti e collane fatte a mano, l’unica nel raggio di km. Il proprietario era un indiano, che si faceva chiamare Geronimo dai turisti. Beatrice, incuriosita, gli chiese se avesse mai visto altro al di fuori della Monument Valley. Ovviamente no, il suo mondo era tutto là, le sue giornate trascorrevano lente, segnate dai ritmi della natura: si svegliava all’alba, faceva le collane e i braccialetti da vendere ai turisti e intanto si godeva le immense distese di terre che si affacciavano di fronte a lui. Ma lo spettacolo più bello, spiegò Geronimo, si presentava senza dubbio di notte, quando tutta la Monument veniva coperta da un manto di stelle e lui poteva starsene là fuori per ore ad osservare la via lattea e tutti i puntini luminosi ben visibili da quei luoghi silenziosi e praticamente disabitati. Così viveva Geronimo: consapevole di far parte di qualcosa di talmente immenso da non poter far altro che rispettarlo e contemplarlo.

Beatrice era di nuovo in un luogo caldo, non più nel deserto della Monument Valley però; si trovava all’interno di una casa, in un villaggio a Zanzibar, era pieno pomeriggio e stava aspettando che le donne del villaggio preparassero da mangiare per lei e per gli altri compagni di viaggio. Così decise di uscire dalla casa fatta di pietre e terra. Fuori, lungo le strade impolverate c’erano un sacco di bimbi, vestiti di mille colori, che correvano, naturalmente a piedi nudi, e giocavano a rincorrersi. Ne prese due per mano, uno a destra e l’altro a sinistra e così gli altri si unirono, fino a formare un cerchio. Iniziarono così a girare, cantando e saltando, facendo un girotondo improvvisato e allegro. La cosa che stupì Beatrice in quel pomeriggio era che tutti i bimbi avevano un sorriso enorme sulle labbra, non avevano la macchina telecomandata del momento o la bambola all’ultima moda, eppure erano contenti, perché la felicità stava tutta là, nel correre, cantare e girare insieme.

Arrivò un’onda più forte delle altre e Beatrice si svegliò di soprassalto, ma aveva un’espressione serena e una nuova determinazione negli occhi … aveva deciso che era arrivato il momento di esplorare nuovi luoghi, conoscere nuove persone e approcciarsi a diversi stili di vita, era arrivato il momento di programmare un nuovo viaggio, perché solo così poteva continuare a sognare.

Laura Nale

 

 

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