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Tra foto e foto – Racconto di Veruska Vertuani

Aveva sentito tanto caldo nella notte appena trascorsa, più che nelle precedenti, sebbene il termometro a parete, che aveva sbirciato nei momenti di dormiveglia, avesse segnato sul display una temperatura inferiore di qualche grado rispetto agli altri giorni.

Anna non aveva mai voluto installare il condizionatore in camera da letto, nè in nessuna altra stanza di casa, perchè quell’aria artefatta le ricordava la notte in cui entrò in obitorio, un posto che puzzava di bianco e di acciaio e di neon, ancora prima che di medicine.

Almeno quel ricordo lo voleva cacciare via, soprattutto nella giornata che andava cominciando.

Mise i piedi a terra e se ne stette così per il tempo necessario a godere della frescura del pavimento, fece un sospiro e si alzò. Tirò su la tapparella, il sole era già potente, sembrava un pallone di luce appoggiato alla cima della montagna che si intravedeva in lontananza. Il muro sottostante la finestra emanava calore e odore di calce, ma Anna non ci fece caso, intenta ad ammirare il pesco nel giardino dell’inquilina che abitava a pianterreno. Seguiva la trasformazione di quel florido albero mese dopo mese, dalla potatura nel riposo autunnale, che lasciava posto ai verdi germogli di inizio primavera, fino ai frutti sugosi che spiccavano di giallo screziato tra le foglie estive.

‹‹Già! É la mattina delle pesche, questa›› disse a labbra un po’ tremolanti; si riprese, accennando un sorriso, tolse gli avambracci dalla piccola soglia della finestra, si stiracchiò nervosamente e andò in cucina.

Sul piano da lavoro ritrovò la reflex lasciata lì la sera prima, senza tappo sull’obiettivo, pronta all’uso. Era stata una mossa prudente, l’emozione avrebbe potuto fargliela dimenticare, mentre in quella giornata voleva documentare ricordo dopo ricordo, e viverne anche uno solo senza averlo fotografato non se lo sarebbe davvero perdonato.

Aprì la credenza e cercò il piatto di vetro color ambra, lo riponeva sempre in fondo perchè non voleva si rovinasse. Aveva girato diversi negozi di casalinghi per trovarne uno simile a quello che le ricordava la sua infanzia, ma invano, finchè non era entrata nella ferramenta più vecchia della città e tra strati di polvere e giornali aveva visto un piattino da frutta in vetro molto spesso, della giusta tonalità di giallo. Mentre lo incartava, il proprietario del negozio le aveva detto che non sapeva da quanti anni quel piatto se ne stesse impilato con altri tutti spaiati, rimanenze di servizi da poche lire. ‹‹Ha il valore di un ricordo, per me›› aveva risposto Anna.

Lo poggiò sul piano della cucina, aprì il frigorifero e dal cassetto della frutta estrasse una percoca. Era fresca, la annusò soffermando le narici nei punti in cui era screziata di fucsia e arancio. Lì profumava di zucchero. La incise con un coltellino bene affilato, tolse minuziosamente la buccia quindi, prendendo a riferimento il nocciolo, la tagliò in quattro spicchi; in alcuni punti la polpa era molto matura, e il succo che ne usciva imperlava la mano sinistra di Anna. Senza esitazione succhiò il liquido sieroso che scendeva sul polso e, disposti sul piatto gli spicchi in forma di raggiera, li spolverò di zucchero bianco. Prese la reflex, inquadrò… click! il primo ricordo era al sicuro.

Gustò la pesca con le mani, in piedi, appoggiata al piano da lavoro della cucina, con lo sguardo che oscillava dai ricordi al presente. Voleva assaporare ogni attimo di quella mattinata ma c’era tanta strada da fare, in tutti i sensi, per cui posò il piatto nel lavandino e si diresse in bagno. Una doccia veloce, pantaloni di lino e t-shirt, cappello bianco sui capelli cortissimi, occhiali da sole e reflex a tracolla. Chiudere la porta di casa, scendere le scale, uscire, furono azioni automatiche: si trovò in strada in men che non si dica.

Nel breve tragitto che l’avrebbe portata alla prima sosta Anna riflettè su come la città si fosse ingrandita a macchia d’olio, quella strada ora asfaltata e piena di auto in un tempo non lontanissimo era un viottolo in terra battuta, delimitato a destra e sinistra da sterpaglie e rovi. Ricordò che proprio lì, mentre ripassava ad alta voce le tabelline, aveva strillato vedendo una biscia attraversarle la strada.

Arrivò davanti all’edificio dove aveva frequentato le scuole elementari, il plesso era in uno stato di evidente incuria ma la recinzione era stata da poco ridipinta di un rosso acceso. Il colore non era mai cambiato, rosso fin dalla prima campanella e anche il forte odore di vernice le pizzicava le narici come da bambina.

Anna amò frequentare quella scuola, entrava in classe col sorriso stampato in viso e ora capiva perchè per anni e anni il suo colore preferito fosse stato proprio il rosso.

“Ogni cosa ha il suo profumo e il profumo è un ricordo che sorride” pensò, avvicinando il naso al cancello rosso. “Sorridi, cancello! Sto per scattarti una foto”, alzò la reflex, inquadrò… click! il secondo ricordo era al sicuro.

Si rimise in marcia e in poco più di dieci minuti arrivò al panificio in piazza, l’aria calda amplificava la fragranza di pane spargendola per le stradine accanto. L’insegna del negozio non era cambiata, una tavola di legno dipinta a mano, scolorita già dai tempi di infanzia. “In questa foto non scolorirai più”, mise a fuoco, inquadrò… click!

Restava la fontana con i pesci rossi, formata da un vascone lastricato di tasselli azzurri e blu su cui era stata poggiata una struttura piramidale con al vertice una piccola canna in ferro da dove zampillava l’acqua. Un chiaro esempio di architettura razionalista a cui le nuove generazioni non erano affatto interessate. In effetti, al posto dei pesci rossi che stuzzicavano la sua immaginazione, ora nella fontana nuotavano alghe, ma fu comunque rigenerante farsi schizzare dal getto d’acqua che, dopo tutti quegli anni, funzionava a pieno regime. “Sembri ricoperta da quadratini di cielo”, avvicino la reflex… click!

Entrò in copisteria, collegò la reflex a una stampante self-service, inserì quattro fogli di carta fotografica e premette “print”. Le immagini si componevano lentamente, così da avere la possibilità di ripercorrere la sua infanzia, felice e spensierata. In piedi, assorta al fruscio della testina sui fogli, vide se stessa come un albero robusto e rigoglioso: stava stampando atti di amore, quelle radici che l’avevano portata a essere donna.

C’era tutto.

Raccolse le foto, pagò e si diresse al cimitero. Il tragitto era piuttosto lungo, per cui ebbe il tempo di riallacciare tra loro i momenti di infanzia trascorsi con la nonna: le pesche condite con lo zucchero in estate, mano nella mano con lei a ripetere tabelline prima di entrare a scuola, il caldo profumo della rosetta appena sfornata che alleviava il freddo in inverno, i pomeriggi a fantasticare sulla vita dei pesci nella fontana. E ora, a dieci anni dalla morte della nonna, il vento sottile, che si era alzato di improvviso, e che giocava tra foto e foto appoggiate sulla lapide, le ricordava che l’autunno non era molto distante.

 

Veruska Vertuani


 

 

 

 

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