Sei qui: Home » Racconti » Sopravvissuti – racconto di Daniele Raciti

Sopravvissuti – racconto di Daniele Raciti

L’autobus, o meglio quello che ne restava, stava andando a fuoco. Il cielo era ricoperto di nuvole. La neve che scendeva copiosamente ricopriva tutto. Intorno all’autobus, vetri rotti e vari oggetti, zaini, telefoni. Tommaso si risvegliò come da un incubo, di colpo. Era a terra. Non si ricordava come fosse finito lì, sbalzato a quasi 5 metri di distanza dall’autobus. La neve cadeva ininterrottamente e ne era già ricoperto da un sottile strato. Si alzò confuso, guardandosi attorno, ma una fitta tremenda alla gamba destra lo fece accasciare. Un breve urlo di dolore. Si guardò la gamba: aveva una brutta ferita, un ramo gli aveva trafitto la coscia. Si rialzò digrignando i denti, e zoppicando si avvicinò all’autobus. L’autobus era rovesciato sul fianco destro. Con la gamba in quello stato non poteva certo arrampicarsi sopra per entrare. Fece il giro e andò verso il lato posteriore. Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa per rompere il vetro e poter entrare. Vide una pietra abbastanza grande. Si avvicinò e nel momento di prenderla, qualche metro più avanti una mano sbucava da sotto la neve. Cadde all’indietro per lo spavento. Un lamento accompagnava quel corpo che affannosamente emergeva dalla sua bara di neve. Tommaso si avvicinò e vide che era Antonio. Oltre a qualche escoriazione alle braccia e lieve ferita all’arcata sopraccigliare, non sembrava tanto mal messo. Antonio, aveva da poco superato i quaranta, era molto alto e robusto. Era il marito di Giovanna e aveva due enormi baffi neri. Non calcolò completamente Tommaso, quasi come se non lo vedesse, e si avvicinò immediatamente, quasi correndo, verso l’autobus. Tommaso lo seguì lentamente, fermandosi ripetutamente per il dolore lancinante alla gamba.
Tommaso, non riusciva più a muoversi, e continuò a seguirlo con gli occhi. Vide come raggruppò varie pietre vicino l’autobus. Salì su di esse e con uno slancio, come un alpinista si aggrappò e in un attimo riuscì a salire sulla fiancata dell’autobus. Tommaso gli gridava di scendere, di allontanarsi, di mettersi in salvo. Ma da Antonio nemmeno uno sguardo. Appena entrato, lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi fu straziante. L’autista era a terra, con la testa fracassata, una maschera di sangue. Ma Antonio sembrò non notare immediatamente l’orrore che lo circondava, cercava di rimanere lucido, almeno fino a quando non avrebbe trovato sua moglie e il suo bambino. L’autobus era rovesciato sul fianco destro e aggirarsi lì dentro era come muoversi in una giungla di sedili e zaini da viaggio. Calpestò involontariamente qualche corpo e finalmente raggiunse sua moglie. Era svenuta, aveva parecchie ferite superficiali, ma non sembrava nulla di preoccupante. Cercò di svegliarla, ma aveva perso i sensi. Il fumo e il fuoco aumentava di minuto in minuto. Se la caricò sulle spalle e riuscì a portarla fuori dall’autobus senza non poco fatica. La distese sulla neve a distanza dall’autobus. Rientrò ansimando e visibilmente scosso, piangendo. Tirava su col naso e con la mano sinistra si asciugava il volto. Al suo rientro cercò di svegliare tutti i passeggeri. Due persone si alzarono. Erano Stefano e Elisa. Ma lui, sembrò non accorgersene e tirava dritto verso il posto dove era seduto suo figlio Alessio, di 6 anni, ancora disperso. Le fiamme aumentavano, l’autobus stava diventando una fornace. Tommaso da fuori gli gridava di uscire, ma la sua attenzione venne rapita da Irene che alla sinistra dell’autobus, a distanza di poco più di tre metri si levava di dosso la neve che la ricopriva. Era abbastanza confusa e guardava l’autobus avvolto da una nube nera di fumo. Mentre Tommaso aiutava Irene ad alzarsi, due figure uscivano da quella coltre di fumo. Erano Stefano E Elisa. Si ritrovarono tutti vicino al corpo di Giovanna ancora svenuta. Erano Tommaso, Irene, Stefano, Elisa e Giovanna. L’autobus ormai era totalmente avvolto dal fumo. “Antonio è ancora lì dentro.” Tommaso andò verso quell’inferno di fumo e fiamme, ma Stefano lo fermò prendendolo per il braccio “dove vai? È troppo pericoloso”. Tommaso si liberò dalla presa e zoppicò più veloce che poteva verso l’autobus. Ma proprio in quel momento arrivò l’esplosione. L’onda d’urto fu così forte che Tommaso che si trovava a pochi metri, fu sbalzato via perdendo completamente i sensi.
“Dobbiamo allontanarci da qui!” Stefano si guardò attorno ma non vide nulla.
“Venite, ho trovato una vecchia villa abbandonata non molto distante da qui”.
Tutti si voltarono a destra aguzzando la vista verso quella figura appoggiata ad un pino. Era Michele e si teneva la spalla sinistra da cui si vedeva una grande macchia rossa. Tommaso nel frattempo era tornato cosciente e stava tornando dal gruppo. Irene lo aspettò e lo aiutò a camminare. Gli altri non dissero una parola e seguirono Michele verso la casa.

2
L’appuntamento era alle 6 e 30 in piazza America. Partenza per le 7 in punto. Alle 6 e 45 era presente ancora solo Tommaso e l’autista. Guardava ripetutamente l’orologio. Il sole spuntava timidamente e l’umidità della notte lasciava spazio ad una giornata fredda ma in apparenza priva di perturbazioni. Alle 7 meno 10 ecco che arrivava la maggior parte delle persone. Stefano era intento a farsi una sigaretta, mentre Tommaso lanciando pigre occhiate lontano, guardava di tanto in tanto indifferente l’orologio. Il fumo sprigionato dalla sigaretta appena accesa si alzava molto lentamente verso il cielo, disegnando immaginarie spire che sparivano dolcemente verso le nuvole. Gli ultimi ad arrivare furono Alessia e Monica, sopra una vecchia vespa gialla. Così tranquilla e sommessa, eppure in un certo qual modo tetra era tutta la scena, e un tale sognante incanto covava nell’aria, che ogni silenziosa persona li presente sembrava dissolta come un sogno appena svegli. Forse la stanchezza del sabato sera precedente o forse il freddo mattutino, le parole scambiate erano davvero poche. D’un tratto l’autista accese il motore e quel rumore fu come la sveglia il lunedì mattina. Quel rumore per un attimo li portò alla realtà, li svegliò da quel torpore e Monica come al suo solito iniziò a fare il pagliaccio.
“Forza, circolare, non c’è niente da vedere qui, circolare” e vedendo Monica come un vigile urbano con le dita in bocca per fischiare e un braccio che faceva segno di andare avanti, entrarono nell’autobus ridendo.
Tommaso era seduto con Michele, il quale con le cuffie nell’orecchie ascoltava musica metal. Nonostante la musica sparata a mille nelle cuffie, non sembrava tanto sveglio anzi sembrava proprio sul punto di riaddormentarsi. Elisa era in piedi sull’autobus e stava già scattando foto a raffica. Negli ultimi posti c’erano Stefano, Luigi e Claudio che parlottavano fra di loro. Parlavano piano ed era difficile capire cosa si dicessero. Luigi era con il cellulare in mano, e mentre ascoltava e parlava, muoveva l’indice sul touch-screen del telefono per far scorrere le pagine di Facebook. Giovanna e Antonio erano seduti al centro dell’autobus dove i sedili sono più larghi. Il piccolo Alessio era il più vispo di tutti e correva nel corridoio centrale dell’autobus a curiosare cosa facevano le altre persone. Giovanna di tanto in tanto gli gridava di tornare a sedersi, ma il bambino tornava un attimo e scappava di nuovo via. Dietro Tommaso e Michele c’erano sedute Irene e Alessia. Monica invece si era presa tutte e due i sedili dall’altro lato dell’autobus e andava e veniva dal guidatore dove o cambiava stazione della radio o prendeva il microfono e diceva qualche barzelletta.
I secondi, i minuti, passavano senza che se ne accorgessero, il tempo continuava a correre per la sua strada e loro stavano pacatamente seduti a guardarlo.
Verso le 9 si fermarono a Nicolosi, un paesino ai piedi dell’Etna per fare colazione. Tra cornetti, bombe alla ricotta e cappuccini, gli animi di molte persone si svegliarono e se entrarono in silenzio nel bar, ne uscivano ridendo e scherzando, attirando l’attenzione di molte persone sedute in silenzio al bar. Alcuni dopo colazione ne approfittarono per cambiarsi e iniziare a indossare gli scarponi da neve e la tuta. Altri invece restarono a scherzare, o a fumare qualche sigaretta. Altri ancora rientrarono subito dentro l’autobus per il freddo. Ripartirono. Più si avvicinavano all’Etna più il tempo peggiorava. Dopo aver superato i numerosi paesini furono costretti a fermarsi. Un blocco stradale della forestale obbligava a tutti i veicoli di mettere le catene alle ruote. Finalmente verso le 10 e mezza arrivarono al rifugio sapienza.

3
Appena scesi, iniziarono a cambiarsi. Tra quelle tute sgargianti e piene di colori, sembrava di essere tornati negli anni 80, mancavano solo qualche orribile canzoncina dance e quelle capigliature gonfie che sembravano parrucche. Stefano indossava una tuta gialla oro, ormai sbiadita dal tempo, con una striscia laterale blu, ma si fermò a metà per farsi una sigaretta.
“Dov’è il mio tabacco? Eli ce l’hai tu il tabacco?”
“No Stè” rispose Elisa da dentro l’autobus dove le ragazze erano rimaste per cambiarsi.
Stefano si controllò addosso, cercando nelle tasche e nello zaino, alla fine lo trovò nella tasca dei pantaloni sotto la tuta. Si fece la sigaretta e richiamò Elisa
“Eli l’accendino”. Nessuna risposta. Grido più forte “Eli!”. Sbruffò e guardando Claudio che si cambiava mimò con le mani il gesto dell’accendino.
Giovanna indossava una tuta di vari colori, fucsia con disegni viola, blu e bianchi. Un vero tuffo nel passato.
Elisa e Alessia sembravano due gemelle con quelle tute rosa. Irene ne indossava una completamente bianca. Mentre Luigi, Tommaso e Antonio ne indossavano un modello simile di colore blu scuro. Michele e Monica non avevano una tuta vera e propria. Michele ripiegava in un giaccone enorme e un vecchio pantalone. Diceva che non sopportava quei vestiti. Gli facevano sentire subito caldo. Anche Monica indossava un giubbotto molto imbottito con un cappuccio rivestito di finto pelo. E infine il piccolo Alessio aveva una piccola tutina azzurra con delle strisce bianche sulle braccia e sulle gambe. Sulla testa aveva un cappello che ricopriva le orecchie e la visiera svoltata in su.
Tommaso era così coperto che tra sciarpa, guanti e cappello di lana, le uniche cose che si intravedevano da quell’ammasso di vestiti erano gli occhiali da sole neri, il naso e la folta barba. Stefano e Claudio, presero i loro slittini dal bagagliaio dell’autobus e raggiunsero gli altri amici che già giocavano a tirarsi le palle di neve. Alessia, Elisa e Giovanna stavano cercando di creare un pupazzo di neve. Di tanto in tanto Elisa si staccava dal gruppo e andava in giro a fare foto insieme a Stefano. Tommaso cercava di stare più tempo possibile vicino ad Irene. Irene era di due anni più piccola di Tommaso ma era un tipo molto sveglio, era più matura di molte ragazze della sua età. Aveva i capelli neri corti, gli occhi grandi da cerbiatta, anch’essi neri, non aveva un fisico da modella però aveva quel fascino che molte ragazze carine non hanno. Stefano propose di fare una battaglia di palle di neve, maschi contro femmine. Tommaso, Claudio e Michele iniziarono a costruire una specie di trincea con la neve, in modo da ripararsi dietro di essa dalle palle di neve nemiche. Nel frattempo che lavoravano le ragazze avevano già iniziato a bombardarli. Una palla scagliata arrivò dritta in faccia a Tommaso, facendogli cadere a terra gli occhiali. Tommaso guardò con aria di sfida le ragazze e vedendo Irene ridere, prese un paio di palle di neve che aveva già preparato e le andò in contro correndo. Irene vedendolo arrivare corse indietro ridendo. Tommaso riuscì a colpirla facendola cadere. Ci arrivò sopra e le mise la neve dentro la tuta. Irene distesa a terra, Tommaso sopra di lei. Si guardarono ridendo. Restarono per qualche minuto cosi, a guardarsi, l’uno negli occhi dell’altra, in attesa che qualcuno facesse una mossa, imbarazzati da quella situazione ma al contempo eccitati. Di colpo arrivò una valanga di palle di neve sopra i due che si divisero. Tommaso ritornò dalla parte dei suoi compagni e la battaglia continuò. La mattinata trascorse in un lampo tra risate, bombardamenti e pupazzi di neve dalle forme ambigue. Verso le 2 decisero di tornare nell’autobus per prendere i panini e pranzare. Molti di loro si cambiarono gli abiti inzuppati di neve sciolta. Monica si era portata la chitarra e salì sull’autobus a prenderla. Iniziò a strimpellare qualche pezzo. Luigi alzò un braccio con il palmo della mano rivolto verso il cielo. “Guardate, sta nevicando”. I primi fiocchi di neve stavano scendendo placidamente, con calma. E tutti alzarono gli occhi a vedere quello spettacolo. Ma la gioia lasciò subito il campo alla preoccupazione. Infatti la neve continuava a scendere sempre più velocemente. Si spostarono nel rifugio che distava poche centinaia di metri. L’intensità della nevicata aumentava col tempo ma i ragazzi sorseggiavano cioccolata calda o una grande tazza di tè fumante. Passare la domenica pomeriggio rinchiusi in quel covo di turisti non era il massimo e infatti iniziavano ad annoiarsi. Stefano propose di partire e tornare in città: “Di migliorare non migliorerà, può solo peggiorare. E io domani devo andare a lavorare come molti voi. Quindi direi di partirci ora, mentre che non è ancora buio”. Elisa era contraria: “Aspettiamo un altro po’. Guarda che tempo che c’è fuori. È troppo rischioso”.
Intervenne Luigi: “Ragazzi, la questione è semplice: o aspettiamo che finisca questa tempesta e questo vorrà dire passare la notte qui, oppure partire e rischiare un viaggio con questo brutto tempo. Decidiamo. Io sono per partire”.
“benissimo, mettiamolo ai voti. Io voto per partire” disse Stefano e guardò i ragazzi, Claudio, Tommaso e Antonio, come per indurli a dire di sì pure loro.
Claudio si disse favorevole a partire e pure Monica. Antonio si consultò con Giovanna che pareva reticente. Elisa, Alessia preferivano aspettare che la tempesta si placasse. Antonio decise infine di votare sì anche se sua moglie si disse contraria. Mancavano a votare Tommaso, Michele e Irene. Tommaso chiese ad Irene cosa volesse fare. Sembrava molto indecisa ma poi disse che preferiva restare. Tommaso guardò Stefano, poi Luigi e gli altri ragazzi. Si aspettavano una risposta favorevole. Ma poi pensò che passare una notte lì insieme ad Irene non sarebbe stata una cattiva idea, e disse che non voleva partire. Rimaneva solo Michele a votare. Erano sulla parità, 5 contro 5. Il voto di Michele era decisivo.

4

Era una villa che stonava con le tipiche costruzioni del luogo, originariamente si trattava forse di una fattoria o semplicemente di una costruzione rustica. La particolarità che la rendeva fuori dal contesto era che seguiva lo stile coloniale della seconda metà dell’800. Aveva il tetto aguzzo, colonne ioniche incrinate e il classico frontone tarlato. La facciata posteriore era interrata, forse a causa di una frana, fino alle finestre del piano inferiore. La porta era sbarrata da delle assi di legno, ormai logore dal tempo e dal rosicchiare delle termiti. Il freddo era intenso, penetrante e pareva insinuarsi nelle ossa. Con qualche calcio ben assestato riuscirono a far cedere la porta. Entrando si trovarono nel buio assoluto e un tremendo odore di chiuso e di muffa aleggiava intorno. Stefano si tastò i pantaloni finché non trovò nella tasca posteriore un accendino. Con quella fioca luce illuminarono la stanza. Era un grande ingresso che faceva da anticamera. La sottile fiammella si spostava a balzi qua e là, si soffermava qualche attimo su un mobile, su una suppellettile, su qualche fosco quadro alla parete, su arazzi patinati di polvere. Illuminò uno scalone, ampio, che descriveva un semicerchio e si perdeva nell’oscurità del piano superiore, illuminò la balaustra di una specie di loggia che dominava l’ingresso. Gettò qualche sprazzo di
luce, lassù in alto, sul soffitto a cassettoni, fra le vaste fitte tenebre. Attraversarono l’androne e i loro passi echeggiavano nel silenzio. L’unico rumore che si sentiva era l’ululare del vento che penetrava da qualche spiffero sotto le finestre. Accasciarono Giovanna ancora priva di sensi su un sudicio divano. Un rumore li fece sobbalzare, si girarono e si misero uno vicino all’altro. A Stefano per lo spavento gli cadde l’accendino dalle mani e rimasero nel buio pesto. Irene istintivamente senza pensarci strinse la mano di Tommaso. Stefano si mise a tastare il pavimento vicino ai suoi piedi, imbrattandosi le mani di polvere e ragnatele finché non lo ritrovò. Attraverso la flebile fiammella capirono che il rumore era stato provocato dalla porta d’ingresso, quella dove erano entrati che sbatteva a causa del vento incessante. Tirarono un sospiro di sollievo. Proseguirono ad esplorare la casa. Adesso stavano attraversando un corridoio. Erano così disposti: Stefano davanti che faceva luce, Tommaso e Michele dietro, Irene e Elisa a chiudere la fila. Alla fine del corridoio c’era un grande portone. Stefano si guardò indietro e con un gesto della testa fece segno a Tommaso di aprire il portone. Tommaso si fece avanti, si avvicinò lentamente alla porta e piegò la maniglia. Pian piano entrarono tutti in quella che una volta doveva essere la sala da pranzo.
Misurava circa 8 metri per 12. Lungo tutte le pareti, enormi banconi di marmo e credenze di legno. Al centro c’era un lunghissimo tavolo di legno riccamente rifinito.
Stefano puntò la fiammella verso un vecchio orologio a pendolo fermo alle 15 e 45 di chi sa che giorno. Nel frattempo Tommaso apriva cassetti e ante. “Stefano avvicina qua, fai un po’ di luce”. La fiaccola dell’accendino illuminò quel ripiano di credenza. Al suo interno trovarono varie bottiglie di quello che sembrava whiskey, risalente almeno a 70 anni fa. “Ottimo, almeno qualcosa con cui tenerci caldi” e ne prese 3 bottiglie. Elisa e Irene dall’altra parte della cucina curiosavano pure loro tra i cassetti e le ante alla ricerca di qualcosa di utile. Tastando un po’ alla cieca, trovarono nei ripiani più alti della credenza delle candele. Ne presero una a testa e Stefano le accese con la fiamma dell’accendino. Con più fasci di luce riuscirono meglio a guardarsi attorno e videro che c’era una porta nascosta dietro un mobile. Non gli diedero importanza e tornarono sui loro passi dove avevano lasciato Giovanna. Ritornati in quella sala videro adesso con più chiarezza l’enormità di quello spazio. Irene emise un leggero sibilo. Alzarono un po più in alto le candele per illuminare meglio l’ambiente. Il salone misurava più di 10 metri per 15, con il soffitto altissimo. Sulla loro destra c’era un enorme camino tutto in pietra scolpita. I mobili erano enormi e molto vecchi. Negli angoli c’erano delle statue su dei piedistalli che probabilmente raffiguravano qualche antica divinità. Alla sinistra del camino c’era un grande pianoforte a coda. Michele si avvicinò subito e provò le prime note di una famosa opera di Mozart. Il pianoforte nonostante gli anni funzionava ancora molto bene. Dall’ altro lato della stanza, di fronte al camino e dietro un enorme tavolo c’era una parete attrezzata a libreria piena di libri molto antichi e impolverati. Tommaso zoppicando si avvicinò a uno scaffale, ne prese un paio e alcuni erano scritti in latino, altri in strane lingue nordiche che sembravano celtico. Con la luce delle candele che adesso gli permetteva di vedere, si guardarono tra di loro e videro lo stato in cui si trovavano. Sporchi, feriti ma vivi. Adesso che erano dentro quella casa si sentivano più al sicuro, ma i ricordi degli amici morti incominciavano a riaffiorare nelle loro menti. Tommaso si sedette su un vecchio sofà e un enorme cappa di polvere si alzò facendolo tossire. Videro che era ferito alla gamba. Elisa gli andò incontro e gli porto una sedia per permettergli di alzarla. “bisogna togliere quel ramo dalla gamba o potrebbe infettarsi”. Tommaso li guardò in faccia, poi si guardò la gamba gonfia e dolorante. Ripose lo sguardo adesso su Elisa, chiuse gli occhi un attimo e annuì con la testa sospirando. “Fai quello che devi fare”. Elisa era un’infermiera. Ordinò subito a Stefano di prendere quelle bottiglie di alcool che Tommaso aveva trovato e posato sul grande tavolo. Mandò Michele e Irene a cercare delle tovaglie, dei lenzuoli da poter usare come bende e tamponi. Arrivò Stefano con due bottiglie e li mise vicino la sedia di Elisa. Ne apri una, fece bere qualche sorso a Tommaso, poi disse: “ora brucerà un po’” e versò abbondantemente sulla ferita. Tommaso si contorse un attimo. Arrivarono Irene e Michele con dei vecchi lenzuoli. Li strapparono in fasce più piccole.
“bene, adesso Michele, Stefano tenetelo fermo”
“cosa? Non azzardatevi a toccarmi, non sono una femminuccia”. Stefano e Michele si guardarono in faccia e lo lasciarono.
“adesso inizio a tirare via il ramo, Irene vieni qui e tampona il sangue che esce”. Elisa iniziò a tirare via il grosso ramo. Tommaso si contorse e si dimenò dal dolore. Gridò.
“Tenetelo presto” disse Elisa a Stefano e Michele. I due si avventarono su Tommaso tenendogli ferme le braccia e bloccandolo sul sofà. Irene vedendo Tommaso in quello stato si impressionò e si voltò dall’altro lato chiudendo gli occhi. Tra grida e sangue finalmente il ramo fu tolto.

5

Giovanna si svegliò di colpo, respirò affannosamente. Si alzò, si mise seduta e si guardò attorno. Era seduta su un vecchio materasso sudicio. Accanto a lei, su una vecchia sedia era seduta Elisa che dormiva. Accanto a letto c’erano due candele, ne prese una, non disturbò Elisa e sotto la luce della candela scese dal letto e diede un rapido sguardo alla stanza in cui si trovava. I muri erano tutti grigi e con l’intonaco staccato. Nella parete alla sua sinistra c’era un grande specchio incrinato, al di sotto un vecchio mobile con tanti cassetti. Sulla parete opposta erano appese piccole cornicette con delle foto in bianco e nero. Un primo piano di una donna sulla trentina, capelli bruni lisci legati con un elastico che finivano dietro la spalla destra, aveva una carnagione molto chiara, pallidissima. Altre foto ritraevano tutta una famiglia in posa come si faceva a inizio ventesimo secolo. Man mano che avanzava nella casa, le riaffioravano i ricordi dell’incidente. La stanza si trovava al secondo piano e fuori da essa c’erano numerose candele. Seguì il sentiero tracciato dalla loro scia luminosa e scese delle vecchie scale di legno che scricchiolavano ad ogni passo che faceva. Attraversò parecchie stanze fino a quando arrivò in un grande salone. Li trovò Tommaso steso sul sofà che si guardava la gamba fasciata, Stefano che provava ad accendere un fuoco nel camino con tutta la carta e i soprammobili che aveva trovato. Michele ed Irene si aggiravano per la stanza in cerca di qualcosa di legno da poter buttare nel camino. Erano così concentrati che non si accorsero di lei fino a quando non disse: “Dove sono Antonio e Alessio?”

6

“Dove sono Antonio e Alessio?” già con una lacrima che scendeva giù per la guancia lentamente. Stefano si girò sospirando e facendo finta di non aver sentito, dopo essersi guardato attorno per cercare aiuto dagli altri disse:” Ben svegliata, Giovanna, come ti senti? Dov’è Elisa?”
“Dove sono Antonio e Alessio?” ripeté con un tono di voce più forte, ma allo stesso tempo incrinata.
“è meglio che ti siedi, ora ti spiego”
Giovanna si sedette in una vecchia poltrona in stile luxury accanto a Tommaso dormiveglia.
“Mi dispiace dirtelo cosi, rudemente, ma qualcuno deve farlo: Antonio e Alessio insieme a tutti gli altri passeggeri dell’autobus sono morti nell’incidente.
Noi siamo gli unici sopravvissuti.”
Dagli occhi di Giovanna mentre ascoltava scendevano sempre più lacrime. Vibrava e singhiozzava. Si alzò andò contro Stefano: “No! Non è vero, Non è vero”
Gli dava dei pugni nelle spalle. Stefano l’abbracciò. Ma lei continuava a gridare e a piangere colpendo Stefano nel petto.
“Smettila di dire cazzate e dille come è andata veramente” lo interruppe Tommaso dormiveglia.
Giovanna si voltò di scatto verso Tommaso: “che stai dicendo? Che è successo? Dimmelo!”
“Dille di come Antonio le ha salvato la vita. Dille che tu e Elisa siete vivi solo grazie ad Antonio. Dille che dopo avervi salvato è tornato dentro a cercare Alessio e non è tornato più. Dille che non hai fatto andare nessuno a cercare di tirarlo fuori di li.”
“è vero quello che dice?” Guardando Stefano con occhi pieni di odio e rabbi. “È colpa tua se siamo partiti, tu hai convinto gli altri a partire.”
“Non sei l’unica che ha perso qualcuno li. Io ho perso il mio migliore amico. E come te chiunque altro qui dentro. Pensa anche a loro, pensa a quante persone sono morte. Dovresti essere almeno sollevata di non essere morta. Come pensi che sto adesso? Che so quante persone sono ancora lì sotto. Ma cerco di tirare avanti, cerco di pensarci il meno possibile. Siamo vivi, e farò il possibile per restarci.” Un attimo di silenzio poi continuò.
“Se non era per noi, restavi lì sotto la neve svenuta. Io voglio restare vivo e mi sto dando da fare perché tutti possano restare vivi. Se vuoi continuare a piangere e gridare puoi tornare lì nell’autobus e restarci quanto vuoi. Se vuoi vivere e restare qui invece, mantieni la calma e datti da fare.”
Giovanna era furiosa ma adesso il rimorso, il dolore per i cari perduti furono sostituiti dalla rabbia. Indietreggiò e si allontanò, vagando per la casa a lei sconosciuta, con gli occhi iniettati di sangue.

7
Il silenzio piombò nella casa. Tommaso era ancora seduto nel sofà ricoperto fino al petto da vecchie coperte. Stefano era salito sopra a cercare Elisa. Irene si era seduta accanto a Tommaso e stava dormendo con la testa appoggiata al bracciolo del divano. Michele era seduto in una poltrona che aveva spostato vicino al camino e con un bastone di ferro spostava dei legnetti nel fuoco che sembravano non consumarsi mai. Erano tutti molto stanchi, si sentiva solo lo scoppiettio del legno nel camino.
Il vento continuava il suo lamento, la bufera non era terminata e nevicava incessantemente, esattamente come durante l’incidente.
Il primo a svegliarsi fu Stefano, ma il sonno non lo aveva per niente rigenerato, si sentiva esattamente come prima, sporco, stanco e ferito. Aprì una piccola finestra, e vide in lontananza ancora i resti dell’autobus bruciare esattamente come il giorno dell’incidente. Il vento era così forte che non riuscì a tenere ancora aperta la finestra. Scese sotto e trovò Irene e Tommaso addormentati uno accanto all’altro. Michele era ancora vicino al camino a giocare col ferretto a spostare la brace di quel fuoco incessantemente acceso e uguale a sé stesso. Stefano si avvicinò al tavolo e prese la bottiglia di whiskey e ne tracannò avidamente un gran sorso. Appoggiò la bottiglia al tavolo maldestramente facendo rumore. Tommaso si svegliò e disse “Buongiorno”.
“Buongiorno, buonanotte non ci capisco più niente. È tutto uguale, non sembra essere passato neanche un minuto da quando siamo arrivati qui”.
“che vuoi dir..” non riuscì a finire la frase che la gamba gli tornò a fare male.
“come ti senti?”
“mi fa ancora molto male ma credo sia normale” abbassò le coperte e vide che la sua gamba era come prima. Il ramo era ancora li. La stessa maledetta ferita.
“Ma che diavolo…”
“Com’è possibile? Elisa ti aveva medicato”
D’un tratto dalla porta che dà sul corridoio per andare in cucina, apparve dal buio Giovanna che brandiva un’ascia da macellaio correndo verso Stefano. Tommaso se ne accorse ma non ebbe il tempo di dire qualcosa che Giovanna fu subito addosso a Stefano. Accecata dalla furia agitò l’ascia e vari colpi andarono a segno. Stefano colpito alla schiena, alle braccia e al collo si accasciò a terra, sanguinante, senza vita. Giovanna respirò affannosamente come un toro dopo una carica al torero, l’ascia le cadde dalle mani. Si inginocchiò, stava piangendo e sbatteva i pugni sul pavimento. È colpa tua, tutta colpa tua, continuava a ripetere.
Elisa con tutto quel trambusto si svegliò e scendendo le scale trovò uno scenario atroce. Corse contro il corpo di Stefano. Si inginocchiò, e tenne la testa del suo amato tra le sue mani. Gridava, gli gridava di svegliarsi. Si svegliò pure Irene e guardando la scena si voltò impaurita verso Tommaso per capire cosa fosse successo. Tommaso e Michele erano immobili, traumatizzati. Elisa si girò e vide Giovanna a terra con la mannaia ai suoi piedi e si alzò per andargli incontro. Di colpo una mano le prese la gamba. Si voltò ed era la mano di Stefano. Non era morto. Anzi si stava rialzando. Elisa lo aiutò e lo abbracciò. Il sangue aveva cessato di sgorgare e le sue ferite lentamente si stavano rimarginando.
Stefano era sconcertato quanto loro.
“Per un attimo ho creduto che fossi morto” disse Elisa.
“Nessuno di noi può morire” disse Stefano. Sospirò e indicò Tommaso.
Elisa lo guardò e vide la sua gamba, identica come prima dell’intervento.
“Ma che stai dicendo? Come può essere, non capisco, lo avevo medicato, lo avevo tolto quel ramo”.
“Non possiamo morire” ridisse più forte Stefano.
“Non possiamo morire perché…” si fermò, non ebbe il coraggio di continuare.
“perché siamo già morti…” continuò Tommaso, lanciando con frustrazione la bottiglia di whiskey che aveva accanto. La bottiglia andò a sbattere contro il muro e si ruppe in mille pezzi.
“No, non può essere vero, io sono vivo” disse Michele mentre si toccava addosso per dimostrare di essere in carne ed ossa.
“Se non fosse per questa bufera i soccorsi sarebbero già arrivati, e saremmo tutti a casa”
“Non finirà mai questa bufera, siamo condannati a stare qui per sempre, questa è la nostra bara”
Michele non voleva credergli: “Tu sei pazzo, pazzo ho detto, da legare, io me ne vado, preferisco morire di freddo là fuori che stare con gente malata di mente come te” si alzò e andò verso la porta d’ingresso e corse fuori.
Tommaso aiutato da Irene si alzò e lentamente insieme agli altri uscirono fuori anche loro a vedere con i propri occhi. Anche Giovanna ancora piangente li seguiva ma restando ad una certa distanza da loro. Andarono verso l’autobus, ancora in fiamme, Michele non credeva ai propri occhi, correva, correva verso nord, verso sud, in tutte le direzioni ma più lontano andava e sempre davanti agli occhi trovava quella maledetta casa di fronte. La superava correndo e poco più avanti si imbatteva contro l’autobus. Alla fine stremato si accasciò a terra e si mise sconsolato a piangere. Tommaso gli si avvicinò lentamente zoppicando, gli diede una leggera pacca sulla spalla e disse: “Mi sono sempre piaciute le palle di vetro, sai quelle di natale con dentro quelle belle casette che se le capovolgi cade la neve che la ricopre tutta. Ecco… non avrei mai pensato di finirci dentro.”

8

I mezzi della guardia forestale furono i primi ad arrivare nel luogo dell’incidente. C’erano molti feriti e furono costretti a chiamare altre ambulanze per recuperare tutte le persone. Nel tratto innevato per arrivare all’autobus trovarono tre persone, due ragazzi e una ragazza, sepolte nella neve, scaraventate fuori dall’autobus. Uno di loro presentava una grossa ferita alla gamba. Arrivati all’autobus trovarono Antonio che trascinava il corpo di suo moglie fuori intento a svegliarla, ma non ci fu nulla da fare. Era già morta. Entrando nell’autobus i forestali oltre numerosi feriti, trovarono altri due corpi, un uomo e una donna.
Nei giornali se ne parlò per molti giorni di quella tragedia.
La settimana seguente ci furono i funerali, e i corpi nelle loro bare in mogano furono seppelliti lì in quel luogo sfortunato, proprio vicino ad una casa dall’aspetto strano.

 

 

Nicola Simone

© Riproduzione Riservata