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Sogni e sintomi – racconto di Luca Zorzan

La storia che si inizia a narrare, si premette, è raccontata con lo stile tipico di un autore portoghese premio Nobel per la letteratura. Un romanziere molto amato dal ragazzo protagonista di questo racconto.
In premessa, non di meno, è utile descrivere un aneddoto. Un anno dello scorso secolo questo ragazzo si trovava sull’aereo di ritorno dal Portogallo, terra a lui cara e terra in cui vorrebbe un giorno vivere. Ebbene, sull’aereo scorrendo le pagine di Cecità, si trovò a dire alla sua compagna: “ma possibile che un tal autore e soprattutto una terra che ha avuto sommi poeti come Fernando Pessoa non abbia mai ricevuto quel premio istituito dall’inventore della dinamite?” non disse corbezzoli a chiosa della domanda poiché non era suo costume linguistico.
Quello stesso anno, o forse quello successivo, Josè Saramago vinse il Nobel e non lo rifiutò come fece Sartre più di trent’anni prima, nonostante le paritetiche idee… Ed ora che lo scrittore lusitano è scomparso, la sua opera vive ancor di più nell’immaginario del protagonista di questo racconto.

Ordunque… Questa è la storia di un ragazzo (successivamente divenuto ex ragazzo) che aveva molti pensieri e parole nella testa. Un ragazzo all’apparenza timido, ma dal carattere già abbastanza forte, che quelle parole e quei pensieri non amava condividere.

Questo ragazzo ora non è più un ragazzo, è chiaro. Il suo carisma lo esercita altrove. Riesce ancora ad essere simpatico ed amabile ma a ciò ha aggiunto anche autorevolezza e, soprattutto, la consapevolezza delle proprie esperienze.

Il ragazzo si è formato, ha lasciato sulla sua strada delle macerie dolorose causate dal suo egoismo e dalla sua voglia di vita. Ha anche costruito, però. Non dalle macerie, perché quelle a volte sembrano rincorrerlo, ma ha edificato costruzioni su basi tutte nuove.
Tra i suoi pensieri e le sue parole poche volte espresse, albeggiava da sempre un obiettivo.
Fin da ragazzino vedeva nei bambini la salvezza del mondo ed anche il senso della vita dopo la morte. Non ha una formazione religiosa, il ragazzo. Egli sa che dopo la morte non c’è altra vita. Il ragazzo condivideva pienamente Baudelaire che vedeva in Dio l’unico essere che per regnare non ha bisogno di esistere. Il nostro protagonista sa, pertanto, che si può vivere solo nel ricordo dei propri cari. E più giovani sono i cari – più vita loro hanno – e più si può vivere nel loro ricordo. Anche per questo ha sempre voluto avere una famiglia ed una prole da crescere, da amare. Dare amore è il miglior modo per essere amati, si ripeteva. Questo era il suo obiettivo.

Nel corso dei suoi anni non ha mai smesso di cercare la persona giusta per dare e ricevere amore. Nella improbabile ricerca della perfezione, questo ragazzo ha lasciato tracce indelebili in animi umani; egli, ahimè, ha ferito molte persone. Le ha circuite, le ha illuse, le ha fatte innamorare perdutamente vuoi per il suo aspetto, vuoi per le sue parole che finalmente regalava come rose rigogliose. Poi se ne andava. Inesorabile e definitivo.
Un giorno egli ha incontrato una ragazza in un periodo particolarmente difficile per lui. Lui non l’amava, mentre lei pendeva dalle sue labbra e faceva tutto per lui. Il ragazzo, simpatico, “piacione”, egocentrico, si voleva divertire. Poi il corso degli eventi e della propria vita, lo hanno portato a rivalutare tanti aspetti di sé stesso, ma soprattutto della ragazza con cui condivideva le proprie giornate. Pian piano se ne è innamorato. Finalmente quel ragazzo ha capito di aver trovato la persona che cercava da tanto tempo. Così è ancora oggi. Oggi che quel ragazzo, lo abbiamo capito, è adulto e forse più avanti capiremo anche il perché.

Quell’ex ragazzo sa che non potrà mai fare a meno di quella persona poiché con lei ha deciso di vivere finché vita lo sosterrà. Con lei ha deciso di avere la certezza di poter esistere dopo la morte grazie ai propri amati figli.
Si diceva che l’ex ragazzo ha vissuto con questa ragazza i momenti difficili, le tragedie, gli entusiasmi, i viaggi, le decisioni importanti ma anche quelle più dolorose che ogni storia porta con sé.
Con lei ha cullato il sesso, l’intelletto, il sorriso, il pianto per un figlio mai nato, la gioia per quelli nati, per questa vita che scorre veloce, limpida e piena di sorprese ed evoluzioni. I baci e le carezze. Quelli rubati al tempo, quelli cercati in un angolo e quelli vissuti intensamente in un alcova proibita e poi finalmente libera.
Con lei ha percorso tutte quelle tappe necessarie affinché un rapporto possa essere considerato maturo, solido e ramificato. Questo lui lo sa. E sa anche che ora, oggi, non potrà mai fare a meno di questa conquista. Per lui è una vittoria, nata da un obiettivo personale da raggiungere ed ottenuta creando un gruppo di persone che si amano e che si desiderano. Una famiglia.

Però… Però, questo ex ragazzo è strano, come era strano quando era un ragazzo. Lui sa anche questo.
Ha una memoria particolare che lo riporta a rivivere episodi di quando aveva tre anni, in casa di sua nonna paterna, mentre la mamma era all’ospedale a partorire la sorella. Si ricorda la tazza di latte freddo, la radio anni ’60 che mormorava facezie. Si ricorda di come sua nonna gli diceva di tenere meglio il cucchiaio in mano. Una mano troppo piccola per quel grande cucchiaio. Si ricorda della sensazione di solitudine e di vuoto che provava. Senza mamma per la prima volta.
Un altro ricordo risale a quando a cinque anni si avventurò in una campagna insieme ad un’altra bambina e si perdette tra le alte piante di fave di un grande campo. Si ricorda di quegli attimi pieni di paura e della bambina che piangeva disperata chiamando i genitori. Lui con il cuore in gola e gli occhi pieni di lacrime cercava di consolarla e di rassicurarla, ma tremava come una foglia, forse più di lei. Poi arrivò un fattore insieme ai rispettivi padri e lui si ricorda benissimo di come suo padre lo sgridò e del contadino con il viso scolpito dalle rughe che lo guardava con malevolenza, ma mai sgridata fu più gradita per quel ragazzo.
Si ricorda anche quando a dodici anni perse la sua amata nonna materna. Si ricorda dell’ultimo saluto che le fece. Il ricordo più doloroso, per quel ragazzo ora ex, è quello legato a quando quattro uomini si presero sul dorso il feretro e cominciarono a scendere le scale del condominio. Si ricorda di come quei quattro uomini fecero un saltello per sistemarsi al meglio il peso sulle spalle; al ragazzo sembrò di sentire il rumore del corpo di sua nonna. La fecero sussultare. Quel ragazzo, dopo venti anni, scrisse una poesia in sua memoria. Mentre la scriveva piangeva e mentre la leggevano i suoi cari piangevano tutti. Era la poesia di un ex ragazzo per sua nonna che quando era ragazzo amava molto ed ora che è adulto la ama ancora.

Comunque… Si diceva degli strani ricordi di questo ragazzo. Ce ne sono altri. Uno di questi è legato ad uno dei primi giorni di una nuova esperienza scolastica. In quei momenti è usuale cercare qualcosa o qualcuno a cui afferrarsi per non precipitare nel vuoto dell’indifferenza. Ebbene, il ragazzo della nostra storia, trovò quello che cercava in un sorriso. Il sorriso più bello e dolce che avesse mai visto. Poteva godere di quel sorriso a tratti. Voltandosi o negli intervalli: ed era ancora più intenso. Quel sorriso così prepotente gli entrò in testa, ma subito dopo – era nell’età più volubile, del resto – preferì dedicarsi ad altro.
Aveva lo sport, frequentava le ragazze del suo gruppo, non guardava certo in “casa” sua. Lei, invece, aveva ancora il suo bellissimo sorriso. Un anno, poi, il ragazzo si decise a fare un passo di avvicinamento. Era proprio strano questo ragazzo.
Non sapeva neanche lui il perché. Forse aveva in testa un progetto importante. Forse aveva avuto un’illuminazione. Era anche pronto a ricevere un diniego, peraltro molto probabile.
In quel momento così decisivo, però, un suo grande amico si confidò con lui ed espresse la chiara intenzione di aprire un discorso affettivo con quella stessa ragazza. Allora il nostro ragazzo decise di fare un passo indietro – forse anche due passi – e lasciò al destino il compito di tracciare il suo corso e di indicargli quali erano i suoi prossimi cento passi, anche se sapeva di non essere un eroe come Peppino Impastato. Così accadde e lui visse la sua vita e divenne un adulto. Un adulto felice.

Quell’ex ragazzo oggi, ora che tutto è definito, associa ai ricordi della sua memoria i sogni delle sue notti e ne valuta i relativi sintomi. Quell’ex ragazzo sa benissimo che, mentre i ricordi fanno parte delle proprie esperienze e della propria vita vissuta, i sogni provengono dal subconscio, dall’io più profondo. Nei sogni può trovare applicazione la teoria ucronica di Philip K. Dick.
Quando l’ex ragazzo si sveglia – e quando ha un po’ di tempo per sé – a volte, si mette a ragionare su quali siano i sogni più ricorrenti delle sue notti. L’ex ragazzo ha compilato una specie di classifica scopiazzando Nick Hornby.

Al terzo posto inserisce decisamente l’interrogazione di un professore che aveva un cognome dolciastro ma era un aspide. Quando era ragazzo, il nostro, era bravo nella sua materia e il dolciastro aspide mai lo aveva punto. Nel sogno, invece, è mancato alle sue lezioni per diverso tempo e si ritrova improvvisamente in classe pronto per essere interrogato e colto impreparato. In questo sogno rivive, con un’intensità tipica dei film hitchcockiani, tensione, paura e ineluttabile punizione.

Al secondo posto, classifica un sogno forse comune a molti altri. Volare con il proprio corpo, come gli uccelli. L’ex ragazzo ama in particolare due animali non domestici. Il primo è l’elefante, l’altro l’aquila. L’ex ragazzo considera il pachiderma africano un animale bellissimo. Enorme ma delicato. Possente con le sue meravigliose zanne. Dalla memoria lunga. Legatissimo ai suoi cari e alla sua famiglia. Lui conosce bene l’elefante, sa che veglia i morti e che soffre per le perdite del branco. Sa anche che è l’unico mammifero oltre all’uomo, ai delfini e a qualche specie di scimmia che sa riconoscere la propria immagine riflessa in uno specchio. Ciò lo affascina, anche se si domanda dove si possano trovare specchi nella giungla africana.
L’aquila, invece, è la libertà in assoluto. Il volo ardito verso l’azzurro del cielo, l’occhio vigile pronto ad avvistare il cibo. È il potere del vento. L’aquila controlla il vento. Si alza, trova la corrente più adatta, apre le ali e rimane in stallo, immobile come un aquilone (che, si precisa, non è una grande aquila di sesso maschio). Perfetta nella sua eleganza.
Il sogno ricorrente dell’ex ragazzo, quindi, è quello di saper volare come un’aquila. Di librarsi in aria e guardare i palazzi e le colline dall’alto. Ma quando si rende conto di saper volare, precipita e si sveglia con la limpida sensazione di essere caduto da altezze impossibili.
Questo ex ragazzo, recentemente, ha vissuto realmente tale sogno. Si trovava in un posto bellissimo, dalle splendide acque trasparenti e dai fondali meravigliosi. In questa località il maestrale soffiava costantemente e portava con sé odori e profumi inebrianti. Il mirto, la vegetazione verde e viola, ma anche il forte odore salmastro del mare. Questo ex ragazzo si divertiva a fare snorkeling (si dice così oggi, ma lui si ricorda una battuta del compianto Mike Bongiorno quando gli chiesero se era vero che fosse un sub eccezionale e lui rispose, no sono un sub normale…).
Quel giorno egli si allontanò dalla riva e all’improvviso si ritrovò a nuotare in un fondale meraviglioso. Profondissimo, vivo di fauna marina, pesci, ricci, stelle marine e scogli lontanissimi. Questi scogli di granito erano scolpiti come solo la sapiente arte della natura sa fare. Apparivano come edifici, quasi grattacieli. Lui si fermò completamente. Come fanno le aquile quando controllano il vento, lui controllava la corrente marina. Come nel suo sogno. Dovette riemergere per prender aria, perché gli sembrava di precipitare. Ma era solo la consapevolezza della forza della natura. Un po’ la stessa sensazione che prova quando sferza la neve in velocità sulle pendenze della Croda Rossa. Lì sono il vento e il freddo degli schizzi della neve a donargli ebbrezza. Anche quello per lui è volare sebbene l’attrito degli sci e i sobbalzi dei dossi gli facciano comprendere di essere ancora sulla terra.

Ma veniamo al terzo sogno che, in effetti, sarebbe il primo nella particolare classifica dell’ex ragazzo…
Il sogno più ricorrente dell’ex ragazzo, oramai adulto, è la ricerca della ragazza dal sorriso più bello. Il nostro ex ragazzo si ritrova in questo sogno in cui cerca disperatamente quella ragazza. La cerca nella sua città natale o in qualche metropoli sconosciuta. Poi la trova, si riconoscono, si sorridono (lei ancora con quel bellissimo sorriso) e parlano di loro e delle loro vite. Cenano insieme e si salutano. A volte invece di cenare bevono del vino. Ma alla fine del sogno si salutano sempre.
Oggi quando l’ex ragazzo si sveglia, ripensa al sogno, ne assimila i sintomi e trova risposta alle mille domande di una vita, perché l’adolescenza e la gioventù sono i migliori anni della nostra vita ed è giusto chiamare quel periodo Vita.
Or dunque! Si cercava di dire che questo sogno ha animato le notti del nostro protagonista per diversi anni finché l’ex ragazzo ha capito che quel sorriso così dolce lui lo vedeva ogni giorno in casa propria. Quel sorriso così bello e dolce disegnava il viso della sua compagna. Fu solo allora che capì cosa lo colpiva senza rimedio di sorta in una donna: il bel sorriso. Quello puro e naturale. Sano e spensierato. Spontaneo e sincero. Coinvolgente e rassicurante. Il sorriso.

Eccoci qui, cari amici, a trarre una rapida conclusione di questo racconto che forse un po’ vi ha tediato ed un po’ incuriosito.

Il nostro protagonista ha avuto un’infanzia felice, un’adolescenza tranquilla, una gioventù piena di spensieratezza ed ora vive la sua età da adulto in letizia e riconoscenza verso le persone che gli hanno permesso questa invidiabile esistenza.
Questo vecchio ragazzo era, una volta, un lupo affamato che divorava la notte e le anime in cerca di solidità. Lui fingeva di regalare basi, e poi mordeva con avidità lasciando precipitare nel vuoto le sue vittime.
Percorreva strade medievali in compagnia di altri lupi, inalava fumi perversi e sbranava carni giovani ed ingenue. Questo era il suo habitat. Il proprio istinto animale che il tempo ed il corso della vita hanno relegato in un angolo oscuro dell’inconscio.
Il nostro ex ragazzo sa, d’altronde, che l’inconscio lavora in silenzio. Sa che a volte lo deve liberare per sopravvivergli. Sa, il nostro, che non potrà mai trasformarsi in agnello, ma lui è stato sempre capace di controllare tutto, anche il subconscio. Non ucciderà mai il lupo, ma si nutrirà di altro cibo, cibo migliore e di qualità, quello che trova nella sua tana, purché esso contenga sempre sangue vivo e non coagulato dalla quotidianità.

Egli, quindi, non è curioso di interpretare il sogno dell’interrogazione, né quello del volo ardito. Ha capito, invece, che il vero protagonista del terzo sogno non era la ragazza dal sorriso più bello e dolce, ma proprio il sorriso più bello e dolce. Sa anche che, ancora una volta, il suo istinto lo ha portato a trovare quel sorriso. Lo ha preso e lo ha portato con sé. Lo culla e lo accudisce come fosse linfa di vita. Ora egli sa che lo terrà con sé per tutto il resto della sua vita perché il nostro ex ragazzo sa di aver trasformato quel sogno in realtà e sa anche che “ la realtà è quella cosa che quando smetti di crederci non svanisce” come narrava l’estinto cantore della realtà ucronica.

Il nostro ex ragazzo non può neanche dimenticare la colonna sonora di uno dei brani più in voga negli anni in cui era ancora un ragazzo. Era una canzone il cui inciso declamava: “cos’è la vita senza l’amore, è un albero che foglie non ha più. E s’alza il vento, un vento freddo, che come le foglie le speranze butta giù…”.
E per fortuna dell’ex ragazzo oramai adulto, il suo albero è rigoglioso di foglie verdi e la sua vita è piena di altre vite. Del vento lui non ha paura. Il vento lui lo controlla come solo le aquile sanno fare.

Lui ora guarda il mondo con occhio lineare. Pensa che se i sogni sono segni o se i sogni sono sintomi, nessuno, comunque, può permettersi rimpianti mai. Le parole sussurrate, frutto di un’innocenza remota e stretta in carne accattivante, le parole, si diceva, stanno conficcate in gola e possono far male, meglio, quindi, lasciarle andare.
L’ex ragazzo pensa tutto ciò ed il modesto autore di questa narrazione ringrazia il poeta Giovanni Lindo per l’ultimo prestito.

Ora è veramente tutto care lettrici e cari lettori. Ma…Aspettate…Mi giunge proprio ora notizia che… Caspita!!!
L’argomento è più complesso del previsto. Peccato… il mio tempo è terminato.

Va bene, vi racconterò tutto un’altra volta se avrete pazienza, altrimenti… Pazienza… come diceva quel grande fumettista di nome Andrea che morì troppo giovane per essere un maestro e troppo tardi per essere dimenticato.

 

Luca Zorzan

 

 

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