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Il trascorrere del tempo – Racconto di Paola Bassi

Minorca ha due mari. Uno verde formato da pini, querce e macchia mediterranea che si estende a perdita d’occhio fino al mare, azzurro in lontananza e dai colori cangianti in prossimità della riva, con spiagge finissime incorniciate dalla macchia che arriva fino all’acqua arrampicata sugli scogli. La macchia e’ delimitata da muretti a secco di pietra bianchissima e regolare. All’interno dei muri ci sono talvolta campi arati di fresco con altri muri circolari che delimitano querce e macchia quasi ad ornare ed impreziosire le geometrie dei campi. Sembra che i contadini siano stati guidati da un architetto per disegnare le geometrie dei muri che addomesticano un poco il paesaggio senza alterare la natura selvaggia. Ogni tanto in mezzo al verde spuntano masserie bianchissime e ordinate.
Paolo corre avanti, ogni tanto si ferma e mi aspetta, sembra un bambino che anticipa i genitori, nessun senso di coppia nessuna cura. Abbiamo scambiato pochissime parole e niente pensieri o gesti, nessuna complicità. Ora lo attendò dopo una lunga camminata, io mi sono fermata a riposare lui è scappato avanti felice di liberarsi di me. Lo attendò in uno strano posto a ridosso della spiaggia alla fine della macchia. C’è un vecchio proprietario del posto vorrebbe parlare ma la conversazione è impossibile, io aspetto Paolo lasciata qui come chi si libera di un peso e corre con passo leggero verso un altro luogo. Ma io non ci sto ad identificarmi con questa icona.
In questo momento mi sento fragile, non è una percezione razionale ma emotiva, quindi è inutile cercare percorsi logici per dimostrare che non c’è alcun motivo per cui io debba sentirmi fragile.
Saranno gli anni che passano, la perdita di identità e di ruolo sostanziale sul lavoro, mia madre che se ne va giorno dopo giorno, mio figlio che giustamente va per la sua strada.
Mia madre si allontana ingabbiata nel suo male, e io la vedo sempre più distante attraverso un vetro che ci impedisce di comunicare. E’ come quando due persone si incrociano su due scale mobili che hanno direzioni opposte, si guardano, si salutano, ma le parole si perdono nell’intervallo generato dalla distanza che si fa rapidamente più ampia.
La crisi internazionale sullo sfondo, la mia illusione di sentirmi comunque giovane nonostante abbia passato il mezzo secolo. Il portafoglio nero che Paolo mi ha regalato per il mio compleanno, assolutamente pratico ma da vecchia zia.
Chiudo gli occhi e sospiro, frugo nei ricordi, ma non so nemmeno quali.
Quali saranno i ricordi che riempiranno il vuoto dei gesti.
Un calice di vino profumato come il cuoio ed il tabacco, questi sono i suoi odori, li voglio imprimere nella memoria e nella memoria ci vorrei conservare un gesto ed uno sguardo. Per dopo, come usavano i barbieri con la sigaretta dietro l’orecchio…per dopo. Voglio ricordare. Voglio rubare un’emozione da conservare in un vasetto della marmellata. Vorrei che il tempo non passasse inutilmente e i giorni possano essere ricordi…per dopo. Voglio imprimere i profumi, del cibo, della pelle, del sesso, dell’aria non voglio che il tempo cancelli i contorni dei visi e dei gesti. Se sei infelice non ricordi di essere stata felice e questo è orribile. Eppure in ogni vita, oltre i segni del tempo e le ombre amare ci sono scoppi di risa, c’è sempre la pietà di un ricordo dolce che alla fine scioglie la tristezza e la tramuta in malinconia. Malinconia liquida, che se ti ci sai cullare ti porta via e ti perdona e, oltre le rughe, accenna un sorriso sulle labbra increspate.

Paola Bassi

 

 

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