Vicolo di Salvatore Quasimodo è una poesia incentrata sul ricordo, sul dolce fascino della memoria e sulla sua capacità di generare nostalgia, un sentimento antico che sprigiona emozioni diverse e contrastanti. Nei versi del poeta siciliano non c’è soltanto la memoria individuale di un’infanzia siciliana, ma la voce universale di tutti coloro che sono costretti a lasciare la propria terra natia per sopravvivere alla vita.
Qualsiasi fortuna o sventura li attenda nel duro esilio, il richiamo delle origini non smetterà mai di sussurrare al cuore e alla mente. È una presenza costante, dolce e dolorosa al tempo stesso, che accompagna ogni passo lontano dalla propria casa. Ma Quasimodo ci invita anche a riconoscere una verità inevitabile: partire è spesso l’unica possibilità per costruire un futuro, l’unico modo per non restare imprigionati nel buio di un’esistenza senza prospettive.
Così la poesia riesce ad intrecciare due piani emotivi, da un lato la bellezza che la memoria regala all’anima, dall’altro la necessità di lasciare quei luoghi per aprirsi al mondo. È in questo movimento che Vicolo trova la sua forza: nel mostrare come la nostalgia non sia soltanto rimpianto, ma anche il segno vivo di un legame che continua a parlare dentro di noi, anche quando siamo lontani.
Vicolo è tratta dalla raccolta Acque e terre di Salvatore Quasimodo, pubblicata per la prima volta da edizioni Solaria nel 1930, e poi rimaneggiata fino a farla confluire in opere successive.
Leggiamo questa meravigliosa poesia di Salvatore Quasimodo per coglierne la profondità del significato.
Vicolo di Salvatore Quasimodo
Mi richiama talvolta la tua voce,
e non so che cieli ed acque
mi si svegliano dentro:
una rete di sole che si smaglia
sui tuoi muri ch’erano a sera
un dondolio di lampade
dalle botteghe tarde
piene di vento e di tristezza.Altro tempo: un telaio batteva nel cortile
E s’udiva la notte un pianto
Di cuccioli e di bambini.Vicolo: una croce di case
Che si chiamano piano,
e non sanno ch’ è paura
di restare sole nel buio.
La nostalgia di tutti coloro che lasciano il loro vicolo
In Vicolo non siamo davanti a un semplice ricordo d’infanzia. In questa poesia Salvatore Quasimodo intreccia la voce della sua terra con quella di tutti gli uomini che hanno conosciuto la nostalgia e il distacco. È una lirica che nasce dalla memoria, ma che non si esaurisce in un sentimento individuale. I suoni, le immagini, le atmosfere che il poeta evoca diventano simboli universali, capaci di parlare ancora oggi a chiunque abbia provato il dolore e insieme la dolcezza di guardare indietro.
Nella poesia vive la bellezza che la memoria regala all’anima, ma c’è anche la consapevolezza che non si può restare imprigionati in quei ricordi. È questo il nucleo più intenso della poesia: la nostalgia consola e allo stesso tempo ferisce, perché ci ricorda che quei luoghi non sono più abitabili, che il tempo ci costringe a cercare altrove nuove possibilità. Eppure, senza quei ricordi, saremmo privati della nostra radice più profonda.
Il termine “nostalgia” ha origini antiche. Deriva dall’unione di due parole greche, nostos, cioè “ritorno”, e algia, letteralmente “fastidio, dolore”. La nostalgia è quindi il “dolore del ritorno”, quel familiare stato d’animo che si impadronisce dell’anima nel momento in cui con la mente e con il cuore si “ritorna” ai tempi passati. In quel ricordare si avverte un misto inscindibile di piacere e dolore.
Crogiolarsi negli anfratti della memoria, sentire il peso del tempo che scorre e assaporare la bellezza degli attimi passati è una sensazione che molte volte genera piacere, benessere. Ma, bisogna essere consapevoli che parte della loro bellezza consista proprio nel non essere che ricordi, istanti che non torneranno più.
Quel dolce amaro richiamo della memoria dal quale imparare a liberarsi
Vicolo inizia con la rievocazione di un paesaggio familiare, descritto con dolcezza ed eleganza. Il vicolo non è solo uno spazio urbano, ma diventa una presenza viva, quasi umana, dotata di una voce capace di ammaliare e di richiamare il cuore del poeta. In quell’eco interiore si risvegliano memorie antiche e profonde, insieme a quel sentimento nostalgico che è intimamente poetico e che segna tutta la prima stagione della poesia di Quasimodo.
Non si tratta soltanto di un ricordo realistico, ma di una dimensione interiore che riaffiora nei momenti di sospensione, quando la memoria si fa più forte del presente. Come ha sottolineato lo scrittore Francesco Puccio, «Il vicolo si presenta come l’espressione simbolica di una realtà del sentimento, che, se non esiste oggettivamente nel vissuto quotidiano, si configura però come un momento indelebile della vicenda interiore del poeta e pronto a riemergere in particolari momenti di sospensione».
Il paesaggio che Quasimodo evoca è fatto di luci e suoni che sembrano vibrare ancora nell’anima. La “rete di sole che si smaglia” al tramonto, il “dondolio di lampade” nelle botteghe, il vento che porta con sé un senso di tristezza: sono immagini che restituiscono la vita semplice e fragile di un vicolo siciliano, ma che allo stesso tempo parlano di una condizione universale. La memoria non addolcisce, non idealizza: porta con sé il fascino dolce del ricordo, ma anche la malinconia delle cose perdute.
Poi arriva la cesura, netta, che introduce un “altro tempo”. Il poeta si affida ai suoni della vita quotidiana: il telaio che batte nel cortile, i pianti che riempiono la notte, confondendo le voci dei bambini con quelle dei cuccioli. Qui la memoria non è più solo un rifugio, ma diventa rivelazione della vulnerabilità umana. In quelle voci fragili c’è il bisogno universale di protezione e di calore, un bisogno che attraversa l’infanzia, gli animali, e la stessa condizione dell’uomo.
La chiusa della poesia, intensa e quasi metafisica, dà al vicolo una dimensione simbolica: una “croce di case” che si chiamano piano, per non restare sole nel buio. È la parte più potente del testo, perché trasforma il ricordo in una verità universale. Quelle case, che sembrano creature dotate di voce, sono il riflesso degli uomini: anche noi, come loro, cerchiamo la vicinanza degli altri per non essere inghiottiti dall’oscurità.
In questo intreccio tra dolcezza e inquietudine, tra fascino della memoria ed esigenza di apertura, si gioca il significato più profondo di Vicolo. Il senso è che la nostalgia non è mai soltanto un rimpianto, ma, dovrebbe essere una spinta a riconoscere la nostra fragilità e a trasformarla in apertura e condivisione.
Vicolo il ritratto di una nostalgia universale
Vicolo non è soltanto una lirica personale, ma il ritratto di una nostalgia che appartiene a tutti. Nei suoi versi si intrecciano la dolcezza dei ricordi, la bellezza che la memoria regala all’anima e la consapevolezza che non si può rimanere imprigionati in ciò che non esiste più. Salvatore Quasimodo, con immagini semplici e potenti, restituisce il senso di un legame che non si spezza: quello con le origini, con la propria terra, con il vicolo che ognuno porta dentro di sé.
Ma questa nostalgia, se resta chiusa in sé stessa, rischia di diventare buio. È qui che la poesia compie il suo salto universale: le case che “si chiamano piano” diventano il simbolo dell’essere umano, che non può vivere isolato, ma ha bisogno di aprirsi all’altro, di cercare legami per resistere alla solitudine.
Per chi è stato costretto a lasciare la propria terra natale, questo messaggio è ancora più intenso. La memoria accompagna, consola, ferisce, ma può trasformarsi in radice viva, in energia che sostiene il cammino. Vicolo mostra che l’unico modo per sopravvivere al buio è portare con sé la luce della memoria e aprirsi al mondo.
Così la nostalgia smette di essere solo rimpianto e diventa una forma di resistenza, un modo per dare senso alla distanza e al tempo che passa.