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“Solitudini” di Quasimodo, ovvero l’arte di comunicare al mondo attraverso la poesia

Da "Solitudini", Salvatore Quasimodo estrapola i versi finali divenuti poi celebri con il titolo "Ed è subito sera".

Solitudine e solitudini. Di questo parla Salvatore Quasimodo nella sua poesia, intitolata per l’appunto “Solitudini” e contenuta nella raccolta Acque e terre, che nasconde un piccolo segreto: il componimento contiene il testo di un’altra poesia, fra le più celebri dell’autore esponente dell’Ermetismo.

“Solitudini” di Salvatore Quasimodo

Una sera: nebbia, vento,
mi pensai solo: io e il buio.

Né donne; e quella
che sola poteva donarmi
senza prendere che altro silenzio,
era già senza viso
come ogni cosa ch’è morta
e non si può ricomporre.

Lontana la casa,
ogni casa che ha lumi di veglia
e spole che picchiano all’alba
quadrelli di rozzi tinelli.

Da allora
ascolto canzoni di ultima volta.
Qualcuno è tornato, è partito distratto
lasciandomi occhi di bimbi stranieri,
alberi morti su prode di strade
che non m’è dato d’amare.

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Dal particolare all’universale

Leggiamo “Solitudini” e ci immaginiamo il paesaggio che ha prodotto questo componimento: è un paesaggio personale, impastato di dolore e nostalgia. La sera che cala grave sul mondo, la morte della madre, assenza irreversibile, la perdita di contatto con i luoghi familiari, che si appannano sempre di più, come inghiottiti da una coltre di nebbia.

Leggendo le prime quattro strofe della poesia ci immergiamo, insomma, nell’universo narrativo di Salvatore Quasimodo che, con i suoi versi, esprime e racconta se stesso.

Con l’ultima strofa, “Solitudini” cambia.

L’esperienza del dolore, della nostalgia, dell’irreversibile incomunicabilità che prima era stata del poeta, diventa universale. È avvenuta la magia, proprio alla fine del componimento: ciascuno di noi riesce a sentirsi partecipe di quei tre brevissimi versi.

Come se il poeta li avesse scritti per noi. Come se avesse cavato fuori dalle nostre viscere qualcosa che non saremmo mai riusciti a spiegare, e che tuttavia riesce misteriosamente a prendere forma grazie al tramite della poesia:

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Deve essersene accorto anche Quasimodo; perché, proprio quei versi finali, li ha scorporati da “Solitudini”, rendendoli testo poetico a se stante: da “Ed è subito sera” ha tratto nucleo e temi per la sua omonima raccolta pubblicata nel 1942.

Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo nasce a Modica nel 1901. Il padre è capostazione, quindi da piccolo Salvatore viaggia molto e anche la sua adolescenza trascorre serena all’insegna degli spostamenti in diversi paesi siciliani per via del lavoro paterno.

Eclettico per natura, Quasimodo si stanca subito delle attività cui si dedica. Nel corso dell’età adulta si destreggia con vari mestieri, fra cui il commesso, il disegnatore tecnico, il contabile, l’impiegato al genio civile…tutte mansioni che può svolgere grazie al suo diploma da geometra. Ma ciò che non lo stanca mai è lo studio delle lettere, a cui si dedica parallelamente alle attività saltuarie. Si appassiona così tanto ai classici e all’arte della scrittura che ben presto comincia a scrivere.

Intanto, a Milano ottiene una cattedra per l’insegnamento della letteratura. Il cognato Elio Vittorini ha un grande ruolo nella carriera di Salvatore Quasimodo: è proprio lui che presenta lo scrittore agli intellettuali legati alla rivista letteraria Solaria, dove vengono pubblicate le prime poesie dell’autore.

Presto, l’autore di “Solitudini” si lega ai poeti ermetici e fa dell’ermetismo la sua cifra poetica. Le sue raccolte affrontano i temi più disparati ma, soprattutto dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, larga parte della sua produzione è dedicata esclusivamente alla tematica bellica e all’impegno civile.

Nel 1959 gli viene conferito il Premio Nobel per la Letteratura. Muore improvvisamente a Napoli, nel 1968.

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