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“Sempre aperto teatro” di Patrizia Cavalli, realtà e finzioni dell’amore

Il 21 giugno dell'anno scorso ci lasciava Patrizia Cavalli. La ricordiamo leggendo "Sempre aperto teatro", una poesia che parla dell'amore come di un a rappresentazione teatrale.

Un anno fa ci lasciava Patrizia Cavalli, poetessa e scrittrice che è diventata una delle voci più rappresentative della poesia contemporanea in Italia. La ricordiamo attraverso “Sempre aperto teatro”, una poesia che racconta l’amore usando la metafora del teatro.

“Sempre aperto teatro” di Patrizia Cavalli

Indietro, in piedi, da lontano,
di passaggio, tassametro in attesa
la guardavo, i capelli guardavo,
e che vedevo? Mio teatro ostinato,
rifiuto del sipario, sempre aperto teatro,
meglio andarsene a spettacolo iniziato.

O amori – veri o falsi
siate amori, muovetevi felici
nel vuoto che vi offro.

Tutto mi appare in bella superficie
e poi scompare. Perché ritorni
la figura io mi sfiguro, offro
i miei pezzi in prestito o in regalo,
bellezza sia visibile, formata,
guardarla da lontano, anche sfocata,
purché ci sia, purché ci sia, anche non mia.

Amore, identità, finzione

“Tutto mi appare in bella superficie
e poi scompare. Perché ritorni
la figura io mi sfiguro, offro

i miei pezzi in prestito o in regalo,
bellezza sia visibile, formata,
guardarla da lontano, anche sfocata,
purché ci sia, purché ci sia, anche non mia”.

Nata a Todi nel 1947, Patrizia Cavalli arriva a Roma nel 1968, dopo essere passata per Ancona. Nella capitale conosce Elsa Morante, dalla cui frequentazione nasce, nel 1974, la sua prima raccolta di poesie, a lei dedicate. Nel 1976 viene inserita nell’antologia “Donne in poesia – Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi“, insieme a autrici come Maria Luisa Spaziani, Vivian Lamarque Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese.

“Sempre aperto teatro” è una delle sue poesie più rappresentative, in cui l’autrice utilizza la metafora del teatro per descrivere le relazioni amorose e i comportamenti che si instaurano fra due amanti che, volenti o nolenti, impersonano una parte, un ruolo che esula dalla loro essenza reale.

La dinamica descritta da Patrizia Cavalli è in realtà ascrivibile ad ogni situazione sociale. Indossiamo sempre una maschera, recitiamo sempre una parte quando ci rapportiamo all’altro. I versi di Patrizia Cavalli rappresentano un mirabile esempio di tutta quella parte di letteratura e poesia che si è occupata del tema dell’identità e dell’apparenza.

Patrizia Cavalli

Patrizia Cavalli è nata a Todi il 17 aprile 1947. La sua avventura nel mondo della poesia è cominciata con il trasferimento a Roma, avvenuto nel 1968. Nella capitale, infatti, la donna ha scritto le sue prime poesie e ha conosciuto Elsa Morante. Le due, divenute amiche, si sono frequentate parecchio e, come ha raccontato diverse volte Patrizia Cavalli, un giorno l’autrice de “La storia” e de “L’isola di Arturo” le ha chiesto: “Ma tu, insomma, che fai?”.

Da quel momento, per Patrizia Cavalli è cominciato un incubo, terrorizzata all’idea che Morante potesse leggere e giudicare le sue poesie. Lei stessa, ha raccontato in un’intervista al Foglio di qualche anno fa di aver addirittura composto versi nuovi da sottoporre all’amica scrittrice:

“Per me è stato l’inferno. Ho cominciato a svicolare. Non andavo più a pranzo. Non mi facevo trovare, prendevo mille scuse, poi andavo a pranzo e lei subito: ma queste poesie? E io: le sto ricopiando. Ogni volta: e queste poesie? E io sempre: le sto ricopiando. E lei: e che ricopierai mai! Ma io non le stavo ricopiando, le stavo scrivendo! Perché non ero stupida e avevo capito che quello che avevo scritto era orribile, era quanto di meno potesse piacere a Elsa”.

Sappiamo che non è andata come si aspettava Patrizia Cavalli, e che Elsa Morante è stata la prima ad apprezzare le opere della giovane donna e la prima a infonderle il coraggio necessario per accettare e coltivare con cura la sua vocazione poetica.

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