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“Se posso perdonare” di Patrizia Cavalli, una poesia per lasciare andare il bisogno di essere perfette

“Se posso perdonare, allora devo riuscire a perdonare anche me stessa”. Patrizia Cavalli parla della smania di perfezione che caratterizza noi donne, e cerca dentro di sé la forza di liberarsi da questa gabbia dorata.

Vogliamo essere perfette. Figlie modello, sorelle maggiori fidate, madri impeccabili, donne inappuntabili in ogni ambito del reale. Ci sentiamo quasi obbligate ad esserlo. I versi di Patrizia Cavalli recitano “Se posso perdonare, allora devo/ riuscire a perdonare anche me stessa/ e smetterla di starmi a giudicare/ per come sono o come dovrei essere“.

Come un balsamo, ci vengono incontro, parlandoci di come dovremmo saper lasciar andare le aspettative degli altri nei nostri confronti e le smanie di una perfezione troppo finta, troppo dannosa, troppo inutile.

Se posso perdonare di Patrizia Cavalli

“Se posso perdonare, allora devo
riuscire a perdonare anche me stessa
e smetterla di starmi a giudicare
per come sono o come dovrei essere.
Qui non si tratta di consapevolezza
ma è la superbia che mi tiene stretta
in una stolta morsa che mi danna.
Eccomi infatti qui dannata a chiedermi
che cosa fare per essere perfetta.
Tenersi all’apparenza, forse descrivere
soltanto cose in mutua tenerezza”.

Sapersi trattare con tenerezza

Agli occhi degli altri

La ricerca della perfezione è un tema che accomuna tanti di noi esseri umani. Ma sono le donne ad essere, fra tutti, i soggetti più intaccati da tali meccanismi. Su di loro gravano sin dalla notte dei tempi le necessità e le aspettative di una collettività di individui giudicanti, che a loro volta hanno trasmesso queste modalità di generazione in generazione.

Da una donna ci si aspetta che sia una moglie e una madre, che sappia prendersi cura di una famiglia, di una casa e, possibilmente, che eserciti una professione. Una donna sola dopo i trent’anni è strana agli occhi della società. Così come lo è una donna che non sente in sé l’istinto materno, o una che esercita mestieri tradizionalmente maschili, o una che è madre e insieme lavora, o una che è madre e decide di dedicarsi anima e corpo ai figli.

Insomma, qualunque sia il punto di vista da cui la si guarda, c’è sempre qualcosa da rimproverare a una donna. E, nonostante i tempi siano cambiati e qualcosa si sia mosso, molte delle dinamiche giudicanti che investono il mondo femminile sono ancora fin troppo presenti nella nostra società, tanto nelle apparenze quanto nella sostanza. Perciò poesie come “Se posso perdonare” sono necessarie.

Lasciar andare l’idea di perfezione

Quando Patrizia Cavalli scrive “Se posso perdonare, devo essere capace di perdonare me stessa”, compie un atto che ha del rivoluzionario.

Si guarda allo specchio, scruta nel suo io più profondo e si contempla dall’esterno. Si accorge di come sia indulgente, tenera, con il suo prossimo. Di come riesca a perdonare tutti, senza aver ancora trattato con tenerezza se stessa.

Ecco il messaggio che ci lascia questa bellissima poesia: posso perdonare gli altri, posso amare gli altri. Riesco a guardare il mio prossimo con amore e tenerezza. Perché non posso farlo anche con me stessa? Io non sono perfetta, ma sono perfetta. Non sono perfetta agli occhi degli altri, delle aspettative che vengono riposte nei miei riguardi. Ma sono perfetta per me: con le mie fragilità, i miei dubbi, le mie paure, i miei valori, le mie ferite e le mie aspirazioni.

“Se posso perdonare” è tratta dalla raccolta Vita meravigliosa.

Patrizia Cavalli

L’autrice di “Se posso perdonare” è nata a Todi il 17 aprile 1947 e scomparsa a Roma il 21 giugno 2022. La sua avventura nel mondo della poesia è cominciata con il trasferimento nella capitale, avvenuto nel 1968.

Nella capitale, infatti, l’autrice ha scritto le sue prime poesie e ha conosciuto Elsa Morante. Le due, divenute amiche, si sono frequentate parecchio e, come ha raccontato diverse volte Patrizia Cavalli, un giorno l’autrice de “La storia” e de “L’isola di Arturo” le ha chiesto: “Ma tu, insomma, che fai?”.

Da quel momento, per Patrizia Cavalli è cominciato un incubo: la poetessa era terrorizzata all’idea che Morante potesse leggere, e soprattutto giudicare, le sue poesie. Lei stessa ha raccontato in un’intervista al Foglio di qualche anno fa di aver addirittura composto versi nuovi da sottoporre all’amica scrittrice:

“Per me è stato l’inferno. Ho cominciato a svicolare. Non andavo più a pranzo. Non mi facevo trovare, prendevo mille scuse, poi andavo a pranzo e lei subito: ma queste poesie?

E io: le sto ricopiando. Ogni volta: e queste poesie? E io sempre: le sto ricopiando. E lei: e che ricopierai mai! Ma io non le stavo ricopiando, le stavo scrivendo! Perché non ero stupida e avevo capito che quello che avevo scritto era orribile, era quanto di meno potesse piacere a Elsa”.

Sappiamo che non è andata come si aspettava Patrizia Cavalli, e che Elsa Morante è stata la prima ad apprezzare le opere della giovane donna e la prima a infonderle il coraggio necessario per accettare e coltivare con cura la vocazione poetica. Ed è un po’ anche grazie a lei e al suo talento scopritore che oggi anche noi possiamo esplorare la profondità dei versi di Patrizia Cavalli.

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