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Qual è il ruolo della poesia oggi, nell’era digitale?

Alessandra Corbetta, poetessa e fondatrice di Alma Poesia, ci spiega come è possibile fare poesia nell'era digitale.

Qual è il ruolo della poesia oggi, all’interno di una società sempre più digitalizzata? Lo abbiamo chiesto ad Alessandra Corbetta, poetessa e docente universitaria che al tema “Poesia e Rete” ha dedicato parte della sua ricerca. Alessandra è la fondatrice di Alma Poesia, progetto interamente dedicato al linguaggio poetico italiano e internazionale che, dopo un anno di attività, ha visto la pubblicazione di “Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete“, una raccolta di poesie che spazia dai i poeti nati negli anni ‘40 fino alle voci più giovani del ‘99, da chi ha visto arrivare il web in età già matura a chi invece è nato in un’era già totalmente digitale e velocissima, come i Millennial e la GenZ.

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La poesia nell’era del digitale

Noi di Libreriamo, riteniamo che la poesia, a cui abbiamo dedicato una sezione apposita all’interno del nostro sito, sia fondamentale ancora oggi, per interpretare la vita e l’attualità. Di seguito, Alessandra Corbetta ci spiega come è possibile fare poesia nell’era digitale.

Chiedersi o chiedere se e come è possibile fare poesia al tempo della Rete rappresenta un ottimo punto di partenza per provare ad affrontare la questione, spesso mossa da sentenze pregne di chiusura più che da domande aperte, dalle quali si dovrebbe invece iniziare a ragionare. Occorre senz’altro dire che quello del rapporto tra poesia e Rete è un tema complesso, e in alcun modo può essere dipanato muovendosi tra le due posizioni dicotomiche, riassumibili in “la Rete salverà la poesia” o, al contrario, “la Rete distruggerà la poesia”, che negli ultimi anni si sono andate a creare; se è vero che in ambito mediologico la contrapposizione tra apocalittici e integrati, per riprendere la celebre terminologia usata da Umberto Eco, è stata pressoché superata, nel contesto poetico-letterario resiste e crea continuamene nuovi adepti dell’una o dell’altra fazione.

È indispensabile riconoscere, e questo è un primo punto cruciale, che la questione “Poesia & Rete” non può in alcun modo essere affrontata da una prospettiva che sia solo poetico-letteraria perché, se la voce dei poeti è fondamentale per il dibattito, non è sufficiente ad affrontarlo in maniera esaustiva e olistica; senza scomodare Marshall McLuhan e il suo celebre assunto secondo cui «il medium è il messaggio», il coinvolgimento di sociologi della comunicazione, di esperti di comunicazione mediale, di antropologi e di psicologi della comunicazione è fondamentale, nell’ottica, soprattutto, di renderlo interdisciplinare.

Una seconda notazione riguarda la necessità di distinzione delle piattaforme; quando si parla di poesia e Rete bisogna avere ben chiare le differenti tipologie di medium attraverso cui la poesia viene veicolata e, di conseguenza, i diversi prodotti finali di cui si fruisce: le riviste cartacee di poesia trasmutate in digitale sono una cosa, i siti o i blog che nascono per diffondere versi un’altra; la poesia su Instagram non è la poesia su Facebook.

Il dibattito andrebbe poi contestualizzato anche all’interno dell’ambito sociolinguistico; come era avvenuto, ad esempio, per il concetto di amicizia applicato a Facebook, anche il termine poesia dovrebbe essere ridefinito in relazione alla Rete: è fondamentale comprendere cosa viene inglobato sotto questo iperonimo, se è avvenuta una trasmutazione semantica e, sulla base di ciò, definire se è proprio o improprio parlare di poesia e, se lo si fa, stabilire in maniera potenzialmente univoca cosa si sta indicando.

Infine è opportuno inquadrare i possibili scenari: le società che si occupano di tecnologia, così come le grandi aziende produttrici di manufatti e di servizi, puntano sempre più sullo storytelling e quindi sul content di cui i poeti sono i maggiori esperti, nonostante il neologismo di aura markettara possa far pensare diversamente. Lo slittamento e l’apertura verso nuovi orizzonti non deve essere vista a priori come un abbassamento della qualità o uno sradicamento dannoso dalla purezza originaria ma, al contrario, come un canale diverso, con proprie regole e metodi, in cui la poesia potrebbe inserirsi per rafforzare la sua presenza nel mondo, il suo avere di nuovo voce in capitolo.

Nella prefazione che apre Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete, Lelio Demichelis, professore di Sociologia Economica, ben spiega le difficoltà che la poesia incontra oggi nel confronto con le dinamiche della Rete, anche solo per le differenti competenze e tempistiche interpretative richieste al lettore/fruitore; tuttavia la poesia, come evidenziato da Filippo Milani in un ottimo lavoro accademico dal titolo Interferenze informatiche nella poesia italiana contemporanea, continua a manifestare una forte resistenza alla dinamiche della Rete, con esiti spesso controproducenti per la poesia stessa.

Nonostante tutte queste considerazioni, che dimostrano quanto ancora ci sia da dire e fare intorno a questo tema così cruciale, la risposta alla domanda iniziale è però “sì”: è assolutamente possibile fare poesia al tempo della Rete. Anzi, non solo è possibile, ma doveroso e necessario, perché la poesia, in quanto arte, può stimolare le coscienze a riflettere anche sulla Rete, invertendo quel pericoloso processo di eterodirezione in atto e ri-radicando la poesia stessa all’interno del suo tessuto sociale, del quale la Rete è parte integrante, in qualità sia di tema dello scrivere sia come orizzonte di senso tra altri orizzonti possibili.

E questo volume ne è la prova, perché testimonia ciò che tempo fa, ben prima della Rete, scrisse Pier Paolo Pasolini: «la poesia è un bene inconsumabile».

Alessandra Corbetta

 

Illustrazione di copertina: Stefania Onidi

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