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Cosa sono gli Haiku e perché ci restituiscono la purezza del linguaggio

Cosa sono gli haiku? Perché rappresentano una forma espressiva libera da pregiudizi? Ce lo spiega la prof.ssa Annamaria Vanalesti parlandoci del libro "Haiku alfabetici" di Mariella Bettarini

Gli haiku sono certamente la forma di poesia più sintetica e concentrata che esista, in grado di cogliere in un attimo la folgorazione del poeta e restituirla con parole lucide come pietre miliari, in due o tre versi. Assomigliano a delle icone, attraverso le quali il poeta raffigura la realtà dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, dandone solo degli impercettibili segni, che arrivano al lettore, rimanendo impressi in lui nel profondo.

La purezza del linguaggio

Alla base di questo tipo di composizioni, specie nella letteratura giapponese, c’è il presupposto di ritenere il linguaggio inadeguato a testimoniare la verità, secondo anche la cultura Zen che anima la poesia haiku, e quindi l’intento è quello di far tornare il linguaggio alla sua purezza d’origine, alla sua nudità, per meglio conformarlo ad una manifestazione del reale, in cui l’energia vitale possa svelarsi alla mente, purché questa sia libera da pregiudizi, e non sia influenzata dalle proprie abitudini. Si genera perciò, all’interno di ogni haiku, un movimento che si esprime attraverso le more (sillabe) in uno schema più o meno fisso di 5/7/5, in tre versi che, senza alcun elemento retorico, descrive rapidamente una scena.

Dove nascono gli Haiku

È inutile qui ricordare che l’haiku è nato in Giappone nel diciassettesimo secolo e che deriva dal tanka, componimento poetico di trentuno sillabe. Il tanka è formato da cinque versi con una quantità determinata di sillabe per ogni verso: il primo verso contiene cinque sillabe, il secondo sette sillabe, il terzo cinque sillabe, il quarto sette sillabe, il quinto sette sillabe. Eliminando gli ultimi due versi si è formato l’haiku.

Haiku alfabetici

Mariella Bettarini, che ha nella sua ricca produzione poetica sempre cercato di coniugare insieme parole e immagini, nel libro “Haiku alfabetici” ha avuto un’idea originale nel comporre questi haiku, perché ha deciso di scriverli secondo un ordine alfabetico, attinente essenzialmente a quelli che per lei sono i valori fondamentali e in tal modo ha costituito una trama sottile, che fa da mappa del vivere, rilanciando a chi legge, la sfida di riorganizzare il proprio itinerario esistenziale, ripercorrendolo con maggiore attenzione verso tutto ciò che si dà per scontato e che invece ha
perso significato.

Non importa che si tratti di persone, animali o cose, di elementi valoriali astratti o concreti, importa piuttosto che ogni tassello si incastri nel punto giusto e il mosaico appaia nella sua interezza.  Diversi sono questi haiku, che susseguendosi l’uno all’altro, scandiscono una sillabazione della vita, offrendo una traccia da seguire, direi quasi un modello a cui conformarsi. Ne nasce un’orchestrazione facile e complessa nello stesso tempo, facile perché affascinante nella sua novità e semplicità, complessa perché giocata su figure che vengono completamente rovesciate rispetto al loro ruolo storico, per riempirsi di significati nuovi. Ogni singola lettera dell’alfabeto viene scelta per uno ed uno solo dei temi da approfondire e ciò consente di analizzare da più lati e sotto vari aspetti la parola pronunciata.

Il Bene

Prendiamo per esempio gli haiku dedicati alla lettera B come Bene:

Che cos’è il bene?
Bene-facendo? Benedicendo?
E poi?

Quante domande!
Sono il bene? Ignoro
se il bene siano

Eppure che il bene
faccia bene anche al male
così facendo?

Far bene al male?
Il male vincerebbe
sicuramente

Eppure eppure
vittoria o non vittoria
io sto col bene

Il Bene proposto da questi haiku viene quasi smembrato per diventare parte di vocaboli composti, in aggiunta di verbi (come bene dicendo o bene facendo), ma viene lasciato intatto nel suo significato, che per altro non viene analizzato, ammettendo che comunque è oggetto di molte domande, a cui non c’è risposta precisa. Si riconosce però una sua debolezza rispetto al male, il suo corrispettivo antitetico, perché quando ci si interroga se il bene possa far bene al male, balza la certezza che il male vincerebbe sicuramente e tuttavia la Bettarini si schiera col bene in ogni caso, vittoria o non vittoria. È un serrato succedersi delle more nei tre versi, con la consequenziale produzione di un
ritmo, in una sintesi non di pensiero e di immagine, come nella maggior parte degli haiku giapponesi che descrivono scene della natura, ma di concetti che si alternano e si contrappongono, come in un mulinello di idee.

La Gioia

Un altro haiku alfabetico esemplificativo è quello sulla G come Gioia.

Che cos’è gioia?
Misterioso pensiero
gioia – sì gioia

Gioire come?
Condividere gioia
è maggior gioia

Eppure gioia
è solitaria speme
solinga gioia

Viva la gioia
gioia non solitaria
sì – condivisa

Dunque che cosa?
Gioia contraddittoria
sempre gioiosa

Qui è subito dichiarata l’impossibilità di dire che cosa sia la gioia, anzi questo valore è definito un misterioso pensiero e l’attenzione si sposta su come gioire. Deve essere solitaria la gioia? È solitaria speme o solinga la gioia? No, è la condivisione che si presenta come il miglior modo per gioire, anzi il condividere la gioia con altri appare una “maggior gioia”. Il valore della gioia è salvo, persino quando la gioia è contraddittoria.

Rendiamoci conto che questo haiku è una pillola di saggezza, che viene a sorprenderci nel nostro ottuso individualismo, in cui ogni cosa vogliamo solo per noi, tenendocela stretta, specie un momento gioioso, e invece impariamo da Mariella che la gioia condivisa è di gran lunga superiore a quella egoistica individuale.

Si potrebbe pensare che l’autrice abbia talvolta giocato con le parole, e indubbiamente la Bettarini sa giocare benissimo, ma al di là del gioco si intuisce una intensa riflessione, animata dal desiderio di concentrare nella parola poetica un vissuto personale di cui intende far partecipi tutti gli altri. Osservando il mondo con occhio chiaro e non sorpreso d’alcuna nebbia, direbbe Dante, lei coglie l’essenza e il centro delle emozioni e realizza un capovolgimento semantico, uno sbalzo quasi, circa il significato della gioia.

La Xenophilia

Infine riportiamo, come terzo e ultimo esempio, l’haiku della lettera X come Xenophilia, tratto dall’ultima sezione del
libro, dedicata alle lettere straniere, che non appartengono al nostro alfabeto italiano.

Xenophilia
amor dello straniero
non strano amore

Xenophilia
amore necessario
tanto più oggi

Ma perché odio?
vitale è il nostro amore:
xenophilia

Piuttosto noi
siamo stranieri a noi:
xenophilia

Xenophilia
altro non c’è da dire:
xenophilia

In un momento come quello attuale, colmo di odio per lo straniero e per il diverso, questo haiku ci regala una dimensione nuova, un punto di vista differente da cui guardare e ci fornisce gli estremi per rifondare la nostra amicizia e condivisione con gli stranieri. Il rimedio è l’amore, l’amore necessario, l’amore vitale per l’altro, che equivale all’amore per noi stessi, poiché noi siamo stranieri a noi. È in fondo l’ottica cristiana dell’amare il
prossimo come se stessi, ma la Bettarini qui la ripropone come un’ottica universale, che non può e non deve essere scavalcata, perché altro non c’è da dire, è tutto già contenuto ed espresso nella parola xenophilia.

Meriterebbero tutti gli haiku di questa raccolta d’essere commentati, perché ci squadernano una visione totalizzante della realtà, ma soprattutto dell’umanità, pervasa da un sentimento corale di pietas, che si configura come costante condivisione e compartecipazione con gli altri alla vita, pur nella sua quotidiana drammaticità, nel suo ineludibile e quotidiano mistero.

La lettura di questo libro porterà inevitabilmente ad una revisione della propria esistenza e dei propri dogmi che ciascuno ritiene infallibili, oggi in particolare, in cui ci avvolge una pandemia di paura, di sospetto, di egoismo, di individualismo. Una cura contro l’odio sono questi haiku di una donna che da sempre è vestale della poesia.

Annamaria Vanalesti

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