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“Padre nostro che sei nei cieli”, la poesia di Pasolini in dialogo con Dio

Scopri il messaggio della poesia di Pier Paolo Pasolini che si fa portavoce di coloro che si sentono ai margini della società civile.

Pier Paolo Pasolini intellettuale del Novecento italiano, tra le sue numerose opere, ha scritto una poesia d’autore, tra le più preziose del panorama culturale italiano, dal titolo “Padre nostro che sei nei cieli”.

La poesia è un vero e proprio dialogo del poeta con Dio, un confronto diretto dal quale Pasolini ricerca risposte per se e per coloro che soffrono sulla Terra.

Padre nostro che sei nei cieli, di Pier Paolo Pasolini

Padre nostro che sei nei Cieli,
io non sono mai stato ridicolo in tutta la vita.
Ho sempre avuto negli occhi un velo d’ironia.
Padre nostro che sei nei Cieli:
ecco un tuo figlio che, in terra, è padre…
È a terra, non si difende più…
Se tu lo interroghi, egli è pronto a risponderti.
È loquace. Come quelli che hanno appena avuto
una disgrazia e sono abituati alle disgrazie.
Anzi, ha bisogno, lui, di parlare:
tanto che ti parla anche se tu non lo interroghi.
Quanta inutile buona educazione!
Non sono mai stato maleducato una volta nella mia vita.
Avevo il tratto staccato dalle cose, e sapevo tacere.
Per difendermi, dopo l’ironia, avevo il silenzio.

Padre nostro che sei nei Cieli:
sono diventato padre, e il grigio degli alberi
sfioriti, e ormai senza frutti,
il grigio delle eclissi, per mano tua mi ha sempre difeso.

Mi ha difeso dallo scandalo, dal dare in pasto
agli altri il mio potere perduto.
Infatti, Dio, io non ho mai dato l’ombra di uno scandalo.
Ero protetto dal mio possedere e dall’esperienza
del possedere, che mi rendeva, appunto,
ironico, silenzioso e infine inattaccabile come mio padre.
Ora tu mi hai lasciato.
Ah, ah, lo so ben io cosa ho sognato
quel maledetto pomeriggio! Ho sognato Te.
Ecco perché è cambiata la mia vita.

E allora, poiché Ti ho,
che me ne faccio della paura del ridicolo?
I miei occhi sono divenuti due buffi e nudi
lampioni del mio deserto e della mia miseria.

Padre nostro che sei nei Cieli!
Che me ne faccio della mia buona educazione?
Chiacchiererò con Te come una vecchia, o un povero
operaio che viene dalla campagna, reso quasi nudo
dalla coscienza dei quattro soldi che guadagna
e che dà subito alla moglie – restando, lui, squattrinato,
come un ragazzo, malgrado le sue tempie grigie
e i calzoni larghi e grigi delle persone anziane…

Chiacchiererò con la mancanza di pudore
della gente inferiore, che Ti è tanto cara.
Sei contento? Ti confido il mio dolore;
e sto qui a aspettare la tua risposta
come un miserabile e buon gatto aspetta
gli avanzi, sotto il tavolo: Ti guardo, Ti guardo fisso,
come un bambino imbambolato e senza dignità.

La buona reputazione, ah, ah!
Padre nostro che sei nei Cieli,
cosa me ne faccio della buona reputazione, e del destino
– che sembrava tutt’uno col mio corpo e il mio tratto –
di non fare per nessuna ragione al mondo parlare di me?
Che me ne faccio di questa persona
cosi ben difesa contro gli imprevisti?

Il significato della poesia di Pier Paolo Pasolini

Nella poesia “Padre nostro che sei nei cieli”, Pier Paolo Pasolini bussa alle porte della casa di Dio discutendo, ribaltando ed esplorando dogmi religiosi.

Si rivolge all’auctoritas religiosa cattolica sperando e chiedendo fervidamente in una morale meno assolutista capace di accogliere “tutti i vari modi di essere uomini” con la fede di riuscire ad affermare l’intima diversità attraverso la condivisione.

Pasolini in questi versi affronta con provocazione e sicurezza Dio che davanti alle sue parole si mostra inesistente.

La sua diventa una sfida intellettuale e poetica con Dio, rinunciando al perdono. Sembrerebbe volesse vincere idealmente contro Dio quando inconsciamente arde in lui il desiderio di essere accolto fra le Sue braccia.

I versi di “padre nostro che sei nei cieli” sono più che mai di stretta attualità. Di recente, proprio Papa Francesco ha condiviso il messaggio di amore universale e inclusione che ritroviamo anche nelle parole di Pasolini.

Nei suoi interventi, il Pontefice, si rivolge a coloro che vivono situazioni di vulnerabilità e che spesso non hanno voce come coloro che vivono in zone colpite dalla guerra.

Proprio dei “vinti”, quelli di ieri come quelli di oggi, Pasolini in questa poesia, come in molte altre sue opere, vuole farsi portavoce dinanzi a Dio.

Il teatro della parola

Questa poesia fa parte di “Affabulazione”, uno dei drammi più importanti della drammaturgia del secolo, pubblicato postumo nel 1977.

Pier Paolo Pasolini voleva dar vita a un “nuovo tipo di teatro, che io chiamo ‘teatro di parola’”, scrive Pasolini, “è un misto di ‘poesia letta a voce alta’ e di ‘convenzione teatrale’ sia pure ridotta al minimo (…) ‘Poesia orale’, resa rituale dalla presenza fisica degli attori in un luogo deputato a tale rito.”

Destinato quindi al teatro, questo dramma poetico, tra i più noti dell’opera pasoliniana, è stato messo in scena anche da Vittorio Gassmann.

In questo panorama, congiuntamente al teatro, la poesia diviene strumento privilegiato e il più edificante esempio di comunicazione nella società, con una propria funzione di coscienza linguistica nella scuola poiché avvia l’alunno alla curiosità attiva e partecipata.

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