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“Ode al vento dell’Ovest”, lo struggente canto di P.B. Shelley che saluta l’estate

Il "selvaggio vento dell'Ovest", pronto a spazzare via ogni scampolo di estate per riportarci alle atmosfere autunnali: è lui il protagonista del capolavoro di P.B. Shelley, "Ode al vento dell'Ovest".

Manca ormai poco all’arrivo ufficiale dell’autunno nel nostro emisfero. Salutiamo la stagione estiva ormai agli sgoccioli riscoprendo un classico della poesia inglese pubblicata nel 1820: la prima stanza di “Ode al vento dell’Ovest“, il capolavoro con cui P.B. Shelley ha conferito nuova linfa vita all’ode, genere di solito poco frequentato al di fuori dell’epoca classica. Leggiamo la prima stanza della composizione, contenuta all’interno della raccolta “Prometheus Unbound a Lyrical Drama, in Four Acts: With Other Poems” del 1820.

Ode al vento dell’Ovest, la prima stanza del capolavoro di P.B. Shelley

O selvaggio Vento dell’Ovest, tu alito dell’essere d’Autunno,
Tu, dalla cui presenza invisibile le foglie morte
Sono scacciate, come fantasmi in fuga da un incantatore,

Giallo, e nero, e pallido, e rosso etico,
Moltitudini colpite dalla peste: O tu,
Che guidi il carro verso il loro oscuro letto invernale

I semi alati, dove giacciono freddi e bassi,
Ognuno come un cadavere nella sua tomba, finché
La tua azzurra sorella della Primavera soffierà

La sua tromba sulla terra sognante, e riempirà
(Spingendo dolci gemme come greggi a pascolare nell’aria)
Con tinte e odori viventi pianura e collina:

Spirito selvaggio, che ti muovi ovunque;
Distruttore e conservatore; ascolta, oh ascolta!

 

Ode to the West Wind

O wild West Wind, thou breath of Autumn’s being,
Thou, from whose unseen presence the leaves dead
Are driven, like ghosts from an enchanter fleeing,

Yellow, and black, and pale, and hectic red,
Pestilence-stricken multitudes: O thou,
Who chariotest to their dark wintry bed

The winged seeds, where they lie cold and low,
Each like a corpse within its grave, until
Thine azure sister of the Spring shall blow

Her clarion o’er the dreaming earth, and fill
(Driving sweet buds like flocks to feed in air)
With living hues and odours plain and hill:

Wild Spirit, which art moving everywhere;
Destroyer and preserver; hear, oh hear!

Il vento, forza di distruzione e vivacità

Questa poesia è stata concepita e scritta dall’autrice in un bosco che costeggia l’Arno, vicino a Firenze, e in un giorno in cui quel vento tempestoso, la cui temperatura è al tempo stesso mite e vivificante, stava raccogliendo i vapori che riversano giù le piogge autunnali. Esse iniziarono, come avevo previsto, al tramonto con una violenta tempesta di grandine e pioggia, accompagnata da quel magnifico tuono e fulmine peculiare delle regioni Cisalpine.

Come immaginiamo gli ultimi giorni di estate e i primi di autunno? Cosa fa scattare il cambiamento repentino che notiamo nei viali alberati trapunti di foglie colorate e coi rami spogli, nel mare che si increspa e si gonfia ogni giorno di più, nell’aria che diventa madida di umidità, nel cielo grigio non più terso e leggero?

Con “Ode al vento dell’Ovest”, P.B. Shelley risponde per tutti noi. Il vento, gran protagonista di questa ode, nella sua forma più forte e violenta costituisce la causa di tali mutamenti tanto rapidi nella natura che ci circonda. E se da un lato fa paura, perché esso è pronto a spazzare via tutti i residui di un’estate che in molti non vorremmo salutare, dall’altro ci infonde speranza.

Il vento che rimescola e rivoluziona tutto in natura: la vegetazione sul fondo del mare, dei fiumi e dei laghi, “empatizza” con quella della terra nel cambiamento delle stagioni, ed è di conseguenza influenzata dai venti che la annunciano. Una rivoluzione naturale che si fa metafora di quella esistenziale e umana, chiamata con il cambio di stagione a modificare le proprie abitudini ed a rinnovarsi.

P.B. Shelley sottolinea in questi versi come sia grazie al vento, e alla sua forza distruttrice, che i semi vengono sparsi in terra e i germogli potranno prosperare. In “Ode al vento dell’Ovest”, il vento distrugge e ricrea. O, forse, semplicemente trasforma.

Percy Bysshe Shelley, una vita romantica

Sincero amico di Lord Byron e John Keats, noto anche per essere stato il marito di Mary Wollstonecraft Shelley – l’autrice di “Frankenstein” e figlia della pioniera del movimento femminista –, Percy Bysshe Shelley apparteneva alla seconda generazione del Romanticismo inglese. La sua vita, tragica, piena di avventure e stravolgimenti, sembra aver seguito le orme della sua ispirazione poetica.

L’8 luglio 1822, infatti, la sua esistenza viene stroncata tragicamente da un naufragio in corrispondenza delle coste di Lerici.

Percy Bysshe Shelley nasce il 4 agosto del 1792 a Warnham, nella contea del Sussex. A casa suggestiona e meraviglia le sorelle Elizabeth e Mary con racconti di terrore e magia.

Frequenta in seguito la Syon House Academy a Isleworth e si distingue per una notevole capacità di apprendimento, studia poi a Eton e quindi a Oxford, da dove viene espulso per aver scritto e fatto circolare un opuscolo in difesa dell’ateismo. Sempre nel 1811 sposa Harriet Westbrook che gli darà due figli.

Più avanti conosce Mary, che sposerà nel 1818 dopo il suicidio della moglie. Lui e Mary viaggiano molto e per qualche tempo si stabiliscono in Italia, dove Percy morirà l’8 luglio 1822 in un naufragio.

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