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“Nome non ha” di Sibilla Aleramo, la poesia che racconta un amore che nasce

"Nome non ha”, una toccante poesia in cui Sibilla Aleramo racconta le paure e le timidezze di un amore che nasce.

Proprio quando smettiamo di crederci, l’amore arriva. Magari inaspettato, forse anche un po’ temuto.

La sua forza, però, è tale da stravolgere ogni piano e abbattere tutte le barriere, fisiche e mentali, che abbiamo costruito per proteggerci dal dolore.

Il volto dell’amore

“Nome non ha” è stata scritta da Sibilla Aleramo, e parla proprio di amore, ma lo fa in modo particolare, senza conferire a questo sentimento il suo vero nome.

Già dal titolo, comprendiamo che l’autrice di questo testo non sa definire ciò che prova nei confronti del destinatario del componimento. E chissà quante volte sarà capitato anche a noi di avere paura di un sentimento che nasce e ci stravolge i piani.

“Nome non ha,
amore non voglio chiamarlo
questo che provo per te,
non voglio che tu irrida al cuor mio
com’altri a’ miei canti”.

L’autrice non vuole chiamare ciò che prova con il suo nome. Non vuole chiamarlo amore. Non vuole che quello che sente venga assimilato a tutte le esperienze fallite, che hanno portato delusioni e sofferenze. Con una formula ciclica che apre e chiude la poesia, Sibilla Aleramo sembra quasi voler convincersi che non sia amore. Eppure, anche se “nome non ha”, è fuor di dubbio che si tratti di questo.

“Nome non ha” di Sibilla Aleramo

“Nome non ha,
amore non voglio chiamarlo
questo che provo per te,
non voglio che tu irrida al cuor mio
com’altri a’ miei canti,

ma, guarda,
se amore non è
pur vero è
che di tutto quanto al mondo vive
nulla m’importa come di te,
de’ tuoi occhi de’ tuoi occhi
donde sì rado mi sorridi,

della tua sorte che non m’affidi,
del bene che mi vuoi e non dici,
oh poco e povero, sia,
ma nulla al mondo più caro m’è,
e anch’esso,
e anch’esso quel tuo bene
nome non ha…”

Sibilla Aleramo

Sibilla Aleramo, il cui vero nome è Marta Felicina Faccio, nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876. Figlia di una casalinga e di un professore di scienze, vive un’infanzia difficile, segnata dall’interruzione degli studi per via di un trasferimento, dal lavoro di contabile in una fabbrica gestita dal padre e, soprattutto, dalla forte depressione – e dal conseguente tentato suicidio – della madre e da un tragico episodio di stupro avvenuto quando la giovane ha solo 15 anni.

Costretta a sposare l’autore della violenza, Rina – è così che la conoscono tutti – è prigioniera di un legame che la ripugna.

Nemmeno la nascita del figlio Walter la aiuta a risollevarsi. Anzi, sopraggiunge una depressione che porta Rina ad un tentativo di suicidio. Ma da questa triste esperienza, la donna riesce a raccogliere tutte le forze che le sono rimaste e a catalizzarle nell’impegno umanitario e sociale. Scrive articoli che vengono pubblicati in diverse riviste e periodici di ispirazione femminista e socialista, partecipa alle manifestazioni che chiedono l’estensione del diritto di voto alle donne e lotta strenuamente contro la prostituzione.

Nel frattempo, i suoi orizzonti si allargano grazie ad importanti conoscenze, fra cui spiccano i nomi di Paolo Mantegazza, Maria Montessori, Ada Negri, Matilde Serao, Anna Kuliscioff e Filippo Turati. La sua opera più celebre, il romanzo “Una donna”, viene pubblicato nel 1906 sotto lo pseudonimo che Rina sceglierà di mantenere per tutta la vita, Sibilla Aleramo.

Sibilla Aleramo è autrice di numerose opere in prosa e di diverse raccolte poetiche, in cui racconta la sua vita e l’essere donna, e dove ha modo di trasformare l’amore e la passione che caratterizzano la sua esistenza in arte. Scompare il 13 gennaio 1960 a Roma.

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