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“Niente di grave” (1971) di Eugenio Montale, formidabile poesia sulle paure della società

In "Niente di grave", Eugenio Montaleci spiega come salvarsi dall'effetto delle paure mediatiche principale causa del mal di vivere.

Niente di grave di Eugenio Montale è una poesia che mette all’indice la diffusa volontà di voler costruire fobie e paure collettive. Per Montale l’uomo sembra essersi sostituito al Creatore e attraverso il martellamento mediatico la fine del mondo è perennemente dietro l’angolo.

Eugenio Montale in questa poesia la fine della stagione estiva, serve per raccontare cinicamente, con immagini profonde e taglienti, la condizione umana, la sensazione di vuoto che attanaglia l’uomo, l’insensatezza dell’esistenza. La fine dell’estate è la metafora della fine della gioia di vivere e della vitalità che dovrebbe guidare tutti gli esseri umani.

Una poesia che interpreta il periodo in cui cui la poesia fu scritta. Siamo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. La paura di un conflitto bellico planetario e l’apocalisse facevano parte del vissuto degli esseri umani dell’epoca. ma che può essere benissimo considerarsi contemporanea, visto che non è cambiato nulla, anzi tutto sembra essere peggiorato.

Può sembrare strano, ma non è cambiato nulla la paura che la fine dell’umanità possa avvicinarsi per le follie di alcuni sono più reali che mai.

Niente di grave fa parte della  della raccolta Satura di Eugenio Montale pubblicata nel 1971.

Leggiamo e cerchiamo di dare un senso alla poesia di Eugenio Montale, malgrado il suo significato sia molto complesso.

Niente di grave di Eugenio Montale

Forse l’estate ha finito di vivere.
Si sono fatte rare anche le cicale.
Sentirne ancora una che scricchia è un tuffo nel sangue.
La crosta del mondo si chiude, com’era prevedibile
se prelude a uno scoppio. Era improbabile
anche l’uomo, si afferma. Per la consolazione
di non so chi, lassù alla lotteria
è stato estratto il numero che non usciva mai.

Ma non ci sarà scoppio. Basta il peggio
che è infinito per natura mentre
il meglio dura poco. La sibilla trimurtica
esorcizza la Moira insufflando
vita nei nati-morti. È morto solo
chi pensa alle cicale. Se non se n’è avveduto
il torto è suo.

La fine dell’estate diventa metafora della distruzione umana

Niente di grave è una poesia di Eugenio Montale in linea con la raccolta Satura e ci propone il nuovo corso poetico del poeta ligure, sempre più attento ad offrire testimonianza di ciò che accade nella quotidianità, quasi come se la poesia diventasse cronaca della realtà.

Con Satura, Montale sviluppa una poesia legata alle occasioni quotidiane, alla cronaca, ma indagata con un’ironia avversa alle “false mitologie” di massa.

E Niente di grave sembra proprio dare voce a ciò che in quegli anni era diventato senso comune, ovvero il fatto che le superpotenze mondiali, in virtù dell’ansia da prestazione, dessero vita ad un nuovo conflitto planetario a suon di bombe atomiche.

La paura dell’apocalisse faceva parte del vivere dell’epoca, basta guardare i film che interpretano quel periodo per rendersene conto. Il malessere collettivo imperava in nome della fine del mondo ormai imminente. Dobbiamo dire che tutte le fobie sociali finiscono per generare “caos e incertezza” nella società e un diffuso mal di vivere nell’umanità.

Se guardiamo ai nostri giorni sembra non essere cambiato nulla, le guerre e i conflitti sono sempre più diffusi. La minaccia nucleare è diventata di nuovo una realtà. Ma a queste follie si aggiungono elementi ancora più terribili. La tecnologia può sostituirsi agli umani e diventare autosufficiente, senza dimenticare che la Natura sta scatenando forze terribili per punire l’avidità umana.

Come si fa a vivere tranquillamente di fronte a questa diffusa convinzione, amplificata dai mass media che oggi rispetto ai tempi in cui Montale scrisse la poesia si sono moltiplicati in maniera esagerata. Mentre prima gli allarmi erano più controllati, oggi qualsiasi cosa diventa la fine del Mondo.

È sotto gli occhi di tutti,  l’ansia, l’angoscia, lo stress sono malattie diffuse, vengono definite “malattie della modernità”. Molta della poetica di Montale ha trasferito le sue angosce e in Niente di grave, il poeta più maturo e più consapevole nell’interpretare la società, ha cercato di “suggerire” le fonti che possono contribuire a creare il mal vivere.

I disastri annunciati, il continuo racconto della fine del Pianeta, se da un lato hanno il sacrosanto compito di prevenire i guai che causano gli uomini nei riguardi della Natura e del Pianeta, dall’altro generano fobie collettive che diventano inevitabile malessere esistenziale.

Eugenio Montale in Niente di grave indica negli stessi uomini la causa principale di ciò che di fatto distrugge la vita e la felicità. Il diffuso materialismo e l’esasperazione mediatica non lasciano più spazio al poter godere dell’innocente ignoranza nell’affrontare il presente e il domani.

Niente di grave è una poesia sul mal di vivere che ormai è diventato modello di vita e se si leggessero i suoi versi e si comprendesse il messaggio di Montale tutti ci potremmo dare una regolata.

Il drammatico racconto di una fobia che distrugge l’esistenza umana

Forse l’estate ha finito di vivere.
Si sono fatte rare anche le cicale.
Sentirne ancora una che scricchia è un tuffo nel sangue.
La crosta del mondo si chiude, com’era prevedibile
se prelude a uno scoppio. Era improbabile
anche l’uomo, si afferma. Per la consolazione
di non so chi, lassù alla lotteria
è stato estratto il numero che non usciva mai.

Eugenio Montale inizia la sua poesia cercando di enfatizzare l’incertezza, “Forse l’estate ha finito di vivere.” Sì, il forse non è verità, ma probabilità e il riferimento alla fine della stagione estiva non è legata all’arrivo dell’autunno, piuttosto alla capacità di poter vivere sereni e felici.

Tutto è messo in discussione secondo Montale. “Si sono fatte rare anche le cicale. Sentirne ancora una che scricchia è un tuffo nel sangue.” Non c’è più niente di certo, le grandi verità dell’uomo sono diventate solo mera probabilità.

L’era dell’incertezza ha preso il sopravvento e quando questo accade la gioia del vivere è destinata a svanire.

Vivere tutti i giorni della propria vita con la paura che “lo scoppio” possa far svanire la vita sul Pianeta, crea ansia, angoscia , malessere esistenziale al livello diffuso.

La vita che sembrava nelle mani di un “essere superiore”, del “Creatore” adesso invece è nelle mani dell’uomo e delle sue follie. “Era improbabile anche l’uomo, si afferma.” dice Montale.

E chiude la prima strofa con ironia, giocando con il fatto che in tutta la storia dell’umanità questa centralità data agli umani era impensabile. Le stesse religioni controllavano e tenevano al loro posto gli umani, ma ad un certo punto, “lassù alla lotteria
è stato estratto il numero che non usciva mai”, ovvero l’uomo si sostituisce a Dio e diventa l’interprete principali delle sorti della Terra e dei suoi abitanti.

Il monito di Montale a non ascoltare i profeti della morte

Ma non ci sarà scoppio. Basta il peggio
che è infinito per natura mentre
il meglio dura poco. La sibilla trimurtica
esorcizza la Moira insufflando
vita nei nati-morti. È morto solo
chi pensa alle cicale. Se non se n’è avveduto
il torto è suo.

Nella seconda strofa però Eugenio Montale si fa interprete del buonsenso: “Ma non ci sarà scoppio.”

Il “Ma” con cui inizia la seconda parte della poesia e legato all’incertezza della prima strofa e tende a voler per certi versi attraverso la logica della realtà dare un contributo per combattere i mali che provoca l’incertezza umana.

La poesia di Eugenio Montale mira a far riflettere il lettore, “Basta il peggio che è infinito per natura mentre il meglio dura poco.” Non è logico vivere con questa continua paura, la vita e la natura sono abbastanza crudeli nei confronti dell’umanità. Quindi, crearsi un’altra fobia non può che rovinare il vivere. 

Bisogna avere la forza e l’intelligenza di saper godere di ciò che la vita ci dona tutti i giorni, scacciando via le paure e prendendo il meglio dalla nostra quotidianità. La vita è troppo breve per sacrificarla in nome di una “falsa” convinzione distruttiva.

La religione e il senso del divino hanno perso la loro funzione. È nata una nuova tutta umana divinità che si sostituisce alle religioni precedenti. Molto probabilmente Montale fa riferimento ai Mass Media, che con la martellante informazione sono la fonte primaria delle paure e delle incertezze presenti nella società.

I Mass media (“La sibilla trimurtica”) sono stati in grado di “esorcizzare” il destino (“la Moira”), togliendo spazio alla continua scoperta, non si può più godere dell'”ignoranza” del dopo. L’informazione e le sue regole cercano di drammaticizzare il presente e il futuro dell’uomo in nome della “notizia”, “in questo modo insufflando vita nei nati-morti”, ovvero alimentando quel senso di continuo malessere negli umani che rende loro simili a degli zombie.

Chi vive solo di materia e di numeri, di logica e di cruda realtà è destinato a non godere della vita. “È morto solo chi pensa alle cicale.” Verso che si lega alla prima strofa, ovvero a coloro che impietosamente sostituendosi a Dio, iniziano a diventare i profeti della fine del Mondo.

E se forse non ci siamo ancora accorti che il vivere è diventato difficile e sempre più triste è anche perché ancora non abbiamo preso coscienza che la vita va vissuta e goduta. Chi contribuisce ad uccidere la bellezza del vivere e il dono della vita, in nome della morte e dell’apocalisse è il primo complice dell’infelicità umana.

Quindi, per un giorno proviamo a dire, ascoltando Eugenio Montale, “Niente di grave” e godiamoci un attimo vita che purtroppo dura troppo poco. Nel mentre cerchiamo di salvaguardare concretamente anche il futuro del nostro Pianeta, magari togliendo spazio a tutti coloro che generano morte e distruzione. È difficile ma si può fare.

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