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“Neve nei sobborghi”, la poesia di Thomas Hardy sulle piccole cose di cui non ci accorgiamo più

“Neve nei sobborghi” è una poesia di Thomas Hardy contenuta nella raccolta “Human Shows” del 1925

Lo scrittore e poeta inglese Thomas Hardy racconta in “Neve nei sobborghi”, contenuta nella raccolta “Human Shows” del 1925, la fredda lentezza dell’inverno.

“Neve nei sobborghi” di Thomas Hardy

Ogni ramo n’è carico,
Ogni rametto incurvato;
Ogni forcella è un candido piede palmato;
Ogni strada e ogni marciapiede è fatto muto;
Alcuni fiocchi si sono smarriti, brancolano indietro verso il cielo:
Incontrando quelli che cadano in lente volute, si volgono e ridiscendono.

Gli steccati sono saldati insieme come un muro,
E non c’è fiato di vento nella pioggia di vello lanoso.
Un passero entra nell’albero,
Ed ecco improvviso
Un grumo di neve tre volte il suo piccolo corpo
S’abbatte sopra di lui, gl’inonda la testa e gli occhi.

Lo rovescia,
Quasi lo inurna,
Si posa su un rametto più basso, e l’urto lieve
Sventaglia via una scarica frusciante d’altri grumi adagiati.

Gli scalini sono un pendio imbiancato:
Lo risale con debole speranza
Un gatto nero, grandi occhi e sparuto;
E noi lo si fa entrare.

“Snow in the suburbs”

Every branch big with it,
Bent every twig with it;
Every fork like a white web-foot;
Every street and pavement mute:
Some flakes have lost their way, and grope back upward when
Meeting those meandering down they turn and descend again.

The palings are glued together like a wall,
And there is no waft of wind with the fleecy fall.

A sparrow enters the tree,
Whereon immediately
A snow-lump thrice his own slight size
Descends on him and showers his head and eye

And overturns him,
And near inurns him,
And lights on a nether twig, when its brush
Starts off a volley of other lodging lumps with a rush.

The steps are a blanched slope,
Up which, with feeble hope,
A black cat comes, wide-eyed and thin;
And we take him in.

La magia della neve nelle piccole cose

“Neve nei sobborghi” si apre con l’armoniosa descrizione di una nevicata invernale che ricorda, nella delicatezza e nella compostezza del movimento, la descrizione di una vera e propria danza. I fiocchi leggeri si rincorrono uno dietro l’altri, alcuni quasi smarriti.

La poesia di Thomas Hardy procede poi con il racconto del mondo animale, rappresentato dalle due figure del passero e del gatto: Hardy amava molto la natura e gli animali sono piuttosto ricorrenti nei suoi scritti.

Sono piccoli movimenti, quelli descritti in “Neve nei sobborghi”: azioni microscopiche, in apparenza significanti, riprese dalla lente del poeta come se quest’ultimo fosse provvisto di un dettagliato obbiettivo. I fiocchi di neve, il passerotto maldestro, il gatto che vive di speranza… Chi può dirsi ancora in grado di notare questi semplici, genuini, lenti dettagli di un mondo che guardiamo con sempre maggior distrazione?

“Neve nei sobborghi” ci fa venire voglia di accoccolarci sul divano con un libro e una coperta. Semplicemente di rallentare, per non perderci le piccole grandi meraviglie che ogni giorni ci circondano anche se noi non ce ne accorgiamo. Quella descritta da Thomas Hardy è una scena piena di pace e tranquillità.

Non c’è fretta o tensione tra questi versi. Quando la compose, Hardy aveva ottantacinque anni. Ne cogliamo, infatti, la capacità matura di attenta osservazione.

Thomas Hardy

Thomas Hardy nacque a Higher Bockhampton nel 1840, da una famiglia di umili origini. Studiò architettura e presto si trasferì a Londra per esercitare la professione, che abbandonò presto per dedicarsi alla letteratura.

Nel 1874 si sposò con Emma Lavinia Gifford e si stabilì Dorchester. Divenne in breve tempo un importante intellettuale, nonché romanziere di successo.

“Jude l’oscuro”, suo ultimo romanzo, nonché sua opera più pessimistica, piacque talmente poco al pubblico vittoriano da indurre lo scrittore a pensare di abbandonare del tutto la prosa; da allora, infatti, l’autore di “Neve nei sobborghi” si dedicò esclusivamente alla poesia.

Nel 1914, due anni dopo la scomparsa di Emma, si sposò con Florence Emily Dugdale, sua futura biografa. Morì al suo tavolo di lavoro nel 1928.

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