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“Meriggiare pallido e assorto” (1916) Eugenio Montale, sublime poesia sulla desolazione umana

Condividi il profondo significato di "Meriggiare pallido e assorto" la poesia di Eugenio Montale sulla profonda solitudine dell'uomo contemporaneo.

Meriggiare pallido e assorto è la poesia di Eugenio Montale  sull’isolamento e la relativa desolazione dell’esistenza umana, che genera ciò che ormai definiamo il “mal di vivere”.

Il rapporto con la natura e il paesaggio estivo in cui l’autore è immerso, nella poesia non destano armonia ed esaltazione, ma generano distanza, rifiuto, sofferenza, incomunicabilità. 

Meriggiare pallido e assorto fu scritta nel 1916 e rivista nel 1922. Il capolavoro di Montale fa parte della  raccolta di poesie Ossi di seppia pubblicata il 15 giugno 1925 a Torino da Piero Gobetti.

Leggiamo il poema di Eugenio Montale per coglierne il profondo significato. 

Meriggiare pallido e assorto di Eugenio Montale

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Meriggiare pallido e assorto esprime l’essenza della desolazione umana 

In Meriggiare pallido e assorto, Eugenio Montale ci offre una metafora della natura e del paesaggio estivo della sua Liguria, per evidenziare la sua grande desolazione esistenziale. 

In quel momento in cui il sole è alto nel cielo e fa sentire la sua calura, ovvero durante le prime ore del pomeriggio estivo, Eugenio Montale sta passeggiando “presso un rovente muro d’orto” e l’atmosfera che lo circonda lo spinge in uno stato di meditazione visiva che gli permette di cogliere ogni singolo elemento che la natura propone. 

Ogni elemento naturale lo spinge ad una sorta di catarsi che stimola la riflessione sull’esistenza. Quello spazio naturale lo contrappone inevitabilmente a tutto ciò che la vita dovrebbe invece donargli. 

Quello squarcio di paesaggio in cui si muove lo rende inquieto, fa esplodere la sua sofferenza sul vero senso dell’esistere. Quel paesaggio naturale è separato dalla vita così come dovrebbe essere da un muro insuperabile. 

Una muraglia che crea la prigione dell’esistenza

una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Ciò che è oltre lo si potrà scoprire e apprezzare solo con la dura sofferenza del morire. Il poeta offre una rappresentazione della vita come fosse una prigione, all’interno della quale la solitudine e l’abbandono hanno preso il sopravvento. 

La vita umana dipinta in questo affresco poetico da Eugenio Montale è un’alienante ripetizione dalla quale non è possibile liberarsi. Solo la morte segnerà il superamento di quel muro, ma la poesia non offre in nessun modo una visione di cosa oltre quel muro possa esistere.

Ciò che è ceto dalle parole di Montale è che all’interno di quel muro  non c’è una possibilità, ed è assolutamente triste pensare che di fatto  la morte potrebbe rappresentare un’opportunità, potrebbe essere la vita, la gioia, la felicità.

Quanta emozione generano i versi di questa meravigliosa poesia. Eugenio Montale riesce a definire con parole e visioni il “mal di vivere” che oggi colpisce il genere umano. 

Quell’incessante ascolto di “schiocchi di merli, frusci di serpi”, potrebbero essere la metafora della cattiveria e della falsità umana.

Non a caso “tra i pruni e gli sterpi” potrebbero essere la rappresentazione di tutto ciò che genera male, sofferenza, malessere.

A Montale non rimane che la visione del mare, ma risulta lontano e appare irraggiungibile. Quelle scaglie di mare sono l’illusione della gioia e della felicità. Ma, è impossibile poterle toccare, vivere. 

Quel “muro d’orto” è l’essenza del cortile in cui purtroppo ci si ritrova a vivere. Un cortile circondato da mura invalicabili, che rendono qualsiasi comunicazione con l’altro illusoria e priva di qualsiasi contenuto.

È il malessere degli esseri umani contemporanei, abbagliati dalla luce del sole riflessa dal mare, che impedisce loro di apprezzare ciò che la vita riesce a donare. 

L’umanità ha costruito un muro d’artificio

Se si riflette sulla condizione attuale dell’umanità e sul senso di Meriggiare pallido e assorto, oggi in tanti sono abbagliati da relazioni che sono assimilabili alle “scaglie di mare” della poesia. 

Le Relazioni sono sempre più mediate dalla tecnologia e sono diventate sempre più artificiali. Sono relazioni distanti, difficili da toccare, dove è escluso il “con-tatto”.

Il muro invalicabile non l’ha imposto la vita come condizione assoluta, seguendo il commento di Meriggiare pallido e assorto, ma, lo hanno generato le persone.

Si preferisce interagire sempre più tecnologicamente, anziché trovare il piacere di respirare insieme la stessa aria.

Di certo, Meriggiare pallido e assorto e il suo autore Eugenio Montale fanno capire perché le grandi poesie e i loro autori ricevono l’attenzione che meritano, riuscendo ad offrire una rappresentazione dell’esistenza che coinvolge gli esseri umani di ogni epoca,

Grazie Eugenio Montale per Meriggiare pallido e assorto poesia che sarà sempre attuale e contemporanea.

Poesia senza tempo che porta con sé il senso della sofferenza che caratterizzerà, purtroppo, la vita dell’uomo.

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