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Marina Cvetaeva, le sue poesie più belle

L'8 ottobre 1892 nasceva Marina Cvetaeva creatrice di versi impregnati d'amore, come tutta la sua esistenza. Ecco alcune delle sue poesie più celebri

Nata l’8 ottobre del 1892, Marina Cvetaeva è la poetessa russa che d’amore riempì la sua vita e i suoi versi.

È proprio intorno all’Amore che è ruotata la vita e la poesia di Marina Cvetaeva. Amore e dolore, dato che la sua esistenza è stata contrassegnata anche da tanta sofferenza.

La sanguinosa rivoluzione russa era alle porte e suo marito  Serjej Efron, amatissimo da lei, nonostante i vari tradimenti da parte della poetessa, era arruolato nell’Armata Bianca e per questo motivo i due rimasero separati dal 1917 al 1922.

All’età di soli 25 anni si ritrovò sola con le due figliolette in una Mosca in preda a una carestia mai vista in precedenza.

Durante l’inverno 1919-20 si trovò costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in un orfanotrofio, e la bambina vi morì nel febbraio per denutrizione.
Quindi Amore e dolore.

Le poesie celebri di Marina Cvetaeva

Frivolezza – caro peccato

Frivolezza! – caro peccato,
caro compagno di viaggio e mio caro nemico!
Tu hai spruzzato nei mie occhi il riso
e nelle mie vene hai spruzzato la mazurca.

MI hai insegnato a non conservare l’anello nuziale
con qualunque persona la Vita mi avrebbe sposato!
Iniziare a casaccio dalla fine
e finire ancor prima dell’inizio.

Essere come uno stelo ed essere come acciaio
nella vita dove noi così poco possiamo …
Curare la tristezza con la cioccolata
e ridere in faccia ai passanti!

Eccetto l’amore

Non amavo, ma piangevo. No, non amavo, tuttavia
solo a te ho indicato nell’ombra il volto adorato.
Tutto nel nostro sogno non assomigliava all’amore:
né ragioni, né indizi.

Solo noi ha salutato questa immagine dalla sala serale,
solo noi – tu ed io – le abbiamo portato un verso lamentoso.
Il filo dell’adorazione ci ha legati più forte
dell’innamoramento – degli altri.

Ma l’impeto è passato e dolcemente qualcuno si è avvicinato
che non poteva pregare, ma amava. Non affrettarti a condannare!
Ti ricorderò come la più tenera nota
nel risveglio dell’anima.

Tu vagavi in questo animo triste come in una casa non chiusa.
( nella nostra casa, in primavera…)non definirmi quella che ha dimenticato!
Io ho riempito di te tutti i minuti tranne
il più triste – quello dell’amore .

Non penso, non mi lamento, non discuto

Non penso, non mi lamento, non discuto.
Non dormo.
Non aspiro
né al sole né alla luna né al mare
né alla nave.

Non mi accorgo di quanto fa caldo tra queste pareti,
di quanto verde c’è nel giardino.
Da tempo il dono desiderato ed atteso
non aspetto.

Non mi rallegra né il mattino né la corsa
sonora del tram.
Vivo, senza vedere il giorno, dimenticando
la data e il secolo.

Sulla fune, che sembra intagliata,
io – sono un piccolo danzatore.
Io – ombra dell’ombra di qualcuno. Io – sonnambulo
di due oscure lune.

Ai miei versi scritti così presto

Ai miei versi scritti così presto,
che nemmeno sapevo d’esser poeta,
scaturiti come zampilli di fontana,
come scintille dai razzi.

Irrompenti come piccoli demoni
nel sacrario dove stanno sogno e incenso,
ai miei versi di giovinezza e di morte,
versi che nessuno ha mai letto!

Sparsi fra la polvere dei magazzini,
dove nessuno mai li prese né li prenderà,
per i miei versi, come per i pregiati vini,
verrà pure il loro turno.

Alla povera mia fragilità

Alla povera mia fragilità
tu guardi senza dire una parola.
Tu sei di marmo, ma io canto,
tu – statua, ma io – volo.

So bene che una dolce primavera
agli occhi dell’Eterno – è un niente.
Ma sono un uccello, non te la prendere
se è leggera la legge che mi governa.

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