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“Maria” (1903), la dolce poesia di Giovanni Pascoli dedicata al valore dell’umiltà

Contenuta nei “Canti di Castelvecchio”, “Maria” è una dolce poesia che Giovanni Pascoli dedica all’adorata sorella, umile ma prezioso ingranaggio di un mondo che non si accorge di lei.

In una sera d’autunno, mentre la sorella Mariù completa le sue preghiere quotidiane, Giovanni Pascoli la descrive in una poesia che trasuda amore e tenerezza. Si intitola “Maria” ed è racchiusa nella raccolta del 1903 dei “Canti di Castelvecchio”. Scopriamola insieme.

“Maria” di Giovanni Pascoli

Ti splende su l’umile testa
la sera d’autunno, Maria!
Ti vedo sorridere mesta
tra i tocchi d’un’Avemaria:
sorride il tuo gracile viso;
né trova, il tuo dolce sorriso,
nessuno:

così, con quelli occhi che nuovi
si fissano in ciò che tu trovi
per via; che nessuno ti sa;
quelli occhi sì puri e sì grandi,
coi quali perdoni, e domandi
pietà:

quelli occhi sì grandi, sì buoni,
sì pii, che da quando li apristi,
ne diedero dolci perdoni!
ne sparsero lagrime tristi!
quelli occhi cui nulla mai diede
nessuno, cui nulla mai chiede
nessuno!

quelli occhi che toccano appena
le cose! due poveri a cena
dal ricco, ignorati dai più;
due umili in fondo alla mensa,
due ospiti a cui non si pensa
già più!

Un dolce ritratto di semplicità quotidiana

Dolce e indifesa, appagata e delicata. È questa l’immagine che Giovanni Pascoli imprime nei versi dedicati all’adorata sorella Maria, da lui affettuosamente chiamata “Mariù”.

La donna viene ritratta nel rito quotidiano della preghiera, con la testa china e lo sguardo intento nell’adorazione religiosa in una solitaria sera d’autunno. Il sorriso, insieme agli occhi “puri” e “grandi”, rivelano la natura di un animo semplice che ama il mondo, nonostante il mondo non sappia della sua esistenza. All’interno delle quattro strofe che compongono la poesia, Maria è descritta in contrasto con il mondo esterno.

Come se Giovanni Pascoli volesse raccontarci, insieme alla sorella, il valore dell’umiltà e della dolcezza, che sono preziose proprio perché, nonostante rendano il mondo un luogo meno mesto e solitario, in pochi si accorgono della loro importanza.

Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia agiata. Il padre, Ruggiero, è fattore presso una delle tenute dei principi di Torlonia. La famiglia è molto numerosa: Giovanni è, infatti, il quarto di dieci figli.

L’infanzia di Giovanni trascorre in modo abbastanza sereno fino al 10 agosto 1867, quando una tragedia colpisce la casa: mentre torna dal mercato di Cesena, il padre di Giovanni Pascoli viene ucciso da alcuni spari. Comincia così un periodo di tristezza e difficoltà economiche, culminato con il trasferimento a San Mauro e poi a Rimini, dove il fratello maggiore di Giovanni ha trovato un ottimo lavoro.

Intanto, però, i lutti si susseguono rapidamente: nel 1868 muoiono la madre e la sorella maggiore, nel ’71 il fratello Luigi, nel ’76 Giacomo.
Sebbene in difficoltà economiche, Giovanni riesce a completare i suoi studi classici e ad iscriversi alla facoltà di lettere con una borsa di studi all’Università di Bologna. Gli anni universitari sono un po’ turbolenti: il giovane partecipa a manifestazioni socialiste contro il governo e nel 1979 viene arrestato.

Ricostruire il nido

La permanenza per qualche mese in carcere segna il definitivo distacco dalla militanza politica. Da adesso, Giovanni Pascoli si dedica esclusivamente alla poesia e alla sua famiglia, in particolare alle due sorelle Ida e Mariù, con cui vive a Massa dal 1884, per ricostruire il nido familiare distrutto dai lutti. Nel 1887 la famiglia si trasferisce a Livorno, dove Giovanni Pascoli ottiene l’incarico di insegnante.

Le nozze di Ida e un nuovo incarico, stavolta come insegnante all’Università, stravolgono un’altra volta la vita del poeta, che si trasferisce con Mariù prima a Bologna e poi a Messina, dove ottiene l’incarico di professore di latino nell’ateneo siciliano. Nel 1905, infine, viene nominato professore di letteratura italiana all’Università di Pisa, sostituendo il suo stesso maestro, Giosuè Carducci.

Gli ultimi anni sono per Pascoli anni schivi e impegnati soprattutto nella scrittura. È ormai un poeta noto agli italiani. Scrive discorsi pubblici e e componimenti patriottici. Muore il 6 aprile 1912 a causa di un tumore allo stomaco.

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