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“Maradona e le nuvole argentine”, la poesia di Federico Buffa dedicata a Diego

In occasione della morte di Diego Armando Maradona, Federico Buffa ha recitato negli studi di Sky una poesia delicata, sincera, dedicata al celebre Pibe de Oro.

Federico Buffa è uno dei maggiori storyteller italiani, capaci di raccontare storie di calcio e sport in maniera unica. Buffa è capace di mescolare poesia e prosa, cronaca e fiction, ironia e commozione. In occasione della morte di Diego Armando Maradona, Federico Buffa ha recitato negli studi di Sky una poesia delicata, sincera, dedicata al celebre Pibe de Oro.

 

La poesia dedicata a Maradona

Ecco il testo integrale di Federico Buffa “Maradona e le nuvole argentine”

È dalle 6 di oggi pomeriggio che passano nuvole argentine, dappertutto. Oggi, come tutti i pomeriggi alle 2, perché sono sempre a casa, guardo su Rai Storia “Il Giorno e la Storia”, che cosa è successo il 25 novembre. È morto George Best, 15 anni fa: la Rai ha delle immagini fantastiche, di lui sul letto di morte che fa esattamente quelle che fece James Cagney in un famoso film americano. Ovverosia dice: “Non buttate la vita come l’ho buttata via io”. Non credo che lo pensasse, così come credo che lo pensasse Cagney del suo personaggio, ma probabilmente è meglio dirlo.

Due turni dopo, la morte di Fidel Castro: stasera penso, dalle 6 in poi, che sono decisamente connessi. George Best anticipa Diego Armando Maradona in “Cosa sarei stato se… mi fossi comportato diversamente fuori dal campo“, e a Fidel Castro deve una delle dieci vite che ha vissuto, perché quando arrivò a La Havana sinceramente era in pessime condizioni e i fantastici medici cubani lo hanno salvato.

Poi è passata un’altra nuvola argentina, che mi ha portato in una zona di Buenos Aires dove sono stato, a casa di Victor Hugo Morales, El Relatòr, l’uomo che lo ha cantato, ma in senso metrico proprio. E mi sono ricordato di quella narrazione eccezionale, con la metrica della narrazione del “Gol del Secolo”; e dopo aver centrato ogni secondo di “Genio, genio, genio genio“, e aver impugnato per dieci secondi la lingua spagnola nel miglior modo possibile, a un certo punto prende fiato, ha bisogno di dire le cose che ha dentro, che sono tre: “Gracias Diòs por el Fùtbol – ma certo, grazie per il Calcio, perché siamo sul pianeta Terra e possiamo vedere il calcio – por Maradona – ma certo, perché lo gioca lui – y por estas lacrimas“. Perché queste folate emotive che ci dà lo sport non ce le dà probabilmente nessuna altra parte della nostra vita.

Il che mi ha portato all’ultima nuvola argentina di oggi, ovverosia: “Tante volte – diciamo – uno così non passa più“. No, certi giocatori non possono passare più. Ma non è calcisticamente così vero, perché poi vediamo i fuoriclasse di oggi, ci ricordiamo quelli di ieri e iniziano i confronti, ma c’è una pagina che mi ricordo di Mario Sconcerti che, in occasione del sessantesimo compleanno, quindi due settimane fa, ha scritto che “in questo caso, a differenza di tutti gli altri casi e, in particolare, quelli in cui invece conviene farlo, non si può separare l’uomo dal giocatore.

O prendi l’uno o prendi l’altro? No, li devi prendere tutti e due insieme, perché lui ha vissuto una vita a dosi massicce“. Sì perché lui secondo me quella “10” non l’ha opposta soltanto a tutti gli avversari della sua vita, ma anche a tutti i mascalzoni del mondo, come solo un’altra persona ha saputo fare sul pianeta Terra: Mohammed Ali. Che, insieme a lui, è il grande sportivo della storia dell’umanità in cui l’uomo e l’atleta non possono essere separati

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