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“L’orologio” (1861), la malinconica poesia di Baudelaire sul tempo

“L’orologio” fa parte della sezione “Spleen e ideale” dei “Fiori del male”. È una poesia intrisa di tristezza e dolore, dedicata al tempo che, scorrendo inesorabile, distrugge tutte le cose.

Esistono due modi di affrontare il tempo che passa, la vecchiaia che incombe, il cambiamento che avanza: esserne consapevoli e approfittarne con ottimismo, godendosi la preziosità dell’istante che non ritornerà, o vivere tristemente, addolorati per ciò che sta per finire nell’oblio del tempo, incerti su cosa arriverà dopo.

Nella sua poesia “L’orologio”, Charles Baudelaire racconta con tristezza e dolore la caducità dell’essere umano e della realtà che lo circonda, con un pessimismo che ci fa dire che, questa volta, lo Spleen ha vinto sull’ideale. La poesia, infatti, è racchiusa nella raccolta dei Fiori del male e si trova, in particolare, all’interno della sezione intitolata Spleen et idéal. Scopriamola insieme nella traduzione curata dallo scrittore e poeta Claudio Rendina.

“L’orologio” di Charles Baudelaire

L’orologio, il dio sinistro, spaventoso e impassibile,
ci minaccia col dito e dice: Ricordati!
I Dolori vibranti si pianteranno nel tuo cuore
pieno di sgomento come in un bersaglio;

il Piacere vaporoso fuggirà nell’orizzonte
come silfide in fondo al retroscena;
ogni istante ti divora un pezzo di letizia
concessa ad ogni uomo per tutta la sua vita.

Tremilaseicento volte l’ora, il Secondo
mormora: Ricordati! – Rapido con voce
da insetto, l’Adesso dice: Sono l’Allora
e ho succhiato la tua vita con l’immondo succhiatoio!

Prodigo! Ricordati! Remember! Esto memor!
(La mia gola di metallo parla tutte le lingue).
I minuti, mortale pazzerello, sono ganghe
da non farsi sfuggire senza estrarne oro!

Ricordati che il tempo è giocatore avido:
guadagna senza barare, ad ogni colpo! È legge.
Il giorno declina, la notte cresce; ricordati!
L’abisso ha sempre sete; la clessidra si vuota.

Presto suonerà l’ora in cui il divino Caso,
l’augusta Virtù, la tua sposa ancora vergine,
lo stesso Pentimento (oh, l’ultima locanda!),
ti diranno: Muori, vecchio vile! È troppo tardi!

“L’horloge”

Horloge! dieu sinistre, effrayant, impassible,
dont le doigt menace et nous dit: Souviens-toi!
Les vibrantes Douleurs dans ton coeur plein d’effroi
se planteront bientôt comme dans une cible;

ainsi qu’une sylphide au fond de la coulisse;
chaque instant te dévore un morceau du délice
à chaque homme accordé pour toute sa saison.

Trois mille six cents fois par heure, la Seconde
chuchote: Souviens-toi! – Rapide, avec sa voix
d’insecte, Maintenant dit: le suis Autrefois,
et fai pompé ta vie avec ma trompe immonde!

Remember! Souveniens-toi! prodigue! Esto memor!
(Mon gosier de métal parte toutes les langues).
Les minutes, mortel folâtre, sont des gangues
qu’il ne faut pas lâcher sans en extraire l’or!

Souviens-toi que le Temps est un joueur avide
qui gagne sans tricher, à tout coup! c’est la loi.
Le jour décrôit; la nuit augmente; souviens-toi!
Le gouffre a toujours soif; la clepsydre se vide.

Tantôt sonnera l’heure où le divin Hasard,
où l’auguste Vertu, ton épouse encor vierge,
où le Repentir même (oh! la dernière auberge!),
où tout te dira: Meurs, vieux lâche! il est trop tard!

Il tempo che uccide

La tematica temporale è fra le più presenti all’interno dei “Fiori del male”. Attraverso l’allegoria rappresentata dall’orologio, Baudelaire descrive il tempo in modo concreto e brutale.

La poesia, infatti, inizia con una violenta apostrofe che incolpa l’orologio di essere minaccioso e “impassibile”, insensibile a qualunque tipo di emozione, anche al dolore. Ed è così per chiunque: i versi sono composti utilizzando il pronome collettivo “noi”, come a voler indicare l’universalità e l’inesorabilità del dolore causato da questo tempo insensibile. Scorre sempre, senza fermarsi. Uccide tutto e tutti. Si porta via la gioia.

Fino al quattordicesimo verso, non sembra esserci spazio che per un’invettiva carica di pessimismo, in cui il tempo viene personificato e raccontato attraverso immagini straordinariamente evocative: basti pensare al verso in cui Baudelaire si serve della stessa parola tradotta in più lingue per raccontarne l’universalità.

Poco dopo, però, arriva il suggerimento che scaturisce da questa grande consapevolezza: per quanto siamo naturalmente indirizzati verso la morte, per quanto l’orologio segni incessante l’inizio della fine, siamo chiamati ad approfittare di ciò che ci resta. E forse, vivere coscienti di ciò che non tornerà può salvarci dal vivere gli istanti della nostra esistenza in maniera insignificante.

Charles Baudelaire

Charles Baudelaire nacque a Parigi il 9 aprile 1821. Nonostante non avesse pubblicato ancora nessuna opera, già nel 1843 Baudelaire era conosciuto nei circoli letterari parigini come un dandy dedito a spese e lussi che spesso non poteva neppure permettersi, circondandosi di opere d’arte e libri. Il 1845 segna il suo esordio come poeta, con la pubblicazione di “A una signora creola”.

Padre dei simbolisti e idolo dei decadenti, Baudelaire ha ispirato tutti i suoi successori illustri, come Rimbaud, Breton, Mallarmé, ma anche Pascoli, D’Annunzio, Pirandello e Svevo. Sofferente, cerca nell’hashish, nell’oppio e nell’alcol il sollievo alla malattia che nel 1867, dopo la lunga agonia della paralisi, lo ucciderà a soli 46 anni.

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