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Le 5 poesie più belle di Robert Frost, il poeta che cantava la natura

Considerato il prosecutore di Wordsworth, Robert Frost basò la sua poetica sulla bellezza della natura e le sue sensazioni

Ricorre oggi uno tra i più grandi poeti americani, purtroppo poco studiati in Italia. Robert Frost nacque a San Francisco il 26 marzo 1874 e morì a Boston il 29 gennaio 1963.

La sua poetica si basava sull’ascolto della natura, rendendo in parole la bellezza che vedeva con gli occhi. Non fece parte di una corrente poetica, ma seguì l’esempio di Wordsworth e la linea metafisica di Emerson e Emily Dickinson.

Robert Frost, la vita

Robert Frost studiò al Dartmouth College e successivamente ad Harvard, ma non prese mai una laurea. Dopo aver abbandonato l’università, Frost si dedicò a diversi impieghi, fu insegnante, calzolaio e editore dell’opera “Sentinel” di D. H. Lawrence. La sua fortuna letteraria arrivò solo più tardi, quando con la moglie si trasferì in Inghilterra.

Qui, infatti, Frost incontrò numerosi poeti contemporanei britannici tra cui Edward Thomas, Rupert Brooke e Robert Graves. Sempre in questo periodo, Frost strinse amicizia con il poeta Ezra Pound, che lo aiutò a promuovere e pubblicare i suoi lavori.

Nel 1913 e 1914 pubblicò le sue prime due raccolte di poesie “A Boy’s Will” e “North of Boston” che affermarono la sua reputazione letteraria. Negli anni Venti fu il più celebre poeta degli Stati Uniti.

Vinse 4 Premi Pulitzer con le sue raccolte poetiche. Il presidente Kennedy affermò “Robert Frost ha consegnato alla nazione un corpus di versi immortali, dai quali gli americani trarranno per sempre gioia e comprensione”.

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In occasione dell’anniversario di Walt Whitman, uno dei poeti più amati della lettera americana, vi proponiamo le sue poesie più belle

 

Le poesie di Robert Frost

Di seguito 5 delle poesie più famose di Robert Frost.

La strada non presa

Due strade a un bivio in un bosco ingiallito,

Peccato non percorrerle entrambe,

Ma un solo viaggiatore non può farlo,

Guardai dunque una di esse indeciso,

Finché non si nascose al mio sguardo;

E presi l’altra, era buona anch’essa,

Anzi forse con qualche ragione in più,

Perché era erbosa e quindi più verde,

Benché il passaggio suppergiù

Le avesse segnate ugualmente,

E ambedue quella mattina eran distese

Nelle foglie che nessun passo aveva marcato.

Oh, prenderò la prima un’altra volta!

Ma pur sapendo che strada porta a strada,

Non credevo che sarei mai ritornato.

Dirò questo con un lungo sospiro

Chissà dove e fra tanti anni a venire:

Due strade a un bivio in un bosco, ed io –

Presi quella meno frequentata,

E da ciò tutta la differenza è nata.

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Fuoco e Ghiaccio

Alcuni, dicono che il mondo finirà nel fuoco,

Alcuni dicono finirà nel ghiaccio.

Da quello che ho provato di desiderio

Approvo coloro che sono per il fuoco.

Ma se dovessi perire due volte,

Credo di conoscere abbanstanza il male

Per ammettere che per la distruzione

Il ghiaccio è pure forte e sarebbe sufficiente.

“Niente che si d’oro dura”

In Natura il primo verde è dorato,

e subito svanisce.

Il primo germoglio è un fiore

che dura solo un’ora.

Poi a foglia segue foglia.

Come l’Eden affondò nel dolore

Così oggi affonda l’Aurora.

Niente che sia d’oro dura.

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Mietitura

Non si sentiva oltre al bosco altro suono che uno,

La mia lunga falce che frusciava al suolo.

Che cosa sussurrava? Non lo sapevo io stesso;

Era forse qualcosa sul calore del sole,

Qualcosa, forse, sull’assenza di suono –

Per questo sussurrava e non parlava.

Non era il sogno d’ore vuote,

O facile oro profuso da fata o da elfo:

Qualunque cosa in più della verità sarebbe apparsa

Debole al fermo amore che ordinò il prato in solchi,

Non senza delicate lanceole di fiori

(Orchidee pallide), e un fulgido serpente fugò.

Il fatto è il sogno più dolce che la fatica conosca.

La mia lunga falce frusciava, lasciava il fieno ammucchiarsi.

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Fuori per campi e boschi

Fuori per campi e boschi

oltre le mura ho viaggiato;

salito su colline panoramiche

ho guardato il mondo, sono sceso;

per la via grande son tornato a casa,

ed ecco ho terminato.

Le foglie sono tutte morte a terra,

ma la quercia le sue trattiene

per ammucchiarle una a una

e lasciarle graffiare e strisciare

fuori sulla crosta di neve,

quando le altre staranno a riposare.

Confuse e immobili le foglie morte,

non più sbattute qua e là;

l’ultimo astro solitario è scomparso;

appassiscono i fiori dell’hamamelis;

ancora cerca e si tormenta il cuore,

ma i passi domandano «dove?».

Ah, quando mai al cuore dell’uomo

fu meno che un tradimento

lasciarsi alla deriva delle cose,

cedere con grazia alla ragione,

e piegarsi e accettare la fine

d’un amore e d’una stagione?

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Polvere di neve

Il modo in cui un corvo

Di sopra una cicuta

Scrollò sopra di me

Una neve minuta

Diede al mio cuore un tale

Mutamento d’umore,

Da salvare un mio giorno

Ormai senza valore.

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