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La poesia “Il sabato del villaggio” di Leopardi ci insegna che la vera felicità è nell’attesa

Che cos'è la felicità? Ci risponde il poeta Giacomo e Leopardi attraverso una delle sue poesie più famose: "Il sabato del villaggio"

Composta a Recanati nel 1829, “Il sabato del villaggio” è forse la poesia più conosciuta di Giacomo Leopardi. Ma a cosa si deve la fama di questo componimento? Oltre alla straordinaria capacità stilistica di Leopardi, questa poesia racconta una sensazione che conosciamo tutti molto bene: la gioia dell’attesa. Quante volte ci è capitato di attendere con trepidazione un momento e rimanerne poi in qualche modo delusi. Perché, in fondo, la vera gioia è nell’attesa di ciò che pensiamo ci renderà felici. Un concetto che Leopardi ha tradotto nell’immagine del sabato: il giorno dell’allegria, per eccellenza. 

La gioia dell’attesa

“Il sabato del villaggio” descrive un quadro di vita paesana durante un sabato sera, una fervente attesa del giorno festivo all’indomani, destinata poi a rimanerne profondamente delusa. Con questa suggestiva allegoria che Leopardi illustra la sua visione sul piacere, secondo la quale la gioia umana si manifesta nell’attesa di un piacere irraggiungibile, ed è pertanto fugace ed effimera. Nell’ultima strofa, infatti, il poeta si rivolge a un fanciullo e lo invita a godere i piaceri della sua età, concentrata nell’attesa e nella speranza.

Una metafora della vita

Alla felicità della festa, rappresentata nei preparativi del villaggio, si affianca invece un’ombra, la disillusione della domenica. Una metafora della vita per cui all’attesa del sabato corrispondono le speranza della giovinezza, mentre alle delusione della domenica corrisponde quella della vita adulta. La conclusione del canto “Il sabato del villaggio” allude, infatti, a questo parallelismo e il poeta dice chiaramente di non voler turbare le felici illusioni del fanciullo: “altro dirti non vo'”. Come afferma lo studioso Luperini, “l’altro è appunto la delusione che grava sul futuro, smentendo nella vita adulta le speranza della giovinezza. Esattamente come la domenica delude le attese del sabato. 

Il sabato del villaggio

La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch’ebbe compagni dell’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
Giù da’ colli e da’ tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l’altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s’affretta, e s’adopra
Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
E’ come un giorno d’allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.

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