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“La bufera” di Montale, quando la guerra invade le nostre vite

Una poesia per Kiev, che in queste ore è sotto attacco. I missili colpiscono, feriscono, uccidono. “La bufera” di Eugenio Montale, di cui ricorre l'anniversario della nascita, racconta di come la guerra entri nelle nostre vite e le sconvolga.

La guerra in Ucraina non accenna a concludersi. Le notizie si fanno sempre più preoccupanti. Nelle ultime ore, i missili russi stanno colpendo Kiev e le località limitrofe senza tregua. I feriti sono centinaia. Negli attacchi di ieri, sono morte 14 persone.

Ci sembra che la guerra sia qualcosa di remoto, di distante da noi e dal nostro quotidiano. Poi, ci tocca renderci conto che non c’è niente di più falso. Lo sapeva bene Eugenio Montale, di cui il 12 ottobre ricorre l’anniversario della nascita e che ne “La bufera”, il componimento di apertura alla quasi omonima raccolta “La bufera e altro”, racconta di una donna e di un momento privato e quotidiano – segnalato dalle insolite parentesi che delimitano la strofa – che si svolge nel bel mezzo della bufera.

E sono molti i critici che hanno ritenuto la bufera descritta da Montale una metafora della guerra, sia essa un concreto rimando alla Seconda Guerra Mondiale, sia che si tratti del concetto di “guerra” in generale, la “guerra cosmica”, quella che ciascuno di noi conduce ogni giorno nel proprio piccolo. 

La bufera di Eugenio Montale

“Les princes n’ont point d’yeux pour voir ces grand’s merveilles,
Leurs mains ne servent plus qu’à nous persécuter…” 
Agrippa D’Aubigné, A Dieu

La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,

(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell’oro
che s’è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)

il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d’istante – marmo manna
e distruzione – ch’entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l’amore a me, strana sorella, –
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa…
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,

mi salutasti – per entrar nel buio.

Eugenio Montale

Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia benestante. Il padre di Eugenio è infatti proprietario di una ditta che produce prodotti chimici. L’infanzia e l’adolescenza sono segnate dalla salute precaria, che non permette al giovane di condurre la vita gioiosa e spensierata che si addice ai ragazzi della sua età.

A causa delle continue polmoniti, Eugenio Montale viene indirizzato verso gli studi tecnici, più rapidi e meno impegnativi di quelli classici. Diplomatosi in ragioneria con ottimi voti nel 1915, coltiva tuttavia la passione per la cultura umanistica studiando da autodidatta e frequentando le lezioni di filosofia della sorella Marianna, iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia. Intanto, la Prima Guerra Mondiale esige nuove reclute. È così che, nel 1917, Montale viene arruolato nella fanteria dopo aver svolto il servizio militare e combatte fino al 1920, quando viene congedato con il grado di tenente.

Negli anni ’20, il fascismo comincia a diffondersi in Italia. Eugenio Montale è uno dei tanti intellettuali che nel 1925 sottoscrive il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” concepito da Benedetto Croce. Questo è un anno fondamentale nella vita del poeta: al 1925 risale, infatti, la prima pubblicazione di “Ossi di seppia”, che segna un punto di svolta nella carriera letteraria di Montale.

Nel 1927, Eugenio Montale si trasferisce a Firenze, dove collabora con importanti riviste e dirige il Gabinetto Vieusseux, incarico da cui viene allontanato nel 1938 a causa della sua riluttanza nei confronti del fascismo. Nonostante ciò, il soggiorno fiorentino è uno dei periodi più pieni e vivaci della vita di Montale, che qui compone le “Occasioni” e incontra per la prima volta Irma Brandeis e in seguito anche Drusilla Tanzi, che diventerà moglie del poeta.

Eugenio Montale si trasferisce a Milano nel 1948. Qui, comincia a collaborare con il Corriere della Sera, giornale per cui scrive critiche letterarie, reportage e articoli più generici. Montale continua a pubblicare opere in versi e in prosa, nel 1962 sposa finalmente Drusilla Tanzi, dopo 23 anni di fidanzamento.

Il matrimonio non è destinato a durare: Drusilla muore nell’ottobre del 1963, dopo un periodo di dolore e malattia. A lei è dedicata la raccolta “Xenia”. La poesia montaliana si fa più cupa, disillusa: i versi cantano il distacco dalla vita, i cambiamenti della modernità, le trasformazioni culturali. Nel 1975, il poeta viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”.

Muore il 12 settembre 1981 nella clinica San Pio X. Viene sepolto a Firenze, accanto alla moglie Drusilla.

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