In una notte cupa di dicembre di John Keats è una meravigliosa poesia sull’incapacità umana di saper affrontare il presente con la dovuta forza. Quando i momenti bui ci colpiscono, la memoria si appella a quando si era felici e si stava bene, non facendo altro che peggiorare la situazione.
Il poeta romantico inglese osserva con invidia un gelido paesaggio di metà inverno. Sebbene gli alberi e le acque siano rigidi come il ghiaccio l’autore ritiene che siano fortunati. Quegli alberi non ricordano il tempo in cui vivevano il caldo ed erano rigogliosi e vegeti. Il cuore umano, invece, non può contare su una simile “capacità di saper dimenticare”, ma ricorda i bei tempi – in modo irritante – anche quando sono ormai lontani. Keats
In una notte cupa di dicembre è un’opera giovanile scritta nel dicembre 1817, quando John Keats aveva solo 22 anni. Non fu mai pubblicata durante la sua vita. Fu stampata per la prima volta in The Literary Gazette nel 1829, otto anni dopo la morte dell’autore inglese.
Ma, leggiamo la poesia di John Keats per apprezzarne il profondo significato.
In una notte cupa di dicembre di John Keats
In una notte cupa di dicembre,
Troppo felice, albero felice,
I tuoi rami non ricordano mai
La loro verde felicità.
Il nord non può dissolverli
Con il sibilo fischio che li attraversa
Né i gelidi disgeli trattengono loro
dal germogliare in primavera.In una notte cupa di dicembre,
Troppo felice, felice ruscello,
I tuoi gorgoglii non ricordano mai
L’aspetto estivo di Apollo;
Ma con una dolce dimenticanza
Rimangono nel loro agitarsi cristallino,
Mai, mai si accarezzano
Sul tempo gelato.Ah, se fosse così per tanti
Una ragazza e un ragazzo gentili.
Ma c’è mai stato qualcuno
Non si è mai rattristato per la gioia passata?
La sensazione di non sentirla,
Quando non c’è nessuno che la guarisca
Né un senso sopito che lo accolga,
Non è mai stato detto in rima.*******************
In drear nighted December, John Keats
In drear nighted December,
Too happy, happy tree,
Thy branches ne’er remember
Their green felicity—
The north cannot undo them
With a sleety whistle through them
Nor frozen thawings glue them
From budding at the prime.In drear-nighted December,
Too happy, happy brook,
Thy bubblings ne’er remember
Apollo’s summer look;
But with a sweet forgetting,
They stay their crystal fretting,
Never, never petting
About the frozen time.Ah! would ‘twere so with many
A gentle girl and boy—
But were there ever any
Writh’d not of passed joy?
The feel of not to feel it,
When there is none to heal it
Nor numbed sense to steel it,
Was never said in rhyme.
Il significato di In una notte cupa di dicembre
In una notte cupa di dicembre è una poesia di John Keats che evidenzia quanto male possono fare i ricordi quando accade qualcosa di grave, quando la vita ci fa scoprire la parte peggiore di sé stessa.
L’autore inglese guarda con invidia gli alberi e i ruscelli ghiacciati dell’inverno. Il mondo naturale può diventare freddo e senza vita in inverno, ma non reagisce e non ricorda nemmeno il tempo in cui era tutto era vita, calore e luce.
Le persone, al contrario, non godono di un tale fortunato oblio nei loro “momenti sbagliati”, quando la perdita, la sofferenza, la sfortuna, il lutto, il dolore fanno sentire i loro effetti devastanti. E in questi momenti la parte peggiore è sopportare i ricordi della felicità che se n’è andata.
Rimembrare il tempo felice che fu non fa che generare ancora più malessere e peggiorare la stato d’animo. La memoria dei bei momenti trascorsi sono la miccia esplosiva dello stare male.
John Keats nella poesia si immerge “nelle notti cupe di dicembre” e l’albero che gli appare si rivela ai suoi occhi come fortunato. I suoii rami non ricordano com’era essere felicemente verdi. Il vento del nord non può rovinarli con il suo alito gelido, né il gelo può impedire loro di germogliare di nuovo quando arriva la primavera.
La natura sa bene come reagire alle intemperie della vita e del tempo, sa conservarsi e dimenticare ciò che è stato prima. Quando il gelido vento del nord arriva le foglie sono già cadute e l’albero sa benissimo che ci sarà una nuova primavera e le foglie torneranno a germogliare.
Non guarda indietro ma guarda al presente e al futuro, nella convinzione che il buio e il freddo finiranno e tornerà la luce e il calore per poter rinascere.
Il poeta romantico inglese continua nella poesia focalizzandosi anche su un piccolo ruscello d’acqua, ed anche in questo caso l'”ignoranza naturale” permette al fiumiciattolo di non dover fare appello alla memoria e alla estate. L’acqua può gelarsi e da parte del ruscello non ci sarà nessun lamento perché arriverà la primavera e tutto sarà come prima.
Il poeta conclude la poesia guardando a due giovani amanti, i quali non avranno la stessa forza e lo stesso distacco qualora il loro amore svanisse. Se i loro cuori si separano il dolore diventa devastante. Il ricordo della loro relazione, di quando si amavano e la vita splendeva donando tutti i suoi colori, non può che acutizzare la sofferenza e il senso di mancanza.
Dovremmo imparare dalla natura che il tempo aggiusta tutto
Quando arriva l’inverno e tutto ciò che un tempo era vivace sembra morire congelato, il mondo naturale gode di un “dolce oblio”. I rami spogli di un albero in inverno “non ricordano mai / la loro verde felicità”; non hanno memoria di essere stati felicemente frondosi. Né un ruscello “si preoccupa” (o si agita) di essere ghiacciato. Gli alberi e le acque se ne stanno semplicemente lì sotto il gelo, ignari che qualcosa sia mai stato diverso.
Gli esseri umani invece non godono dello stesso privilegio. Chi al mondo ci fa riflettere John Keats ha mai evitato di soffrire nel dolore della perdita, ricordando ciò che aveva un tempo. Niente può riportare indietro ciò che è andato, il dolore, per gli esseri umani, è inevitabile.
In questa visione, la perdita in sé non è la fonte della sofferenza peggiore, ma bensì il ricordo. La consapevolezza di aver perso una gioia, il ricordo di com’era quel momento felice è ciò che è doloroso al di là delle parole. Questa sensazione non può essere espressa nemmeno in questa poesia.
Forse la poesia allude anche al fatto che il ricordo fa indugiare il dolore della perdita. Mentre il ghiaccio non può impedire all’albero di “germogliare” di nuovo quando arriva la primavera, il dolore non “guarisce” così facilmente o puntualmente. Attraverso la memoria, i fantasmi di ciò che abbiamo perso possono continuare a perseguitarci attraverso le stagioni della nostra vita.
John Keats si rammarica che il cuore umano non funzioni seguendo il corso naturale delle stagioni. Se l’inverno è un antico simbolo di dolore e perdita, e la primavera di speranza e rinascita, questo simbolismo funziona solo fino a un certo punto.
Purtroppo, non sempre si ha la forza di saper reagire
Le emozioni umane non sono così “in linea” ai cicli della natura. Si può contare sulla primavera per la rinascita degli alberi e riveder fluire i ruscelli, ma un cuore che vive la mancanza e/o la perdita potrebbe non scongelarsi mai completamente.
Gli alberi e i ruscelli ghiacciati dell’inverno sono “felici”, cioè fortunati non solo perché non sanno di essere ghiacciati, ma perché il loro “tempo ghiacciato” segue il orso delle stagioni.
Un albero senza foglie deve solo aspettare la primavera e il momento di “germogliare” per riacquistare la sua “verde felicità”; l’allegro “gorgogliare” di un ruscello tornerà non appena il sole farà sentire l’energia dei suoi raggi.
I tempi dell’animo umano, purtroppo, non sono così prevedibili, non possono seguire il ciclo naturale delle stagioni. Certamente una persona può sopportare e reagire ad una perdita, ad un lutto, alla sofferenza. Ma non si può dire quando arriverà una nuova primavera in grado di donare sollievo e rinnovata felicità.
Alcune ferite, purtroppo, non si chiudono mai. E anche quando possono guarire non guariscono seguendo un programma. Il tempo può aiutare ad attenuare il dolore, ma non si può indicare il calendario delle stagioni naturali.
La natura, in altre parole, potrebbe fornire alcuni simboli utili per le emozioni, ma il paragone va solo fino ad un certo punto. Il cuore umano è un ecosistema a sé stante e i suoi ritmi non sono costanti, ciclici e prevedibili come quelli della natura.