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“In casa del sopravvissuto”(1911) di Guido Gozzano, poesia sul rassegnarsi a diventare maturi

Vivi l'atmosfera di dicembre con "In casa del sopravvissuto" di Guido Gozzano, quando bisogna rassegnarsi alla maturità esistenziale

In casa del sopravvissuto di Guido Gozzano è una poesia perfetta per dare il benvenuto a dicembre, il mese in cui guarda caso è nato il poeta torinese. Una poesia sicuramente biografica e che mette in scena il passaggio dalla gioventù alla maturità.

Dicembre è il mese che apre le porte all’inverno, al Natale e al nuovo anno. Accende emozioni intense e inevitabilmente si finisce per guardare indietro, a com’eravamo. Guido Gozzano  con questa poesia ci lascia senza fiato, ci fa immergere in una giornata nevosa e attraverso i vetri della finestra del tempo ci porta a scorrere gli attimi della nostra vita.

Individua il momento in cui si fa il bilancio del proprio essere e si prende coscienza che non si vive di soli sogni, ma c’è bisogno di immergersi nella dura realtà.

In casa del sopravvissuto fa parte della sezione Il reduce della raccolta poetica I colloqui pubblicata per la prima volta nel 1911, l’opera più importante e celebre di Guido Gozzano, quella che lo consacrò come uno dei più grandi poeti italiani.

Leggiamo la poesia di Guido Gozzano, che troviamo titolata come Dicembre in altre fonti presenti in rete, e non solo, che evidenziano solo la prima parte del componimento poetico, escludendo la seconda. Noi preferiamo proporre l’originale.

In casa del sopravvissuto di Guido Gozzano

I
Dalle profondità dei cieli tetri
scende la bella neve sonnolenta,
tutte le cose ammanta come spetri;
scende, risale, impetuosa, lenta,
di su, di giù, di qua, di là, s’avventa
alle finestre, tamburella i vetri…

Turbina densa in fiocchi di bambagia,
imbianca i tetti ed i selciati lordi,
piomba dai rami curvi, in blocchi sordi…
Nel caminetto crepita la bragia
e l’anima del reduce s’adagia
nella bianca tristezza dei ricordi.

Reduce dall’Amore e dalla Morte
gli hanno mentito le due cose belle!
Gli hanno mentito le due cose belle:
Amore non lo volle in sua coorte,
Morte l’illuse fino alle sue porte,
ma ne respinse l’anima ribelle.

In braccio ha la compagna: Makakita;
e Makakita trema freddolosa,
stringe il poeta e guarda quella cosa
di là dai vetri, guarda sbigottita
quella cosa monotona infinita
che tutto avvolge di bianchezza ondosa.

Forse essa pensa i boschi dove nacque,
i tamarindi, i cocchi ed i banani,
il fiume e le sorelle quadrumani,
e il gioco favorito che le piacque,
quando in catena pendula sull’acque
stuzzicava le nari dei caimani.

II

Con la Mamma vicina e il cuore in pace,
s’aggira, canticchiando un melodramma;
sospira un po’… Ravviva dalla brace
il guizzo allegro della buona fiamma…
Canticchia. E tace con la cara Mamma;
la cara Mamma sa quel che si tace.

Egli s’aggira. Toglie di sul piano
forte un ritratto: «Quest’effigie!… Mia?…»
E fissa a lungo la fotografia
di quel se stesso già così lontano:
«Sì, mi ricordo… Frivolo… mondano…
vent’anni appena… Che malinconia!…

Mah! Come l’io trascorso è buffo e pazzo!
Mah!…» – «Che sospiri amari! Che rammenti?»
«Penso, mammina, che avrò tosto venti-
cinqu’anni! Invecchio! E ancora mi sollazzo
coi versi! È tempo d’essere il ragazzo
più serio, che vagheggiano i parenti.

Dilegua il sogno d’arte che m’accese;
risano a poco a poco anche di questo!
Lungi dai letterati che detesto,
tra saggie cure e temperate spese,
sia la mia vita piccola e borghese:
c’è in me la stoffa del borghese onesto…»

Sogghigna un po’. Ricolloca sul piano-
forte il ritratto «Quest’effigie! Mia?…»
E fissa a lungo la fotografia
di quel se stesso già così lontano.
«Un po’ malato… frivolo… mondano…
Sì, mi ricordo… Che malinconia!…»

Il momento in cui si diventa maturi

In casa del sopravvissuto è una poesia di Guido Gozzano che ci riporta inevitabilmente all’atmosfera di dicembre, ma che mette in scena il momento in cui ci si ferma per fare il bilancio della vita.

Non è così scontato, non sono tutti che trovano l’attimo per guardarsi attorno e capire la qualità della propria esistenza. Guido Gozzano in questa poesia lo fa e molto probabilmente e sceglie una giornata nevosa in cui dalla casa materna e dalla sua città Torino prova a capire come si sente, come sta. Cerca di dare un senso alla sua esistenza.

La poesia sembra quasi una fiaba. Gozzano ci racconta la poesia come fosse un racconto.  Non a caso, per capire davvero il senso di questo poema bisogna leggere la raccolta nel suo insieme.

Gozzano veste i panni di Totò Merùmeni

Il protagonista della lirica, non citato, è Totò Merùmeni, che corrisponde allo stesso Gozzano e che troviamo perfettamente descritto proprio nella prima lirica di Il reduce la terza sezione della raccolta I colloqui.

È molto importante dire questo per capire il senso della poesia. Totò Merùmeni è un giovane venticinquenne che di professione fa lo scrittore e il poeta e Makakita è la sua bertuccia.

Totò è un uomo colto, un letterato, incapace di vivere pienamente la propria vocazione. Perduta la possibilità di essere realmente se stesso, per indolenza, noia o altro, egli vive recluso nella decadente villa familiare “con una madre inferma, una prozia canuta ed uno zio demente”.  Egli studia distrattamente, scrive poco, aiuta il prossimo, gioca da solo con un gatto, un uccellino e una scimmia.

Ha come amante la cuoca, una ragazza sempliciotta di diciotto anni. Insomma, dopo aver sfiorato la gloria letteraria, dopo aver sognato di amare attrice e principesse, è lo svogliato, indolente, simbolo del giovane in chiave moderna che però, grazie alla poesia, forse un giorno rinascerà.

Il giorno in cui si rassegna e si sceglie di diventare maturi

Un giorno presumibilmente di dicembre, il poeta amava questo mese perché era quello in cui era nato, arriva la neve e lui è in casa con la sua scimmietta e quell’atmosfera lo spinge ad una profonda riflessione sulla sua sua vita. Si sente come “il reduce” a far i conti con il suo passato e si accorge che in fondo non è nient’altro che “un non risolto”.

Le prime due strofe sembrano dire proprio questo. “L’anima del reduce s’adagia nella bianca tristezza dei ricordi.” Quel momento ovattato, il calore della casa che contrasta con il freddo dell’esterno, finiscono per stimolare quella pace interiore utile alla riflessione.

Ha bisogno di mettere la testa a posto, rassegnarsi a diventare un piccolo borghese. Non è più il tempo per giocare a fare il pensatore.

Si sente “reduce dall’Amore e dalla Morte”, i sogni di conquistare una donna d’amare e ammirare non si è verificato. Neppure la malattia è riuscita nel compito di farlo morire. Non gli rimane che vivere la vita come la società impone di farlo, con lo spirito borghese della sistemazione e della rassegnazione a condurre una vita monotona e grigia.

La vita selvaggia della bella gioventù è rappresentata dalla scimmietta Makakita, che vedendo quella neve finisce per ricordare con un pizzico di malinconia quando viveva libera nella terra natia.

L’immagine della bella gioventù svanisce con malinconia

Nella seconda parte della poesia si avverte il rito di passaggio. Guido Gozzano, alias Totò Merùmeni, prende coscienza che ormai ha venticinque anni. L’età della maturità è ormai giunta.

Penso, mammina, che avrò tosto venti-
cinqu’anni! Invecchio! E ancora mi sollazzo
coi versi! È tempo d’essere il ragazzo
più serio, che vagheggiano i parenti.

È chiaro e palese che il senso di colpa emerge con evidenza. Bisogna cambiare vita. Il tempo dell’età adulta ormai è arrivato.

La lirica finisce mostrando tutta la sua grandezza. In fondo, questo passaggio verso la maturità non è così positivo come sembra apparentemente dire il poeta. In realtà, dietro questo  passaggio c’è la critica alla società borghese troppo presa da un materiale modo di pensare che finisce per uccidere l’arte e la poesia.

La critica alla società borghese

Guido Gozzano evidenzia la grande crisi di una società, qual era quella del primo novecento e se ci pensiamo anche quella attuale, in cui l’avere, il possedere, l’esibire finisce inevitabilmente per prevalere sull’essere culturale. Non c’è spazio per la poesia, tranne che permette di fare veramente dei soldi.

E il senso di questa critica emerge proprio con la chiusura della lirica, dove l’immagine di una foto da ragazzo, esplicita di nuovo quella malinconia del perdere per sempre l’innocenza dell’essere libero e leggero.

E fissa a lungo la fotografia
di quel se stesso già così lontano.
«Un po’ malato… frivolo… mondano…
Sì, mi ricordo… Che malinconia!…»

La malinconia di poter sognare a qualcosa di esagerato, fuori dagli schemi, persino di essere eccentrico non è possibile nel momento in cui si decide di adeguarsi alle regole sella società borghese. Non c’è spazio per gli irrisoliti e gli illusi.

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