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“Il viaggio” come metafora di vita nella poesia di Charles Baudelaire

Scopriamo una delle poesie più significative dei “Fiori del male”. “Il viaggio” racchiude il senso ultimo della poetica baudelairiana e ci ricorda che la nostra vita è, prima di qualunque altra cosa, un grande viaggio.

È una delle cose che ci affascinano di più, il viaggio. Amiamo scegliere la meta, preparare le valigie, studiare gli itinerari e avventurarci alla volta di terre sconosciute che ci restano un po’ nel cuore, al rientro, e ci cambiano.

Il viaggio è una delle esperienze umane più arricchenti che esistano e, se ci pensiamo bene, la nostra vita stessa può essere letta come tale.
La pensava così Charles Baudelaire, il grande poeta parigino che ha dato avvio alla corrente del Simbolismo. Nella sua importante raccolta poetica, “Les Fleurs du mal”, Baudelaire dedica larga parte dei suoi versi al topos del viaggio, e il componimento che chiude la celebre raccolta è proprio incentrata su questo tema. Oggi scopriamo insieme “Il viaggio”.

Il viaggio

I

Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe,
l’universo è pari al suo smisurato appetito.
Com’è grande il mondo al lume delle lampade!
Com’è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!

Un mattino partiamo, il cervello in fiamme,
il cuore gonfio di rancori e desideri amari,
e andiamo, al ritmo delle onde, cullando
il nostro infinito sull’infinito dei mari:

c’è chi è lieto di fuggire una patria infame;
altri, l’orrore dei propri natali, e alcuni,
astrologhi annegati negli occhi d’una donna,
la Circe tirannica dai subdoli profumi.

Per non esser mutati in bestie, s’inebriano
di spazio e luce e di cieli ardenti come braci;
il gelo che li morde, i soli che li abbronzano,
cancellano lentamente la traccia dei baci.

Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s’allontanano come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire,
e, senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo!

I loro desideri hanno la forma delle nuvole,
e, come un coscritto sogna il cannone,
sognano voluttà vaste, ignote, mutevoli
di cui lo spirito umano non conosce il nome!

II

Imitiamo, orrore! nei salti e nella danza
la palla e la trottola; la Curiosità, Angelo
crudele che fa ruotare gli astri con la sferza,
anche nel sonno ci ossessiona e ci voltola.

Destino singolare in cui la meta si sposta;
se non è in alcun luogo, può essere dappertutto;
l’Uomo, la cui speranza non è mai esausta,
per potersi riposare corre come un matto!

L’anima è un veliero che cerca la sua Icaria;
una voce sul ponte: «Occhio! Fa’ attenzione!»
Dalla coffa un’altra voce, ardente e visionaria:
«Amore… gioia… gloria!» É uno scoglio, maledizione!

Ogni isolotto avvistato dall’uomo di vedetta
è un Eldorado promesso dal Destino;
ma la Fantasia, che un’orgia subito s’aspetta,
non trova che un frangente alla luce del mattino.

Povero innamorato di terre chimeriche!
Bisognerà incatenarti e buttarti a mare,
marinaio ubriaco, scopritore d’Americhe
il cui miraggio fa l’abisso più amaro?

Così il vecchio vagabondo cammina nel fango
sognando paradisi sfavillanti col naso in aria;
il suo sguardo stregato scopre una Capua
ovunque una candela illumini una topaia.

III

Strabilianti viaggiatori! Quali nobili storie
leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare!
Mostrateci gli scrigni delle vostre ricche memorie,
quei magnifici gioielli fatti di stelle e di etere.

Vogliamo navigare senza vapore e senza vele!
Per distrarci dal tedio delle nostre prigioni,
fate scorrere sui nostri spiriti, tesi come tele,
i vostri ricordi incorniciati d’orizzonti.

Diteci, che avete visto?

IV

«Abbiamo visto astri
e flutti; abbiamo visto anche distese di sabbia;
e malgrado sorprese e improvvisi disastri,
molte volte ci siamo annoiati, come qui.

La gloria del sole sopra il violaceo mare,
la gloria delle città nel sole morente,
accendevano nei nostri cuori un inquieto ardore
di tuffarci in un cielo dal riflesso seducente.

Le più ricche città, i più vasti paesaggi,
non possedevano mai gl’incanti misteriosi
di quelli che il caso creava con le nuvole.
E sempre il desiderio ci rendeva pensosi!

– Il godimento dà al desiderio più forza.
Desiderio, vecchio albero che il piacere concima,
mentre s’ingrossa e s’indurisce la tua scorza,
verso il sole si tendono i rami della tua cima!

Crescerai sempre, grande albero più vivace
del cipresso? – Eppure con scrupolo abbiamo
raccolto qualche schizzo per l’album vorace
di chi adora tutto ciò che vien da lontano!

Abbiamo salutato idoli dal volto proboscidato;
troni tempestati di gemme luminose;
palazzi cesellati il cui splendore fatato
sarebbe per i vostri cresi un sogno rovinoso;

costumi che per gli occhi son un’ebbrezza;
donne che hanno dipinte le unghie e i denti,
e giocolieri esperti che il serpente accarezza.»

V

E poi, e poi ancora?

VI

«O infantili menti!

Per non dimenticare la cosa principale,
abbiam visto ovunque, senza averlo cercato,
dall’alto fino al basso della scala fatale,
il noioso spettacolo dell’eterno peccato;

la donna, schiava vile, superba e stupida,
s’ama senza disgusto e s’adora senza vergogna;
l’uomo, tiranno ingordo, duro, lascivo e cupido,
si fa schiavo della schiava, rigagnolo di fogna;

il martire che geme, il carnefice contento;
il popolo innamorato della brutale frusta;
il sangue che dà alla festa aroma e condimento,
il veleno del potere che snerva il despota;

tante religioni che alla nostra somigliano,
tutte che scalano il Cielo; la Santità,
come un uomo fine su un letto di piume,
fra i chiodi e il crine cerca la voluttà;

l’Umanità ciarlona, ebbra del suo genio,
e delirante, adesso come in passato,
nella sua furibonda agonia urla a Dio:
«Mio simile, mio padrone, io ti maledico!»

E i meno stolti, della Demenza arditi accoliti,
in fuga dal grande gregge recinto dal Destino,
per trovare rifugio nell’oppio senza limiti!
– Questo del globo intero l’eterno bollettino.»

VII

Dai viaggi che amara conoscenza si ricava!
Il mondo monotono e meschino ci mostra,
ieri e oggi, domani e sempre, l’immagine nostra:
un’oasi d’orrore in un deserto di noia!

Partire? restare? Se puoi restare, resta;
parti, se devi. C’è chi corre, e chi si rintana
per ingannare quel nemico che vigila funesto,
il Tempo! Qualcuno, ahimè! corre senza sosta,

come l’Ebreo errante e come l’apostolo,
al quale non basta treno o naviglio,
per fuggire l’infame reziario; e chi invece
sa ucciderlo senza uscire dal nascondiglio.

Infine quando ci metterà il piede sulla schiena,
potremo sperare e urlare: Avanti!
E come quando partivamo per la Cina,
gli occhi fissi al largo e i capelli al vento,

così c’imbarcheremo sul mare delle Tenebre
col cuore del giovane che è felice di viaggiare.
Di quelle voci ascoltate il canto funebre
e seducente: «Di qui! Voi che volete assaporare

il Loto profumato! è qui che si vendemmiano
i frutti prodigiosi che il vostro cuore brama;
venite a inebriarvi della dolcezza strana
di questo pomeriggio che non avrà mai fine!»

Dal tono familiare riconosciamo lo spettro;
laggiù i nostri Piladi ci tendon le braccia.
«Per rinfrescarti il cuore naviga verso la tua Elettra!»
dice quella cui un tempo baciavamo le ginocchia.

VIII

“O Morte, vecchio capitano, è tempo! Su l’ancora!
Ci tedia questa terra, o Morte! Verso l’alto, a piene vele!
Se nero come inchiostro è il mare e il cielo
sono colmi di raggi i nostri cuori, e tu lo sai!

Su, versaci il veleno perché ci riconforti!
E tanto brucia nel cervello il suo fuoco,
che vogliamo tuffarci nell’abisso, Inferno o Cielo, cosa importa?
discendere l’Ignoto nel trovarvi nel fondo, infine, il nuovo.

Il tema del viaggio nella poesia di Baudelaire

“Il viaggio” è la poesia che chiude l’ultima sezione, intitolata “La morte”, dell’edizione del 1861 de “I Fiori del male”. Articolata in ben 8 parti di lunghezza diseguale, questa poesia è la quintessenza del senso ultimo della raccolta baudelairiana. Vediamo insieme perché.

Già dal titolo, veniamo proiettati in un universo caratterizzato da emozioni positive: il viaggio è, nella maggior parte dei casi o almeno nelle aspettative, un’esperienza bella, desiderabile e desiderata, un momento in cui ci si allontana dalla noiosa quotidianità per immergersi in una vita nuova, più rilassata, o semplicemente diversa. In effetti, l’immagine del ragazzo assetato di avventura che colleziona “mappe e stampe”, ci infonde ancora di più l’idea che questo sia un componimento tradizionale, incentrato sul viaggio in quanto tale. È andando avanti che ci accorgiamo di quanto i versi siano profondi e intendano parlare di un viaggio di ben altra entità.

Ed infatti, al ragazzo dall’“appetito smisurato”, alle “mappe”, alle “stampe”, ai desideri dei viaggiatori che “hanno la forma delle nuvole”, si sostituisce un lessico molto più intimo, con termini quali “anima”, “destino”, “speranza” … E quello che prima ci era sembrato un evento felice come il viaggio, si trasforma in qualcosa di negativo, in un diversivo, in un modo per sfuggire al destino.

Fra dialoghi, meditazioni, rivelazioni, il componimento ci regala un’altissima espressione della poesia di Baudelaire, e ci mostra il senso della raccolta stessa, che è anzitutto un viaggio poetico. Noi cerchiamo di sfuggire alla noia – lo spleen – e al tempo che passa utilizzando diversivi come il viaggio, senza sapere che anche la morte è un viaggio, quello supremo. Non possiamo sconfiggere il tempo e lo spleen, nostri nemici supremi. Possiamo però andare incontro alla certezza della morte con la consapevolezza che essa possa essere vista come una liberazione, un ultimo viaggio, una speranza per giungere ad un mondo nuovo.

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