Il vecchio muratore di Gianni Rodari è una poesia sul lavoro piena di amarezza, una filastrocca che dà voce a tutti quei lavoratori che malgrado i duri sacrifici non conosceranno mai la ricchezza, o meglio la dovuta stabilità economica e sociale.
Pensiamo a tutti coloro che non hanno una casa o una sistemazione decente, a tutti coloro che non arrivano alla fine del mese, ai pensionati che dopo anni di attività lavorativa alla fine non si ritrovano nulla in mano e sono costretti a vivere di stenti.
Una società per definirsi davvero civile dovrebbe garantire un uguaglianza economica, dovrebbe appiattire le differenze sociali. Non ci sarà armonia in una società in cui le distanze tra i ricchi e i poveri diventano sempre più ampie.
Purtroppo, come afferma Jeremy Riìfkin, “Viviamo in un paradigma in cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.” Forse, pensare di più a creare una società che equi distribuisce la ricchezza senza rinunciare a premiare il talento, la qualità e lo spirito d’iniziativa e sacrificio sarebbe la cosa più saggia per migliorare la vita di tutti.
Quel genio di Gianni Rodari guardava sempre avanti e la sue poesie sono rivoluzionarie. Il vecchio muratore è l’esempio.
In occasione dell’1 maggio, la Festa dei Lavoratori, leggiamo questa filastrocca del Maestro d’Omegna dedicata a tutti i lavoratori, con unoi sguardo particolare per coloro che malgrado i sacrifici non conosceranno mai il benessere. Una poesia che dona romanticismo, sensibilità e partecipazione.
Il vecchio muratore di Gianni Rodari
Ho girato mezzo mondo
con la cazzuola e il filo di piombo,
ho fabbricato con le mie mani
cento palazzi di dieci piani:
tutti in fila li vedo qua
e mi fanno una grande città.
Ma per me e per la mia vecchia
non ho che questa catapecchia.
Sono di legno le pareti,
le finestre non hanno vetri
e dal tetto di paglia e di latta
piove in tutta la baracca.
Dalla città che ho costruito,
non so perché sono stato bandito.
Ho lavorato per tutti: perché
nessuno ha lavorato per me?
Un poesia che dà voce ai lavoratori costretti ai margini
Il vecchio muratore di Gianni Rodari è un poema che mette in scena le profonde differenze presenti nella società. Quando si parla di differenza in antropologiua culturale, si definisce una scala di valori e opportunità che non sono uguali per tutti.
Possiamo dire che sia normale, giusto che esista una scala, ma più tale scala si appiattisce e meglio vive l’intera comunità.
Gianni Rodari offre, come sempre, una poesia che per riflettere sulla condizione di coloro che arrivati alla fine dell’attività lavorativa, devono poter sopravvivere con una pensione che, molte volte non garantisce neppure i beni di prima necessità.
È inutile mettere la testa sotto la sabbia, questa condizione esiste e non è un fenomeno marginale. Una società sana, democratica, non può accettare che ci siano persone costrette a vivere la povertà e l’emarginazione. Gianni Rodari con la sua poesia denuncia ciò che purtroppo accade ancora oggi.
Dopo una vita di lavoro non rimane nulla
La poesia inizia con la confessione di un muratore che fa il bilancio della propria vita.
Ho girato mezzo mondo
con la cazzuola e il filo di piombo,
ho fabbricato con le mie mani
cento palazzi di dieci piani:
Il “muratore” ha lavorato, si è spaccato la schiena. Insieme a lui tanti lavoratori nella stessa condizione hanno contribuito a costruire palazzi, città, metropoli.
Ma, quei grattacieli e quelle case luccicanti non sono per lui. C’è il suo sudore in quei muri di cemento, vetro, acciaio, ma possibilmente non godrà mai di quelle comodità e opportunità.
Ma il muratore di Gianni Rodari insieme all’anziana moglie si ritrova a vivere in una povera casa, che possiamo assimilare ad una baracca.
Ma per me e per la mia vecchia
non ho che questa catapecchia.
Un’immagine triste, amara quella che offre la poesia di Rodari. Si può immediatamente assimilare alle periferie di molte città, quei quartieri a rischio, dove oggi si fondono i più poveri alle famiglie di immigrati, molti dei quali sono coloro che oggi costruiscono le belle case per i più fortunati.
I più poveri emarginati in periferia
Dalla città che ho costruito,
non so perché sono stato bandito.
Il finale della poesia definisce le condizioni di vita di milioni di “vecchi muratori”.
I più poveri hanno dovuto lasciare i centri cittadini e trasferirsi nelle periferie, nei quartieri dormitorio, nelle case popolari. Ogni città propone i suoi monumenti alla povertà e alla differenziazione sociale.
Ma, le stesse città sono state costruite dagli operai che poi sono stati spediti ai margini, lontani dalla “bellezza” della città.
Questo anziano muratore fa i conti con la vita. La vecchiaia è sopraggiunta e come sempre accade si è costretti a fare il bilancio della propria esistenza.
Ho lavorato per tutti: perché
nessuno ha lavorato per me?
Una domanda che meriterebbe una risposta da parte di tuti noi nessuno escluso. Dobbiamo smetterla nel dare la colpa sempre agli altri, perché siamo noi cittadini che indichiamo il cammino della nostra società. Troppo semplice puntare l’indice contro chi non è soltanto che la rappresentazione di ciò che siamo.
Grazie Gianni Rodari per l’ennesimo dono, questa poesia la dedichiamo a tutti quelli che si “spaccano la schiena” e che meritano una vecchiaia nel centro della città che hanno costruito.