“Il sogno” di Giacomo Leopardi รจ una bellissima poesia che l’autore dedica ad una giovane donna scomparsa prematuramente. In questi versi, Leopardi sfrutta l’espediente del sogno per rievocare l’immagine della fanciulla e cantare il profondo sentimento che lo lega a lei.
In occasione della Giornata mondiale del bacio, che ricorre ogni anno il 6 luglio, vi proponiamo la lettura di questa poesia, al contempo dolce e struggente, in cui il bacio, cosรฌ come gli abbracci, sono protagonisti di un amore che non รจ mai potuto essere, un amore che รจ realizzabile soltanto in un’utopia, in una visione.
I versi che stiamo per leggere racchiudono una grande forza evocativa per almeno 2 ragioni: Leopardi cerca di esorcizzare il dolore della perdita della giovane donna amata – con tutta probabilitร si tratta di Teresa Fattorini – attraverso la poesia, ma questo non รจ l’unico motivo che lo spinge a scrivere. Ne “Il sogno”, infatti, sembra fortissimo il desiderio del poeta di dare un bacio alla ragazza, ed รจ come se la spinta propulsiva che ha dato origine al componimento sia proprio la voglia indescrivibile di avvicinarsi a lei, di baciarla e abbracciarla.
Il sogno di Giacomo Leopardi
Era il mattino, e tra le chiuse imposte
Per lo balcone insinuava il sole
Nella mia cieca stanza il primo albore;
Quando in sul tempo che piรน leve il sonno
E piรน soave le pupille adombra,
Stettemi allato e riguardommi in viso
Il simulacro di colei che amore
Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto.
Morta non mi parea, ma trista, e quale
Deglโinfelici รจ la sembianza. Al capo
Appressommi la destra, e sospirando,
Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna
Serbi di noi? Donde, risposi, e come
Vieni, o cara beltร ? Quanto, deh quanto
Di te mi dolse e duol: nรจ mi credea
Che risaper tu lo dovessi; e questo
Facea piรน sconsolato il dolor mio.
Ma sei tu per lasciarmi unโaltra volta?
Io nโho gran tema. Or dimmi, e che tโavvenne?
Sei tu quella di prima? E che ti strugge
Internamente? Obblivione ingombra
I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno;
Disse colei. Son morta, e mi vedesti
Lโultima volta, or son piรน lune. Immensa
Doglia mโoppresse a queste voci il petto.
Ella seguรฌ: nel fior degli anni estinta,
Quandโรจ il viver piรน dolce, e pria che il core
Certo si renda comโรจ tutta indarno
Lโumana speme. A desiar colei
Che dโogni affanno il tragge, ha poco andare
Lโegro mortal; ma sconsolata arriva
La morte ai giovanetti, e duro รจ il fato
Di quella speme che sotterra รจ spenta.
Vano รจ saper quel che natura asconde
Aglโinesperti della vita, e molto
Allโimmatura sapienza il cieco
Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
Taci, taci, dissโio, che tu mi schianti
Con questi detti il cor. Dunque sei morta,
O mia diletta, ed io son vivo, ed era
Pur fisso in ciel che quei sudori estremi
Cotesta cara e tenerella salma
Provar dovesse, a me restasse intera
Questa misera spoglia? Oh quante volte
In ripensar che piรน non vivi, e mai
Non avverrร chโio ti ritrovi al mondo,
Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa รจ questa
Che morte sโaddimanda? Oggi per prova
Intenderlo potessi, e il capo inerme
Agli atroci del fato odii sottrarre.
Giovane son, ma si consuma e perde
La giovanezza mia come vecchiezza;
La qual pavento, e pur mโรจ lunge assai.
Ma poco da vecchiezza si discorda
Il fior dellโetร mia. Nascemmo al pianto,
Disse, ambedue; felicitร non rise
Al viver nostro; e dilettossi il cielo
Deโ nostri affanni. Or se di pianto il ciglio,
Soggiunsi, e di pallor velato il viso
Per la tua dipartita, e se dโangoscia
Porto gravido il cor; dimmi: dโamore
Favilla alcuna, o di pietร , giammai
Verso il misero amante il cor tโassalse
Mentre vivesti? Io disperando allora
E sperando traea le notti e i giorni;
Oggi nel vano dubitar si stanca
La mente mia. Che se una volta sola
Dolor ti strinse di mia negra vita,
Non mel celar, ti prego, e mi soccorra
La rimembranza or che il futuro รจ tolto
Ai nostri giorni. E quella: ti conforta,
O sventurato. Io di pietade avara
Non ti fui mentre vissi, ed or non sono,
Che fui misera anchโio. Non far querela
Di questa infelicissima fanciulla.
Per le sventure nostre, e per lโamore
Che mi strugge, esclamai; per lo diletto
Nome di giovanezza e la perduta
Speme dei nostri dรฌ, concedi, o cara,
Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto
Soave e tristo, la porgeva. Or mentre
Di baci la ricopro, e dโaffannosa
Dolcezza palpitando allโanelante
Seno la stringo, di sudore il volto
Ferveva e il petto, nelle fauci stava
La voce, al guardo traballava il giorno.
Quando colei teneramente affissi
Gli occhi negli occhi miei, giร scordi, o caro,
Disse, che di beltร son fatta ignuda?
E tu dโamore, o sfortunato, indarno
Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
Nostre misere menti e nostre salme
Son disgiunte in eterno. A me non vivi
E mai piรน non vivrai: giร ruppe il fato
La fe che mi giurasti. Allor dโangoscia
Gridar volendo, e spasimando, e pregne
Di sconsolato pianto le pupille,
Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi
Pur mi restava, e nellโincerto raggio
Del Sol vederla io mi credeva ancora.
Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798 a Recanati, da una delle piรน nobili famiglie del paese. Affidato sin dalla giovane etร alle cure di un precettore, Giacomo si rivela un bambino prodigio: a dieci anni riesce a tradurre allโimpronta testi classici greci e latini.
Il rapporto coi genitori, in particolare con il padre Monaldo, รจ conflittuale. Giacomo trascorre la sua gioventรน chiuso nella biblioteca di famiglia, studiando tutto lo scibile contenuto da quei libri che ben presto diventano i suoi unici amici. Nel giro di pochi anni impara diverse lingue moderne, studia storia e filosofia e si accinge alla composizione di opere erudite.
ร nel 1816 che Giacomo si appassiona finalmente alla poesia e invia i suoi primi versi a Pietro Giordani, che subito lo incoraggia a proseguire nellโattivitร . Da questo momento, Giacomo Leopardi compone moltissime opere, fra le piรน diverse: lo โZibaldone di pensieriโ, il diario che raccoglie le impressioni e gli appunti dellโautore sin dallโinizio della sua produzione, le โOperette moraliโ, le trentasei liriche inserite nella raccolta de โI Cantiโ …
Leopardi si serve della prosa e della poesia per riflettere su temi importanti quali il senso della vita e della morte, la deriva delle coscienze, il ruolo della natura e lโamore.
Nel corso della sua vita, Giacomo Leopardi ha sempre desiderato viaggiare e, piรน verosimilmente, allontanarsi da quella casa che รจ per lui nientemeno che una prigione: un tentativo di fuga sventato dal padre risale al 1819, anno in cui il poeta compone il suo capolavoro, โLโinfinitoโ. Nel 1822 riesce ad ottenere il permesso di recarsi per un poโ dagli zii a Roma. Ritorna dopo qualche mese e nel 1825 ha inizio il pellegrinaggio che lo porta prima a Milano, dove lavora presso lโeditore Stella, poi a Bologna, Firenze e Pisa.
Alla fine del 1828 Leopardi ritorna a Recanati, dove cade in depressione ma scrive alcuni fra i suoi componimenti piรน celebri, fra cui spiccano โIl sabato del villaggioโ e โLa quiete dopo la tempestaโ. Nel 1830 Leopardi, aiutato da alcuni amici, lascia definitivamente il borgo natio e si trasferisce a Napoli in compagnia dellโamico Antonio Ranieri, dove scrive le liriche che costituiscono il piccolo testamento spirituale del poeta: โLa ginestraโ e โIl tramonto della lunaโ. Giacomo Leopardi muore il 14 giugno 1837.