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“Il male” di Rimbaud, una poesia che condanna la guerra

In occasione dell'anniversario della scomparsa di Arthur Rimbaud, condividiamo con voi "Il male", un componimento in cui il poeta francese condanna la guerra e la violenza originate dalla cupidigia degli uomini.

Il 10 novembre del 1891 moriva Arthur Rimbaud, poeta francese fra i più conosciuti nel mondo, scomparso prematuramente a Marsiglia. Rimbaud è ricordato, oltre che per l’animo ribelle da “poeta maledetto” e le rappresentazioni libere in cui si avverte una totale pienezza dei sensi, anche per il percorso di innovazione poetica, che partendo da una rivalutazione del sonetto e dell’alessandrino, procede con il verso libero e giunge alla poesia in prosa. 

In occasione dell’anniversario della sua scomparsa, vi proponiamo “Il male”, un sonetto ricco di metafore in cui Arthur Rimbaud denuncia gli orrori della Guerra franco-prussiana e ci mostra come il dolore e la sofferenza causati dalla violenza abbiano un volto universale. Il nostro cuore, infatti, non può che rivolgersi a tutti coloro che stanno soffrendo, ancora oggi, a causa delle guerre provocate dalla cupidigia degli esseri umani.

Il male di Arthur Rimbaud

Sibilano tutto il giorno i rossi scaracchi
Della mitraglia, nel cielo infinito d’azzurro;
Mentre, scarlatti o verdi, accanto al Re beffardo,
Crollano in massa nel fuoco i battaglioni;

Mentre un’orrenda follia maciulla cento
Migliaia d’uomini e li ammucchia fumanti;
– Poveri morti! nell’estate, nell’erba, nella tua
Goia, oh Natura! tu che li hai creati santamente!…

– C’è un Dio, che irride ai lini damascati
Degli altari, all’incenso, ai gran calici d’oro;
Che si addormenta cullato dagli osanna,

E si risveglia quando le madri, contratte
D’angoscia, piangendo sotto la cuffia consunta,
Gli offrono, annodato nel fazzoletto, un soldo!

Le mal

Tandis que les crachats rouges de la mitraille
Sifflent tout le jour par l’infini du ciel bleu;
Qu’écarlates ou verts, près du Roi qui les raille,
Croulent les bataillons en masse dans le feu;

Tandis qu’une folie épouvantable broie
Et fait de cent milliers d’hommes un tas fumant;
– Pauvres morts ! dans l’été, dans l’herbe, dans ta joie,
Nature ! ô toi qui fis ces hommes saintement!…

– Il est un Dieu, qui rit aux nappes damassées
Des autels, à l’encens, aux grands calices d’or;
Qui dans le bercement des hosannah s’endort,

Et se réveille, quand des mères, ramassées
Dans l’angoisse, et pleurant sous leur vieux bonnet noir,
Lui donnent un gros sou lié dans leur mouchoir!

Arthur Rimbaud

Jean Nicolas Arthur Rimbaud nasce nel 1854 a Charleville-Mézières, nella regione delle Ardenne. Data la professione del padre, capitano d’esercito, Arthur cresce esclusivamente con la madre, donna severa e rigida, molto preoccupata dell’educazione dei cinque figli, della rendita delle terre di cui è proprietaria e del buon nome della famiglia.

Nel 1862, Arthur entra all’Istituto Rossat. Allievo modello, durante gli studi ottiene innumerevoli gratificazioni e comincia a scrivere in versi. All’istituto il giovane conosce, grazie al suo professore di retorica, i grandi autori della letteratura francese. Se ne innamora. Nel 1870 cominciano le fughe che forniscono ispirazione ai versi di Rimbaud: la prima risale al 29 agosto, quando il giovane prende un treno per giungere a Parigi, ma viene fermato prima e arrestato per vagabondaggio.

Quando, dopo mesi, il poeta arriva finalmente a Parigi, Rimbaud si apre ad una vita piena di possibilità: amicizie con celebri poeti e artisti dell’epoca, espedienti di ogni genere per guadagnarsi da vivere, versi visionari, pieni di vitalità e colori. L’amicizia con Paul Verlaine diventa fondamentale per Arthur Rimbaud: insieme, i due decidono di abbandonare Parigi e partire alla volta del Belgio.

Belgio, Inghilterra, Germania, Svizzera, Italia e Africa sono soltanto alcune delle mete raggiunte da Rimbaud nel corso della sua breve vita, piena di avvenimenti e colpi di scena. Muore il 10 novembre 1891, a Marsiglia, a seguito di una grave gangrena al ginocchio che lo aveva fortemente debilitato e costretto ad un uso spropositato di morfina per calmare i dolori.

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