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“Felicità raggiunta”, una poesia di Eugenio Montale che racconta il segreto della gioia

Fragile, e proprio per questo preziosa. Eugenio Montale racconta la natura della felicità in una delle sue poesie più celebri.

Il 20 marzo si celebra la Giornata internazionale della Felicità, istituita dall’ONU per ricordare che proprio la felicità costituisce uno degli scopi fondamentali dell’umanità.

Per l’occasione, leggiamo una delle più belle poesie mai scritte da Eugenio Montale, che è contenuta nella raccolta Ossi di seppia: Felicità raggiunta“.

“Felicità raggiunta” di Eugenio Montale

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

La ricerca della felicità

Cosa vuol dire felicità? 

Arriva per tutti il momento di chiederselo. Ci domandiamo se sia uno stato d’animo rapido e repentino; se possa diventare, in un modo o nell’altro, stabile; se dipenda da noi esclusivamente o da fattori esterni che non possiamo controllare. Ci domandiamo se sia davvero necessaria; se, infine, esista davvero o sia pura illusione.

Con la sua poesia, Eugenio Montale racconta la felicità nel suo essere effimera, inaspettata ed estremamente fragile. Lo fa con una serie di immagini che rapiscono l’attenzione del lettore e la portano lontano, in un mondo in cui i sentimenti e gli stati d’animo acquisiscono corporeità.

La felicità è sottile come il filo di una lama, bruciante di luce ed evanescente al tempo stesso come il lume di candela che vacilla, fragile come la crepa sul ghiaccio che scricchiola sotto il piede.

Arriva all’improvviso e all’improvviso se ne va, come un miracolo. Salvifica e precaria, la felicità. Salvifica perché precaria, la felicità.

Eugenio Montale, la vita

Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia benestante. Il padre di Eugenio è infatti proprietario di una ditta che produce prodotti chimici. L’infanzia e l’adolescenza sono segnate dalla salute precaria, che non permette al giovane di condurre la vita gioiosa e spensierata che si addice ai ragazzi della sua età.

A causa delle continue polmoniti, Eugenio Montale viene indirizzato verso gli studi tecnici, più rapidi e meno impegnativi di quelli classici. Diplomatosi in ragioneria con ottimi voti nel 1915, coltiva tuttavia la passione per la cultura umanistica studiando da autodidatta e frequentando le lezioni di filosofia della sorella Marianna, iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia. Intanto, la Prima Guerra Mondiale esige nuove reclute.

È così che, nel 1917, Montale viene arruolato nella fanteria dopo aver svolto il servizio militare e combatte fino al 1920, quando viene congedato con il grado di tenente.

Negli anni ’20, il fascismo comincia a diffondersi in Italia. Eugenio Montale è uno dei tanti intellettuali che nel 1925 sottoscrive il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” concepito da Benedetto Croce. Questo è un anno fondamentale nella vita del poeta: al 1925 risale, infatti, la prima pubblicazione di “Ossi di seppia”, che segna un punto di svolta nella carriera letteraria di Montale.

Nel 1927 Montale si trasferisce a Firenze, dove collabora con importanti riviste e dirige il Gabinetto Vieusseux, incarico da cui viene allontanato nel 1938 a causa della sua riluttanza nei confronti del fascismo. Nonostante ciò, il soggiorno fiorentino è uno dei periodi più pieni e vivaci della vita di Montale, che qui compone le “Occasioni” e incontra per la prima volta Irma Brandeis e in seguito anche Drusilla Tanzi, che diventerà moglie del poeta.

Eugenio Montale si trasferisce a Milano nel 1948. Qui, comincia a collaborare con il Corriere della Sera, giornale per cui scrive critiche letterarie, reportage e articoli più generici. Montale continua a pubblicare opere in versi e in prosa, nel 1962 sposa finalmente Drusilla Tanzi, dopo 23 anni di fidanzamento.

Il matrimonio non è destinato a durare: Drusilla muore nell’ottobre del 1963, dopo un periodo di dolore e malattia. A lei è dedicata la raccolta “Xenia”. La poesia montaliana si fa più cupa, disillusa: i versi cantano il distacco dalla vita, i cambiamenti della modernità, le trasformazioni culturali.

Nel 1975, il poeta viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”.

Muore il 12 settembre 1981 nella clinica San Pio X. Viene sepolto a Firenze, accanto alla moglie Drusilla.

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