“Dopo la pioggia” di Gianni Rodari, la poesia che insegna a fare la pace, non la guerra

12 Dicembre 2025

In vista del Natale, Gianni Rodari con "Dopo la pioggia" invita alla pace e smetterla con i conflitti. Il sereno può arrivare prima della tempesta.

“Dopo la pioggia” di Gianni Rodari, la poesia che insegna a fare la pace, non la guerra

Dopo la pioggia di Gianni Rodari è una poesia che, dietro la forma lieve della filastrocca, custodisce una riflessione profonda sul conflitto e sulla pace. Scritta per i bambini ma capace di parlare con forza agli adulti, torna a interrogare il presente proprio mentre si avvicina il Natale, il periodo dell’anno in cui la parola pace viene evocata più spesso, e forse praticata di meno.

Non sono soltanto le guerre a devastare il mondo contemporaneo. Esiste una tensione continua che attraversa il quotidiano, una forma di conflitto permanente fatta di ansia, competizione, fragilità emotiva e solitudine. Una guerra silenziosa che si combatte ogni giorno, dentro e fuori le persone, e che rende sempre più difficile immaginare il sereno senza aver prima attraversato una tempesta.

In questo scenario, Rodari utilizza l’immagine dell’arcobaleno per mettere in discussione una convinzione radicata nella cultura umana: l’idea che la felicità e la pace debbano arrivare solo dopo il dolore. Dopo la pioggia non celebra l’attesa come virtù, ma la problematizza. La poesia chiede se sia davvero inevitabile passare attraverso il conflitto per ritrovare l’armonia, o se non sia possibile imparare a scegliere il sereno prima, nella vita quotidiana come nelle grandi scelte collettive.

Dopo la pioggia è una poesia che fa parte della sezione “Il vestito di Arlecchino” della raccolta di poesie Filastrocche in cielo e in terra di Gianni Rodari, libro pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1960. La raccolta presentava anche le illustrazioni originali di Bruno Munari.

Leggiamo questa potente filastrocca di Gianni Rodari per condividere il significato.

Dopo la pioggia di Gianni Rodari

Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
È come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

Fare la pace prima della guerra

Dopo la pioggia è una poesia di Gianni Rodari che affronta, con il linguaggio semplice della filastrocca, alcune delle questioni più profonde dell’esperienza umana. Al centro del testo non c’è soltanto l’immagine luminosa dell’arcobaleno, ma una riflessione sulla logica del conflitto che attraversa la storia, la società e la vita quotidiana.

Il Maestro d’Omegna mette in discussione l’idea, spesso accettata senza essere interrogata, che il dolore sia una tappa necessaria per arrivare alla felicità, che la pace debba sempre essere il risultato di una guerra, che il sereno possa comparire solo dopo la tempesta.

Il testo apre così uno spazio di pensiero radicale e ancora attualissimo. Parla di guerra e di pace, ma anche di educazione, di responsabilità collettiva e di scelta morale. Nel periodo dell’anno che porta al Natale, in cui la pace viene evocata come augurio, la poesia ricorda che essa non è un evento casuale o una ricompensa tardiva, ma una decisione che può e deve essere presa prima, nella vita personale come nella storia dei popoli.

Un arcobaleno che rovescia la logica del conflitto

L’illusione del premio dopo il dolore

“Dopo la pioggia viene il sereno” è l’apertura più classica che esista, quasi un proverbio travestito da verso. Rodari entra nella memoria collettiva, in quella fiducia automatica che porta a pensare che dopo il dolore arrivi sempre una compensazione. Ma lo fa per preparare il rovesciamento. Prima concede al lettore la consolazione, poi la mette sotto processo.

“Brilla in cielo l’arcobaleno” non è soltanto una descrizione. È una promessa visiva. Il verbo brilla accende un’idea di premio, di risarcimento, di bellezza che si manifesta quando tutto è passato. Subito dopo Rodari rende l’immagine più umana, più civile, quasi urbana. “È come un ponte imbandierato” trasforma la natura in una festa organizzata, in un rito pubblico, in un ponte che unisce. Non è un dettaglio estetico, è il primo indizio del tema. Il ponte è ciò che collega, ciò che impedisce la separazione, ciò che permette un passaggio senza scontro.

“E il sole ci passa festeggiato” completa la scena con una teatralità da parata. Il sole non è più solo un elemento del cielo, diventa un protagonista che attraversa un arco di bandiere come un vincitore accolto dalla folla. Rodari costruisce una pace che assomiglia a un evento collettivo, a un momento in cui il mondo intero sembra accordarsi su una stessa gioia. È la felicità come fatto pubblico, condiviso, non privato.

“È bello guardare a naso in su” non è soltanto un’immagine tenera. È un gesto fisico, concreto, infantile. Il naso in su è l’innocenza che si fida, è la disponibilità alla meraviglia, è il contrario dell’uomo adulto che cammina con lo sguardo basso, pieno di urgenze, pieno di difese. Rodari suggerisce che la pace, prima ancora di essere un fatto politico, è un esercizio di sguardo.

“Le sue bandiere rosse e blu” rende l’arcobaleno un simbolo quasi diplomatico. Le bandiere richiamano i confini, le identità, le appartenenze, ma qui non dividono. Qui decorano. Qui convivono. Rosso e blu non sono opposti che si eliminano, sono colori che coesistono nello stesso arco. Rodari sta già dicendo che la differenza non è il problema. Il problema è ciò che si fa della differenza.

La domanda radicale che rovescia la storia

Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.

Qui Rodari fa una cosa rarissima. Chiama male non la tempesta, ma la regola che la governa. Il male non è la pioggia in sé, il male è l’idea che per vedere la bellezza si debba prima attraversare la devastazione. È un attacco diretto alla mentalità del dopo, alla cultura del “prima soffri e poi meriti”, alla logica della storia che continua a ripetere la stessa giustificazione. Prima la guerra, poi la pace. Prima la rovina, poi la ricostruzione. Prima il trauma, poi la gratitudine.

A questo punto la filastrocca smette di essere contemplativa e diventa interrogativa.

Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?

Questa è la domanda che trasforma il lettore in imputato. Rodari usa una parola apparentemente fredda, conveniente, perché sa che spesso il mondo ragiona così. Anche la pace, nella politica e nella vita, viene trattata come una questione di costo e beneficio, come una strategia, come un calcolo. Rodari entra in quel linguaggio per farlo esplodere dall’interno. Se si ragiona davvero in termini di convenienza, allora il temporale non conviene mai. Mai. Nessuna tempesta conviene, se il prezzo è la distruzione.

Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.

In questi versi, Gianni Rodari non sta descrivendo un fenomeno naturale impossibile, sta descrivendo un desiderio umano possibile. È qui che la fantasia diventa responsabilità. Per il re delle filastrocche immaginare non è evadere, è contestare l’inevitabile. È l’atto più politico che esista. Perché il mondo cambia solo quando qualcuno osa pensare che non sia obbligato a funzionare così.

Il finale è la rivelazione definitiva.

Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

Gianni Rodari non lascia scappatoie. Non parla di pace dopo la guerra, parla di pace prima. E quel prima è la parola più difficile dell’intera poesia. È il punto in cui la speranza smette di essere un sentimento e diventa un dovere.

Il Maestro d’Italia chiede all’umanità di fare ciò che sembra contrario alla sua abitudine storica. Smettere di aspettare l’esplosione per scoprire il valore della ricucitura. Smettere di trasformare la pace in un premio postumo. Trattarla, finalmente, come una scelta iniziale.

Dentro questa filastrocca c’è anche un’altra verità, più intima e quotidiana. Il temporale non è soltanto la guerra tra popoli. È la guerra che si ripete ogni giorno nelle persone, nelle case, nei lavori, nelle relazioni, nella mente che non trova tregua.

Rodari sta dicendo che anche lì l’arcobaleno viene visto troppo spesso “soltanto dopo”. Dopo una crisi, dopo una rottura, dopo uno schianto emotivo, dopo una malattia, dopo un addio. La sua domanda allora diventa personale oltre che collettiva. È davvero necessario arrivare a tanto per accorgersi di ciò che conta. È davvero inevitabile vivere come se la pace fosse sempre un evento successivo.

Questa è la potenza della poesia. Rodari prende un’immagine universale, l’”arcobaleno”, e la trasforma in una domanda che non lascia tranquilli. Perché l’arcobaleno è bello, sì. Ma l’idea che sia bello solo dopo la tempesta, per lui, è una sconfitta culturale. La più grande.

La scelta dell’arcobaleno

Gianni Rodari, con pochi versi, non ha lasciato soltanto una filastrocca, ma una presa di posizione netta sul modo in cui l’umanità continua a raccontare sé stessa. Dopo la pioggia smaschera una convinzione profondamente radicata. L’idea che la pace sia una ricompensa e non una responsabilità, che il dolore sia una tappa necessaria, che la distruzione sia il prezzo da pagare per tornare a vedere il sereno.

Rodari rifiuta questa logica. Non accetta che l’orrore venga normalizzato come passaggio obbligato. E lo fa nel modo più radicale possibile, usando la lingua dell’infanzia per parlare agli adulti. La sua non è ingenuità, ma lucidità morale. La pace, per Rodari, non è ciò che arriva dopo. È ciò che si sceglie prima.

Nel tempo che precede il Natale, mentre la parola pace torna a riempire discorsi, vetrine e auguri, la filastrocca assume un peso ancora più evidente. Costringe a una domanda scomoda. Se davvero si crede nella pace, perché continuare ad accettare la tempesta come inevitabile. Perché aspettare sempre il crollo per riscoprire il valore della ricostruzione.

L’arcobaleno senza tempesta non è un’utopia poetica. È una richiesta di maturità collettiva. È l’idea che esista un’alternativa al conflitto permanente, non solo tra i popoli, ma anche nelle vite quotidiane, nelle relazioni, nei linguaggi, nei pensieri che si abitano ogni giorno.

Gianni Rodari non offre soluzioni. Offre una scelta. E lascia al lettore la responsabilità di decidere se continuare a credere che il sereno debba sempre arrivare dopo la pioggia, oppure se sia finalmente il momento di immaginare e praticare un mondo capace di fare la pace prima della guerra.

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